19 feb 2013

Una grande star di YouTube: DJ Lubel



Accusato di misoginia e razzismo, DJ Lubel è riuscito, con i suoi videoclip girati professionalmente, a scalare la classifica di preferenze su YouTube e a farsi un nome sull'altra riva del Grande Stagno.
 
Il video che ho postato sopra - "The Women of LA"  - ha scatenato reazioni furiose; anche e forse soprattutto a Hollywood. Il video parla di com'è difficile (soprattutto per un loser come DJ Lubel, un non-bello e non-palestrato della East Coast) portarsi a letto le belle ma ciniche ragazze di Los Angeles. 
Girls come quelle nel video non mancano certo nel mondo, e non mancano naturalmente nella "Città degli Angeli", dove sciamano per le strade di Beverly Hills, infestano West L.A. e riempiono i club di Hollywood... Ma sono giovani donne tutte comprese di sé che fanno sesso solo in cambio di oro. Così almeno sostiene DJ Lubel.
 
"Five hundred twenty four hundred six thousand women,
Have rejected me in LA County.

Five hundred twenty four hundred six thousand dollars,
Is what you need to get pussy.
"
 
E le ragazze intonano:
 
"Hey you, yes it’s true
We will make your balls blue
We’re the women of LA
We ignore cause you’re poor and you’re not Pauley Shore,
We’re the women of LA
From Westwood to Brentwood
Never would touch your wood..."
 
 
 
 

 
Nella mecca del cinema non l'hanno presa bene. Disturba in primo luogo ciò che DJ Lubel imputa alle ragazze in questione: di far uso di droghe ("We breathe coke, you're a joke"), di costringere uomini non belli e non ricchi come lui a cercare il sesso... nei ritrovi per gay, e di rifiutare di bere abbastanza per divenire docili (questo è il motivo principale delle polemiche; in effetti, fare ubriacare una donna per portarla a letto è da vili, da bruti).
 
Le accuse di razzismo derivano dalla scena di esemplari femminili della comunità medioorientale con le ascelle piene di peli. Il video mostra inoltre le donne della Valley come se fossero tutte sovrappeso e/o non appetibili... Per me ovviamente si tratta di mero umorismo (per quanto grezzo), ma molti in America non la vedono così. 
 
L'attrice Erin Gibson parla addirittura di "inno antifemminista del 2013". E scrive, rivolgendosi a DJ Lubel e ad altri uomini che la pensano come lui: "Pussy’s not a right - it’s a privilege. And if you want it, treat the things wrapped around pussies (women) with respect and dignity." ("La figa non è un diritto, ma un privilegio. Se la vuoi, devi trattare gli esseri cui essa appartiene [le donne, appunto] con rispetto e dignità."
 
Io dico: un momento. Qui si sono superati i confini della ragionevolezza. Le produzioni di DJ Lubel non sono certo manifesti intellettuali (come dimostrano gli altri suoi video - vedi gli esempi sottostanti, tra cui uno sul sesso anale), ma appunto per questo bisogna prendere da costui ciò che viene considerandolo mero divertimento, "light comedy", e dunque "cazzeggio".
 
Fatto sta che tutte queste polemiche non hanno fatto altro che accrescere la fama di tale presunto loser... Grazie a YouTube, si può assistere, per davvero, a "The Revenge of the Nerd"!!
 
 








17 feb 2013

Jazz - album intero - 'Coltrane's Sound'

(1960)

1. The Night Has A Thousand Eyes
2. Central Park West
3. Liberia
4. Body and Soul
5. Equinox
6. Satellite


..John Coltrane - sax
.....McCoy Tyner - piano
.Steve Davis - bass
..Elvin Jones - drums




Domenica è - come ricorderete - "jazz day" per Topolàin, ed eccoci ritornare al nostro assoluto Fav: John Coltrane.  



Coltrane's Sound, uscito nello stesso anno del celebre Giant's Steps, è un album contenente brani già noti di "Trane", ma anche qualche novità. (Sul CD rimasterizzato ad esempio ci sono due bonus: "26-2" e una versione alternativa di "Body and Soul".)
"The Night Has a Thousand Eyes" e "Body and Soul" (gli unici pezzi non composti da Coltrane) assumono qui un'identità unica e ben distinta. Alle sessions di quel magico autunno di 53 anni fa oltre al sassofonista parteciparono Steve Davis (al contrabasso; nel 1961 sostituito da Reggie Workman, al quale sarebbe succeduto un anno dopo Jimmy Garrison), Elvin Jones (drums) e McCoy Tyner (piano). E' questa forse la formazione ideale predicata da Tyner ("quattro pistoni in un motore": espressione molto azzeccata che combacia soprattutto con il ritmo sostenuto del terzo brano, "Liberia"). Tyner accompagna senza sosta il sax (tenore o soprano) di John Coltrane con accordi risonanti. La ginnastica ritmica del percussionista, Jones, raggiunge l'apice nel blues di "Equinox", dove alla punteggiatura bop si accoppia una precisione di colpi da banda militare.

Uno dei dischi più significativi - e piacevoli - della carriera di John Coltrane. Da far girare!

Buona domenica e.. Wonderjazz! a tutti.



Altri articoli relativi a "Trane" sul nostro blog:

John Coltrane - "Out Of This World" 

John Coltrane - "The Best"

"Every Time We Say Goodbye"
 


..

16 feb 2013

Moody Blues - 'In Search Of The Lost Chord'

I Moody Blues non sono mai stati inseriti nella Rock and Roll Hall Of Fame. Strano. Forse perché erano popolari (e.. pop)? Tuttavia, i loro album (almeno quelli più "impegnati", come In Search Of The Lost Chord - un disco del 1968: 45 anni fa!) fanno parte della colonna sonora di una generazione... e forse di più di  una generazione.



1. "Departure": un intro di appena quarantacinque secondi, ma molto bello con il rumore del jet.

2. "Ride My See-Saw": il pezzo certamente migliore dell'album e uno dei cavalli di battaglia dei Moody Blues. Il testo dice:

"Left school with a first class pass
Started work but as second class"

("Ottenni a scuola i voti migliori / ma iniziai a lavorare dal gradino più basso")

E' una canzone sulla voglia di lasciare un mondo confuso, falso, una realtà che a una persona giovane non offre nessuna prospettiva.




3. "Dr. Livingstone, I Presume": chiaramente, è sul senso della vita. Livingston, Scott e Colombo hanno viaggiato per il mondo esplorandolo, trovando piante, bestie e uomini esotici...

La riga-chiave del brano è:

"We're all looking for someone..."

("Tutti quanti stiamo cercando qualcuno..") Be', è maledettamente vero!




4. "House Of Four Doors (Part 1)": L'esempio tipico che i Moody Blues non crearono le canzoni di quest'album pensando che dovevano essere trasmesse alla radio. La maggior parte delle tracce di In Search Of The Lost Chord erano ideate perché i giovani le ascoltassero dentro le loro camerette.



5. "Legend Of A Mind":

"Timothy Leary's dead 
No, no, no, he's outside looking in"

Apoteosi in forma musicale di un famoso intellettuale che teorizzò la "positività" delle droghe... e che portò - anche pubblicamente - esempi concreti. Durante gli Anni Sessanta e Settanta venne arrestato spessissimo. Secondo i suoi biografi, fu "residente" di ben 29 prigioni sparse per il mondo... 
Il brano dei Moody Blues dedicato a Timothy Leary (una vera e propria mini-opera dove il flauto è lo strumento più importante) è celebre quasi quanto il loro "White Satin". 


6. "House Of Four Doors" (Part 2)": Scrive Bob Lefsetz:

A reprise, after "Legend Of A Mind." When this came on you felt like you came back from an acid trip, you were glad to be on terra firma, in recognizable company.




7. "Voices In The Sky": Un brano molto leggero ma adatto a iniziare la seconda parte del disco. Punto e accapo, per così dire... Gli album su vinile a un certo punto si dovevano "girare" e spesso le due facciate avevano ciascuna un senso proprio, anche se (come nel caso di quest'opera) erano complementari. I CD, invece, in qualche modo ignorano l'importanza della "Part One" e "Part Two" che contraddistinguevano i dischi.




8. "(Thinking Is) The Best Way To Travel":


"And you can fly
High as a kite if you want to
Faster than light if you want to
Speeding through the universe
Thinking is the best way to travel"

Il fine della vita non è il denaro ma il sogno. ("Puoi volare in alto come un aquilone [...] Più veloce della luce...") Un brano decisamente psicheelico, come l'ultimo in questo disco ("Om").


http://beta.deadout.com/the-moody-blues/visions-of-paradise/

9. "Visions Of Paradise": Il ritmo rallenta e qui cadiamo in atmosfere progressive da primissimi Genesis ("Visions Of Angels" e dintorni: e dunque un prog rock di una classicità misticheggiante). Una canzone talmente bella (e, a modo suo, trasgressiva) che trovarne su Internet un video non-oscurato è impresa assai ardua!




10. "The Actor":

"The curtain rises on the scene
With someone shouting to be free
The play unfolds before my eyes
There stands the actor who is me"

Sì, siamo tutti attori nella grande rappresentazione dell'umana esistenza e la musica (e l'arte in generale) ci accompagna rivelandoci verità che noi prima sospettavamo o avevamo appena intravisto.




11. "The Word": E la porta si apre su...

12. "Om": E' questa la parola!


"And the word is... OM". (Per gli ignari: si pronuncia "aum"!)

Un grande finale per uno dei migliori album di tutti i tempi. 


"The rain is on the roof
Hurry high butterfly
As clouds roll past my head
I know why the skies all cry
OM, OM, heaven, OM"





LINKS




10 feb 2013

La musica... "sborror"

L'Antologia sborror (Vol. 1) dello scrittore di horror e fantascienza franc'O'brain contiene anche un racconto "musicale" non poco interessante.
In esclusiva per i lettori di Topolàin, ecco l'intero file di "Diablo Records, Inc".



Diablo Records, Inc.



Incomincia il pianto
della chitarra.
Si rompono le coppe
dell'alba.
È impossibile
farla tacere.
Piange monotona
come piange l'acqua,
come piange il vento
sulla neve.
È impossibile
farla tacere.
Piange per cose
lontane.

(Federico García Lorca)






1


Il concerto di Bob Dylan finì nell'osanna dei circa seimila presenti. Dylan e i componenti della sua band si inchinarono un'ultima volta prima di sparire dietro le quinte. Nella hall si accesero tutte le luci e il pubblico, composto da nostalgici dai capelli grigi, ma anche da giovani aficionados dell'immortale bardo della canzone di protesta, cominciò a dissiparsi. Un unico spettatore rimase al suo posto, a fissare il palco ormai vuoto.
«Ehi, amico!» gli urlò uno degli addetti al servizio d'ordine. «Mbe'? Fila a casa.»
Fine della favola.
Derek si sollevò e, con estrema lentezza, si avviò verso una delle uscite. Era una splendida notte di giugno. Respirando a pieni polmoni l'aria pulita di quell'ora e quel luogo, prese ad attraversare il parco a piedi. La zona era immersa nel buio. Alcuni gruppetti di amici occupavano le scarse panche, altre ombre lo superarono parlando e ridendo. Ad un certo punto si ritrovò tutto da solo, solo sul vialetto di terra battuta - sentiero lunare - con le melodie e i passaggi di chitarra che si ostinavano a ronzargli nelle orecchie. E si accorse di avere gli occhi umidi.
Quella musica! E il carisma di quell'uomo! Un uomo invecchiato, d'accordo, e non sa suonare la slide come Ry Cooder e David Lindley... ma era e rimane l'icona vivente di un'epoca intera.
Il suo pensiero andò immancabilmente a Xavier. Suo fratello. Nato dieci anni prima di lui, Xavier aveva potuto vivere in prima persona le ultime impennate del Flower Power. Al momento di voltare definitivamente le spalle alla casa paterna, Xavier aveva lasciato all'allora piccolo Derek i suoi tesori: libri, videocassette e dischi; tanti dischi. Derek si era autosvezzato con le sonorità degli anni Sessanta-Settanta, assorbendo l'atmosfera di un periodo ormai trascorso che per lui sapeva di leggenda. Più tardi non si era perso nessun concerto degli idoli di una volta, che per il fratello maggiore erano stati delle vere e proprie guide spirituali, dei santoni. Personaggi ormai incanutiti, derisi da molti che li chiamavano "nonnini del rock"; eppure, continuavano a fare proseliti...
Un'altra cosa gli aveva lasciato Xavier prima di tuffarsi in un'avventura del tutto diversa, prima di addentrarsi nella scialba e apoetica vita dell'agente di Borsa: la Ol' Black, una chitarra ricevuta in regalo dal componente di un gruppo americano. E proprio con quello strumento mitico Derek si era fatte le ossa: dapprima cantando per strada e negli angoli della metropolitana, poi in pubs, in minuscoli club e nei circoli culturali... riproponendo le ballate che aveva imparato a conoscere.
Ora, vagando per il parco silenzioso, sotto quel cielo sereno ma senza stelle, si sentiva stringere il cuore.
Era un venticinquenne longilineo che indossava abiti trasandati; ma la sua era una trasandatezza apparente: i suoi capi di vestiario erano costosi, e anche il fresco taglio di capelli rivelava una meticolosa cura della persona. Era ormai un professional dell'industria musicale e lo si sarebbe potuto considerare agiato. Purtroppo, il suo lavoro gli lasciava l'amaro in bocca: Derek, che amava un certo tipo di suoni, era costretto a produrne altri - del tutto differenti - per conto della Diablo Records, Inc.


Strana azienda, quella. Era sorta verso la metà degli anni Ottanta, quando la disco music era all'apice della popolarità, e, dalla minuscola casa di produzione che era, ben presto si trasformò in un colosso del settore. Strana organizzazione davvero, si ripeté Derek.
Tornarono a rombargli in testa gli strepiti della folla. Lui infognato nella volgarità di metropoli sconosciute. La prima tournée, la seconda. E quegli altri quattro gonzi del suo gruppo che sperperavano tempo, soldi e salute in compagnia di junkies e ninfette isteriche, prima e dopo ogni concerto. Realtà demenziale. Logicamente, lui era costretto a stare al gioco. Una volta una reporter gli aveva domandato, con battito di ciglia da tardona:
«Che sensazione si prova?»
«A stare sul palco?» Una sensazione di merda! avrebbe voluto dirle. Invece le aveva risposto: «Caldo. Caldo e umido. Ma bello.»
Stai al gioco, Derek. Stai al gioco o Doctor Ph. ti taglia le gambe.
Falsità, ipocrisia. E tutto questo solo perché il rublo non deve mai smettere di rotolare. Don't think twice, it's alright. Ma, nella solitudine di una camera d'albergo, alle quattro, alle cinque del mattino, nascono connessioni di idee, si rigenerano miracolosamente i valori autentici, memorie d'infanzia: effetto naturale del quesito consueto ("per quanto ancora?"). Quando lui è solo con se stesso, tornano a rifiorire i progetti, i desideri. "Non so gli altri, ma per me è normale questo, e il resto è una normalità che io rifiuto perché mi dà ai nervi, e mi dà ai nervi perché è in contraddizione con tutto quello a cui credo. Libertà non deve significare per forza caos, e scaltrezza da cafoni, e no-future. No-future: ecco il nome che più si adatta al virus di Doctor Ph.!... Libertà e virus no-future stanno, anzi, agli esatti antipodi..."


Pareva che il programma della Diablo Records, Inc. fosse quello di sfornare articoli da dozzena, per i gusti meno esigenti. Vere e proprie banalità per infondere gioia alle anime sempliciotte. Fin qui niente di male, in fondo: oggi ogni cosa è commercio e anche gli escrementi vengono riciclati per ricavarne quattrini.
Musica vendereccia. Ma non era solo questo. C'era qualcosa di inquietante, di sotterraneamente diabolico nei suoni prodotti e spacciati da quella famigerata impresa.
La band di cui Derek faceva parte era la "punta di diamante" della Diablo Records, Inc. Demential Perspectives si chiamava la formazione, e la critica diceva che erano meglio di Blur, Bush, Guano Apes & Co. Le recensioni positive non si contavano più. Ma il successo - ovvio - era stato progettato antecedentemente, all'interno di una sala dei bottoni. Una gigantesca montatura, sfociata in una campagna pubblicitaria a livello universale. Business as usual.
Sicuro: c'era stato un periodo in cui finanche Derek aveva creduto alla grandezza della musica che i Demential Perspectives vomitavano sul palco. In realtà, però, quella non era la loro musica: i suoni che producevano erano imbastiti da un "compositore" della casa discografica con l'ausilio di un macchinario computerizzato. Il tutto sotto il controllo di Mister Argon - un burbero e attento supervisore, braccio destro del big boss: Doctor Phantastic.
Derek aveva creduto - o si era illuso - che quei rumori avessero un senso, e che nei testi delle songs ci fosse un significato, sia pure recondito. Ma gli bastava riascoltare uno qualsiasi dei Grandi che avevano furoreggiato fino a qualche decennio prima per ricredersi puntualmente.
"Trash", si diceva. "Noi produciamo trash. Immondizia sonora..."
Sì, c'era stato un tempo in cui aveva strombazzato a destra e a sinistra, con fierezza: «Demential Perspectives: il gruppo in cui suono». Nell'identicarsi in quella band sempre più in auge, si rivoltolava nella gloria così come un maialino si rivoltola nel fango. «Il mio gruppo.» Ma era un gruppo del cazzo, come ben sapeva, un gruppo formato a tavolino. (Non occorreva però andarlo a spifferare in giro; anzi: una clausola sul contratto gli vietava severamente di rivelare questa e altre verità.) Lui e gli altri componenti non erano che marionette, gli esecutori del volere di Doctor Phantastic o di chi per lui. 

 

I Demential Perspectives sembravano disconoscere ogni trama melodica. I dischi che finora avevano inciso contenevano testi talmente triviali da risultare praticamente insensati, e il sound sfiorava la cacofonia (un miscuglio di pop sgangherato e di grunge, con selvaggi arrangiamenti trip-hop). Il tutto sostenuto dal pulsare ossessionante di una batteria elettronica.
Demential Perspectives: nomen est omen.
Avevano esordito a un festival che annoverava tra i suoi ospiti Pablito & His Swinging Six, Mister K and the Stolz Muchachos, Bodo Rex e le Calze Ortopediche... Secondo Derek, un debutto semplicemente orribile; eppure, già il giorno dopo si era allietato, e non poco, nel leggere sui giornali: "La band-rivelazione dell'anno! Un'esibizione eccezionale, quella dei cinque boys metropolitani..."


Era trascorsa un'ora o poco più dalla fine del concerto di Dylan quando giunse al suo appartamento. E subito rispolverò un album dei Traveling Wilburys: ancora Bob, stavolta in compagnia di George Harrison, Tom Petty, Roy Orbison e Jeff Lynn. Derek si adagiò nel rock pacato degli Wilburys quasi come in una vasca piena di acqua piacevolmente tiepida. Purtroppo, però, più quei suoni gli entravano nel sangue e più soffriva.
Si sentiva un fuggiasco, un reietto. Aveva tradito gli ideali della propria gioventù, aveva tradito la vera musica. D'altra parte, come poter negare che era stato proprio grazie alla Diablo Records, Inc. se aveva potuto raggiungere l'indipendenza economica, e quindi l'agognata libertà?
Libertà? Questo era ancora da dimostrare.
Ricordò la prima volta in cui si era presentato alla sede della casa discografica con uno banale nastro magnetico. Kataratta blues: dieci pezzi registrati nella cameretta che una volta era stata di Xavier; dieci canzoni - le uniche e sole composte da lui - nello stile pacato di Jeff Buckley. Chitarra, voce e armonica. «È solo l'inizio», aveva detto fervidamente al tizio coi capelli blu e gli occhiali di plastica verdi che lo aveva accolto con bonaria pazienza. «Ho tante altre idee, qui.» E si era toccato la fronte. Al che, l'uomo dall'aspetto di impiegato psichedelico aveva annuito blandamente (evidentemente abituato alle dichiarazioni eclatanti da parte di artisti e artistucoli wannabè) e si era limitato a fare andare il nastro avanti e indietro.
«La stoffa c'è», aveva commentato infine, laconico. Per poi fulminare Derek così: «Torna venerdì per un'audizione.»
Chitarra, voce e armonica; e tanto batticuore. La prova generale si era tenuta nello studio di registrazione al cospetto dell'impiegato a tutti frutti e di altri due uomini dall'espressione ugualmente impassibile. Derek si presentò con professionalità, con tutti i crismi. Ce la mise tutta. Poi, d'un tratto, nel bel mezzo di una ballata, dalle ombre che riempivano il fondo della saletta se ne staccò una. "Bela Lugosi!" aveva pensato lui sulle prime, credendo di vedere un fantasma. Ma si trattava di Doctor Phantastic.
Il proprietario della Diablo Records, Inc. era vestito interamente in nero e presentava un volto teterrimo, di un pallore mortale. Sembrava il re dei fricchettoni. Su una guancia sfoggiava una brutta cicatrice; un fazzoletto di seta nera era avvolto intorno al suo collo, un altro intorno a un polso.
«Le tue canzoni», aveva chiesto il Doctor con voce profonda e sonora, «esprimono forse le tue idee sul mondo?»
Con la chitarra tra le mani inerti, Derek era rimasto a boccheggiare, non sapendo che rispondere. «Mmm, sì, certo», si sentì balbettare poi, in un flebile sussurro. Tanto flebile che nessuno lo udì.
«Certo», ripeteva adesso, con tono fermo e chiaro, tra un track e l'altro del disco dei Wilburys. «Le mie canzoni esprimono i miei pensieri, esprimono la mia posizione nel mondo. Raccontano tutto quanto ho conosciuto finora e tutto quanto mi piacerebbe ancora conoscere. Cos'altro, sennò?»
Ritornò di colpo all'oggi sobbalzando buffamente: due mani gli si erano posate sulle spalle. Carola. Era entrata in punta di piedi e adesso lo avvinceva come una gatta, si chinava a cercare le sue labbra... poi cercò qualcosa di più. Ma Derek non si sentiva in vena. La respinse con dolcezza.
A quel punto, nel sorriso della ragazza si intrufolò una punta di dolore. "Uomini!" pareva dicessero i suoi splendidi occhi, con comprensibile riprovazione.
Uomini... In Siberia, quando una donna vuole mostrare a un uomo il suo amore, gli lancia delle lumache. Nei nostri meridiani invece gli uomini reagiscono con un moto di ribrezzo perfino alle parole. Molti di loro - quasi tutti - non vogliono essere "abbordati", bensì "abbordare". Derek in fondo non differiva molto da loro...
«Com'è stato il concerto?» gli chiese Carola.
«Grandioso», gracchiò Derek. Aveva la gola secca. Sapeva che, con il suo rifiuto, le faceva uno sgarbo che lei non meritava. Ma tale suo atteggiamento (peraltro inedito) era dettato dal dubbio, dalla tristezza, e non da un complesso di conquistador che non vuol lasciarsi conquistare. Lui amava Carola, altroché.
All'improvviso, sotto le palpebre abbassate, rivide il loro primo incontro, come al cine.
Era avvenuto due anni prima. Dopo le battute iniziali l'aveva invitata nella sua automobile, che stava a troneggiare nel parcheggio oscuro di quella zona periferica. Erano rimasti seduti senza dirsi niente né soltanto sfiorarsi, con l'autoradio accesa in mezzo a loro. Lui completamente preso dalla musica. (On The Road Again dei Canned Heat.) Poi le si era rivolto di colpo, l'aveva guardata come se da un momento all'altro dovesse tirare fuori un mazzo di fiori e, indicandole il McDonald's sull'altro lato del piazzale, le aveva detto: «Vieni. Ti offro una Cola, un Big Mac e patatine fritte».
Carola si era messa a ridere. «Questa la conosco! È il solito vecchio trucco...»
Erano tornati all'aperto: un ragazzo e una ragazza al cospetto di un'entrata dalle luci multicolori - il portale di un tempio che prometteva chissà quale cuccagna. Ma, al contrario di quanto avviene nello spot pubblicitario del McDonald's, Carola aveva lasciato entrare solo lui.
«Come?» Stupefatto, Derek si era girato a guardarla. «Non vieni?»
Lei aveva scosso la testa. «Ma ci vediamo ancora», gli aveva promesso. Quindi se n'era andata per i fatti propri, come Alice nel Paese delle Meraviglie.
Fu questo comportamento imprevisto, questa prova di grande libertà, di assoluta indipendenza, a farlo innamorare definitivamente. Restò a osservarla mentre si allontanava. La seguì con lo sguardo per un lungo minuto, ancora stupito e tuttavia felice nell'aspettativa di altri incontri con lei, di altre sorprese; poi si lasciò risucchiare dal locale.
Quel che le accadde, Derek lo avrebbe appreso la sera stessa. Carola si era già avviata verso il centro città quando, da una siepe che recintava il parcheggio, udì provenire il pianto di un neonato - un miagolio, quasi. Mentre Derek ordinava BigMac e patatine fritte nell'atmosfera innaturalmente asettica del McDonald's, lei, là fuori, si faceva strada tra i rami e i cespugli straordinariamente fitti della siepe e... d'un tratto fu come se entrasse in un altro mondo.
Gli zingari - erano in cinque? in sei? - si erano accampati in quella minuscola giungla come se fosse l'ultimo rifugio possibile da una cataclisma atomico. Sedevano sull'erba, e una di loro - una ragazzina sui quattordici o quindici anni - si era appena scoperto il seno per allattare il fagottino vivente che teneva in braccio. «Oh», si lasciò sfuggire Carola; e cinque o sei paia di occhi scuri come la notte le si puntarono addosso. La ragazzina-madre le sorrise, e fu in quel momento che Carola risolse: «Voglio essere come lei. Voglio vivere libera, ancora più libera. Libera come una zingara...»
Tornò di corsa al McDonald's, cercò con gli occhi Derek e lo trovò piegato sulla sua stupida consumazione. Sedette, anzi: cadde sulla sedia di fronte a lui e subito cominciò a riferirgli quanto aveva visto. «Come una zingara», concluse.
Derek era talmente assorto che dimenticò il cibo - o, meglio, il simulacro di cibo. Anche lui in quel momento era conscio dell'importanza di quella scoperta. E prese una grande decisione.
«Per raggiungere il paradiso devi passare attraverso l'inferno», concordò con Carola.
Si mise a riflettere ad alta voce sugli zingari, sui disadattati, sui diseredati. «Gli zingari sono liberi.» La libertà, l'importanza di avere coraggio, di fare un passo avanti in più o di lato rispetto alla massa... Sapeva che solo chi ha scelto la libertà può raggiungere il cuore della gente, che, com'è noto, solitamente non ha cuore.
«Ed è di questo che parlerò nelle mie canzoni.»
Doctor Ph. non era però particolarmente impressionato dal messaggio di Derek. Doctor Ph. un messaggio ce l'aveva già. Lui si interessava unicamente - semmai - alle qualità chitarristiche del ragazzo, alla tecnica che Derek mostrava indubbiamente di possedere; e al suo aspetto da idolo delle masse. Doctor Phantastic era un uomo che ben conosceva i meccanismi della società. Anzi: conosceva gli stessi meccanismi del pianeta. Lui non si adeguava né si ribellava, bensì stabiliva con che passo e con quale respiro il mondo doveva continuare a vivere. Voleva spargere il virus. Voleva inscatolare e produrre la malattia sintetica. Il suo era un messaggio che racchiudeva tutti i malanni conosciuti fino ad allora, con la sola eccezione forse della peste e dell'AIDS.
Ora Derek scuote il capo, perplesso al ricordo. Lo avevano assunto immediatamente per metterlo insieme a quei quattro fighetti che non gli assomigliavano per nulla e che erano distanti anni luce dal suo modo di intendere la vita...



Il terzo concerto della loro seconda tournée. La reazione del pubblico aveva reso Derek estremamente insicuro. Diventano sempre più matti. Due o tre di loro hanno sbattuto la testa contro gli altoparlanti per stordirsi ancora di più. Tutti quanti non fanno che inghiottire non so che pillole. Quella Lolita in prima fila, con la maglietta a strisce... non può avere più di dodici anni. Dissoluti. Folli. Ma i Demential Perspectives sono soltanto un vettore, non la causa primaria dell'isteria. Mi sento stanco, sempre più esausto. Sera dopo sera, città dopo città, bisogna ripetere le stesse cose, gli stessi gesti; più ballerini che musicisti. Inoltre occorre pure inspirare ed espirare... mangiare qualcosa, guardare la tivù, firmare autografi e, possibilmente, non pensare. Dietro le quinte, gli altri boys si divertono, si lasciano andare ai vizi più impossibili, fanno orge, si scoprono bisessuali, trisessuali... mentre per me rimangono solo dubbi.
E queste masse: Yu-huuu! Bis! Ancora, encore!
I Demential Perspectives: cannonate di decibel, spari spaccatimpani. Uno show difficile da digerire. Quasi incredibile che lui, Derek, facesse parte di quel quintetto. Ho bisogno di molta pace ora, rigenerarmi durante queste mie notti di veglia, prima di un'ennesima pazzia a Mach 3.
TEMPORALE. Le finestre facevano rumore, si spaccavano per lasciare penetrare il vento e i fulmini... Era come la batteria elettronica di Hi-Bee, come il basso atomico di Frank Loo. Sul palcoscenico scateniamo la tempesta. E anch'io, con la mia chitarra-bazooka... Ma a quest'ora della notte - quasi alba - voglio solo origliare immagini in bianco e nero.
Attento a non lasciar trapelare nulla, però! Doctor Phantastic non te la perdonerebbe... 

 


Agli inizi aveva considerato Doctor Ph. alla stregua di un padre. Un padre severo. Un padrigno irreprensibile. Già al loro primo incontro l'uomo gli aveva segnalato di non ammettere ribellioni di sorta. Padrigno padrone. Aveva detto a Derek, chiaro e tondo, di reputare le sue ballate una merda. «Roba antiquata. Il tempo degli hippies è passato da un bel pezzo. C'è troppa melodia, tra l'altro. Folk-rock? Ma il folk-rock è musica da barbogi! Svegliati, ragazzo! Viviamo nell'èra dei computer... Ma non temere: ci pensiamo noi a metterti sulla strada giusta, eh?» Al che, il suo seguito - tirapiedi, valletti, sicofanti - era scoppiato in una risata corale.
Computer anziché chitarre. Chitarre computerizzate, tutt'al più. Derek avrebbe dovuto arrabbiarsi per questo? Computer = calcolatori; si trattava di matematica, dunque. E i numeri sono belli, sono importanti. Sette per sette quarantanove, nove per nove ottantuno. Strano comunque che queste macchine esaltino il caos invece che l'ordine per cui erano state create. Ma si era in pieno periodo di caos, nell'èra dei samples: ecco il perché del dilagare di tutta questa musica-rumore, brani senza uno schema individuabile, cambi di tempo improvviso, voci robotiche. Electronic jam. Buona per far ballare, sballare, i kids. Le parole? Quelle non contano più niente.





2


«Mi dài una paglia?»
Poiché Hi-Bee aveva smesso di fumare, le sigarette adesso gliele dovevano fornire gli altri. Hi-Bee avrà avuto ventidue o ventitré anni: come il resto dei Dementials, d'altronde. Solo che lui ne dimostrava cinque di meno. Era succube di tempeste ormonali che, tra le altre cose, gli avevano coperto il viso di brufoli spaventosi.
Non sembrava minimamente meravigliarsi della ricchezza improvvisa; possedeva una casa nel sud della Francia, una serqua di giocattolini costosi e decine di ragazze che si piegavano docilmente ai suoi capricci. Mai un pensiero sull'esistenza che si ritrovava a condurre, mai uno stupore. La sua Vita nova doveva sembrargli un logico prolungamento della pubertà: rispecchiava l'immagine di divo adolescente marca MTV inculcatagli dai media e dai suoi stessi genitori. Originario di una famiglia piccolo-borghese, Hi-Bee era stato programmato per una vita da benestante, da super-agiato. Ora era "arrivato"; tuttavia, non per questo aveva meno brufoli sul volto...
Né lui né gli altri elementi dei Demential Perspectives - Phish-Eye, Frank Loo e Bob DeGrassi - covavano sensi di colpa. Si divertivano. Erano nel loro mondo. Abbuffarsi e ubriacarsi. Coma, coma, stoma, stoma.
Soltanto Derek si sentiva spaesato, del tutto fuori posto.
In una lettera a suo fratello, scrisse:

"È strano che a covare tremendi sensi di colpa siano soprattutto quelli che in realtà non ne avrebbero motivo: individui come me e te, caro Xavier. O pensi che forse è appunto grazie a questo senso di colpa che ci affligge fin dall'adolescenza che possiamo vantare una certa integrità? È forse questa nostra moralità malaticcia a far sì che il mondo non vada completamente in rovina? Quando seguiamo i telegiornali - notiziari delle catastrofi - ci sorprendiamo a soffrire delle brutture che insozzano Gea, quasi come se fossimo noi i responsabili. Mi sento stanco! Non voglio più sentire parlare di sciagure, incidenti aerei, stragi; noi abbiamo la coscienza pulita! È la società che vuole psichiatrizzarci, colpevizzandoci... Tutti i divi dello spettacolo e della politica: facce e nomi che per la nostra esistenza contano poco e nulla, parole parole paro', liti sciocche, falso orgoglio ferito... Basta! Turbarsi verboten! Voglio imparare ad adottare questa regola: turbarsi verboten... parlare poco e fregarsene dei politici, delle stelle del cinema e del piccolo schermo. Abbasso i presentatori, abbasso i dibattiti in Parlamento, abbasso tutto quanto ci viene imposto! Non voglio vedere gente che piange per sciocchezze mentre chi soffre per davvero - i miseri, i disgraziati, i senzatetto - viene infilato in un buco con le pareti blindate! Viva le radio alternative (ascolti ancora la "nostra" musica o nel frattempo hanno lobotomizzato anche te?) e abbasso le chiacchiere televisionate, i processi calcistici, le telenovelas, i telegiornali! Io chiudo tutte le finestre, tutti i rubinetti, tutti i canali: del mondo mi interessa solo ciò che è giusto e sincero. Penso proprio che lascerò presto, anzi prestissimo, la Diablo Records e questa masnada di piccoli idioti..."



Bob DeGrassi, il compagno con cui Derek più legava, una volta gli fece questo discorsetto:
«Perché dovrei stare a rimuginare sul nostro destino? Siamo stati fortunati, ecco tutto. Pensiamo a godercela, questa fortuna! Ogni tanto mi ricordo, sai, di quando giravo senza un cent e non avevo neanche i soldi per una birra, mentre oggi, con i miei centomila e passa al mese, mi sento un miliardario. C'è da aggiungere che io questi soldi li spendo tutti, fino all'ultimo dime, e che spenderli è un piacere. Non voglio diventare come mio padre, che dopo venticinque-trent'anni anni di duro lavoro (aaaargh! non posso pensare che possa essersi venduto così tanta esistenza) è riuscito solo a comprarsi un miniappartamento in periferia e un'automobile di media cilindrata. Io spendo tutto, sicuro. In banca tengo solo un mezzo milione; il resto finisce in fumo, donne, alcool, scatolette di carne (tu sai quanto mi piace la carne in scatola!) e divertimenti vari. Il fondo costante - quel mezzo milione o giù di lì sul mio conto - mi trasmette tranquillità: in ogni momento posso permettermi di comprare un biglietto di sola andata per il Messico o per l'Australia. Certo, in Australia ci sono troppi animali strani per i miei gusti, specie di vermi che cascano dagli alberi, e un sacco di vipere... E il Messico non è meglio! Ogni tanto faccio delle ricerche in Internet su quei posti, sai, m'informo... Ma dimmi un po': tu come sei attrezzato? È vero che non hai nemmeno il computer? Non ne abbiamo mai parlato. Meglio così sicuramente, ma sono ugualmente curioso. Io ho fatto un bel danno quando ho comprato una nuova mainboad con un Pentium 633MMX e, dopo averla montata, ci ho messo su i driver per il nuovo chipset... Avrò fatto qualche casino e, durante il ricaricamento, il sistema mi ha avvertito che non trovava più la traccia di boot... Il terrore si è dipinto sul mio volto... ho passato alcuni giorni veramente del cazzo ad armeggiarci intorno... Ma già, vedo che a te queste cose interessano assai».
E Phish-Eye:
«È magnifico essere una star! Non capisco come mai tanti musicisti sembrano annoiarsi o desiderare una vita diversa... Senti, Derek: non dobbiamo mai sciogliere il nostro gruppo! La nostra sorte è nelle nostre stesse mani, tutto dipende da noi. Ecchecazzo, tu dici di no, ma noi questo successo ce lo meritiamo! E purtroppo il successo è duro da mantenere. Se vuoi raggiungere qualcosa devi sbatterti, e noi ci siamo sbattuti a lungo, mica ne abbiamo solo parlato come fa la maggior parte dei nostri coetanei!»
Ma questi furono scambi di battute occasionali. Per la maggior parte del tempo, tra di loro non colloquiavano affatto. Ormai era una vita a trecentosessanta gradi quella di Derek: tra concerti, photo sessions e interviste, dormiva pochissimo. Spesso dormiva volutamente poco, in modo da sfruttare il più possibile il tempo libero: per riflettere. C'erano tante cose su cui meditare. Sapeva che, se si fosse limitato a stordirsi e sballarsi come gli altri Dementials, sarebbe saltato in aria: una bomba all'idrogeno umana. Per lui, niente droghe. Anfetamina neppure a parlarne, e alcool solo a dosi moderate. Si accontentava di un joint di tanto in tanto... L'erba bastava, doveva bastare.
Inoltre, rimaneva fedele a Carola. Non che gli riuscisse difficile: se guardava queste ragazzine che, spasimando, gironzolavano attorno al gruppo, veniva colto da una tristezza infinita. Gli ricordavano i suoi piccoli, sfortunati amori degli anni andati. Ah dove siete ragazze di una volta, dove avete sbattuto l'ingordigia dei vostri occhi, a chi avete regalato la pratica abilità delle vostre mani-farfalle!

Il tempo: sua ghigliottina per anni e anni e suo oggetto di studio nevrotico. Per rilassarsi veramente gli rimaneva solo la notte. Ho visto un'alba blu. Agli altri componenti dei Demential Perspectives parlava così: «A parte la vertigine del viaggio, che cosa ci rimane? I soldi, va bene. Ma voi siete soddisfatti? Realmente soddisfatti? Stiamo navigando con l'hype, siamo un prodotto per le moltitudini. Era questo che volevamo? Confonderci con il mainstream? Forse dovremmo cominciare ad agire per conto nostro. La musica del resto si può e si deve farla né inout, ma beside».
Gli ingiungevano di chiudere la bocca, di non sparare cazzate, mentre si ubriacavano e combinavano porcherie con le bamboline.

New York. Tutto da solo nel circo di Manhattan, tra i canyon dalle pareti di vetrocemento. Gente gente gente. Fare windowshopping sulla Quinta Avenue, fermarsi davanti alla vetrina di Tiffany's e di altri negozi di lusso, giocare col glamour che non possedemmo mai e che ora possiamo ordinare a piacimento, semplicemente facendo schioccare le dita.
Non ci sono eroi, solo folli. Alcuni folli raggiungono il successo, l'apice della popolarità, fanno (sì!) soldi; mooolti soldi. E vediamo la loro faccia ovunque. Altri vanno a finire sotto i ponti. Li chiamiamo straccioni, asociali. Ma forse loro non sono i rifiutati bensì i rifiutatori. In mezzo ai due poli di follia, una marea di idioti. Scontenti, sazi, reazionari, qualunquisti, stupidi, scontenti, scontenti, sgarbati. Una vita senza relax. Nessuno può permettersi uno sbaglio, nessuno può covare rimpianti.
Columbus Avenue.
Ho paura quando scopro me stesso - o quando scopro quello strano tizio che afferma di essere me - in mezzo agli idioti. Lo vedo parlare e ridere con loro. Vive accanto a loro, spesso; per forza di cose. Non sa ancora decidersi se puntare verso il castello, la torre d'avorio, oppure strisciare sotto un ponte. Non sa ancora decidersi se può permettersi, come Syd Barrett, la Nuvola da Sogno ,od optare per due metri quadrati di terra nuda.
Non c'è via di scampo?

Times Square.

Lasciarsi andare? No. No. Njet. Non.
Fondare il proprio sistema massimo nel cuore caotico del sistema vigente: that's it. Pedalare. Fare suoni e poi far silenzio e poi altri suoni ancora. Scarpinare. Trovare la Blues House.
Tutte queste persone... Hanno paura del nuovo millennio. Oppure ne ridono.
Io dico solo questo:
Scrivete sul vostro diario la data di oggi: 9 settembre 1999 - ore 9.

Times Square, dunque.

I'm just gonna rap it
play it
rap
the motherfucker rap it down
gonna play it rapid
rap it down

Nascondersi in quell'anfratto chiamato 'Sala Giochi'. La tele accesa: MTV. Mainstream. Ignorano completamente - non per malizia ma per miopia congenita - i nomi nuovi. Bands che nessuno osannerà mai, anche se piene di talento. Ecco ora un sottogruppo diventato invece famoso... i Demential Perspectives! (A bocca aperta, quasi non riconoscendo se stesso e i suoi compagni nel videoclip paranoico). Cinque ragazzi che hanno stipulato un contratto che li ha privati dell'anima, cinque piccoli messia incapaci di camminare sulle acque e tanto meno di moltiplicare i pani e i pesci.
Come cominciò? Per Derek, con un'encomiabile lotta per la salvezza della Cultura; e finì con la ricerca di cash per le proprie tasche.


Cominciò con la dubbia vittoria dei Demential Perspectives in una "Guerra delle bands". Non voglio dire che tutti i concorsi per esordienti siano truccati; di sicuro ce ne sono alcuni limpidi come acqua di fonte... Ma se un musicista non ha un Doctor Phantastic alle spalle, non va da nessuna parte. Da nessuna parte.
MTV trasmette ora il video di una formazione emergente, dal nome troppo banale per essere stato creato a tavolino.
Attenti, amici, colleghi. Nel difficile cammino che state percorrendo - quello che porta alla professione di musicista - voi seguite le orme di infinite scarpe, scarpe che molto prima delle vostre hanno arrancato nella stessa polvere, che hanno affrontato le stesse asperità, sofferto i medesimi dolori; e non hanno saputo evitare le medesime insidie.
Dopo, di nuovo in strada. Lui e la sua maglietta Durango, una vita assieme. Nueva York. Stasera, superconcerto dei Demential Perspectives al Madison Square Garden. «Conquisteremo l'America!» ha osannato Mister Argon dal fondo vellutato della sua suite all'Hilton. "Conquisteremo": già, il plurale è d'uopo.
Come mai alcuni musicisti arrivano tanto in alto mentre altri, anche più bravi, si perdono per strada? Si incomincia per gioco, per amore dell'arte. Poi ci si affaccia nel mondo delle case discografiche per accorgersi che vi imperversa un clima dominato dalla delazione, dall'incertezza, dalla prostituzione (e non solo prostituzione di idee: dammi il culo e farò di te una stella).
Central Park. Il suonatore di blues è irlandese. Lo si vede sempre lì, a ogni scampolo di sole, la chitarra elettrica alimentata da una batteria per automobili, sempre lo stesso blues, sempre lo stesso sguardo di cane bastonato, più stanco ogni anno che passa. Sicuramente beve molto, un alcolista; ma bisogna ammettere che la sua musica è più che ottima. Eppure, il Central Park resterà sempre la sua unica arena. Open air.

Prove di suono. Hi-Bee latitava. «Dov'è?» Nessuno degli altri sembrava averlo visto. Derek andò a cercarlo e lo trovò nella sua camera. Il ragazzo era cereo, una siringa ancora conficcata nel braccio. Derek gli si avvicinò. Non lo sentì respirare.
«Amico, credo che stai avendo un down pesantissimo», gli disse. Ma Hi-Bee non poteva più rispondergli. Rientrato nella propria gabbia dorata, Derek dovette scolarsi mezza bottiglia di whiskey prima di poter dare la notizia agli altri.
«Il concerto si fa lo stesso», tagliò corto Mister Argon. «Un nuovo batterista ve lo trovo io. E poi», aggiunse, «per noi è tutta pubblicità.»
«Ma come?» protestò Derek. «Non dovremmo suonare più. Né stasera, né mai»...

«Sei un freak, Derek, e in quanto tale completamente out», lo rimproverò Phish-Eye. E si rimise a fare la prova del suono. Le lolite cui era stato concesso di entrare anzitempo guardavano la scena senza capire. Ce n'era una, in particolare... capelli di un nero invitto e occhi scuri streganti. Forse i suoi genitori erano dei rom, si disse Derek, e lei ora si è impiantata al centro del circo. Bel pensiero. Trasfonderlo sulla carta. Farne il verso di una canzone. Ma cosa gli avrebbe detto Mister Argon, o qualche altro manager? «Puoi stamparlo su carta doppio velo in rotoli e usarlo per scopi igienici»: ecco quello che gli avrebbe detto.
A sera, il cielo sopra New York si presentava umido e plumbeo. Per me fa lo stesso. E fa lo stesso per Hi-Bee, naturalmente... si disse, mentre i barellieri scarrellavano via il corpo del ragazzo.



Internamente chiamò il suo nome, lo urlò, in un rauco latrato; ma la neve cadeva facendo rumore. Troppo rumore. Cadeva anche dentro la sala, mentre i Dementials suonavano. Lui combatteva per trovare la solita energia e la necessaria faccia di bronzo del vero professionista. Gli pareva un miracolo già il solo riuscire a reggere la chitarra. Ecco, è questo il tipo di lotta che arriva a consumare una persona. Derek suonava musica alla quale non credeva e intanto pensava: trash! Trash, si ripeteva ancora e sempre, come un mantra. Ironicamente, la registrazione dal vivo di quel concerto fu intitolata proprio TRASH FOR EVERYBODY.

Il nuovo CD dei Demential Perspectives, che li rese famosi su tutt'e cinque i continenti.

Come da programma: bere il calice amaro, fino all'ultima goccia; l'intero contenuto. Il programma si riferisce naturalmente all'ordine esterno delle cose. Sulla natura della quotidianità non dice nulla. Sul dolore, sui dubbi del singolo. Ancora un'esibizione, poi finisco.


La quotidianità: banale come quella di qualsiasi pinco pallino.

Wilkinson SWORD Protector
lamette di argento metallizzato, nuove
di una certa pesantezza se le si tiene sul palmo della mano
8 dollari 90 il pacchetto
quando le si agita fanno un bel sound
meglio le lamette comunque che non il rasoio elettrico
l'eterna primitività dell'elettronica

«Vogliamo intraprendere qualcosa insieme?»
«Chiaro. Che cosa?»
«Andiamo a sballarci. Festeggiamo.»
«Buona idea."
«Così è la vita a N.Y. Per questo N.Y. è così famosa. Phish-Eye e Bob vengono pure loro. Peccato per Hi-Bee, eh?»

e BEVI
BEVI bevi
BEVI e

Seduti sul fondo di una limousine, al calduccio (mentre fuori ci sono due gradi sotto zero), Derek propone di ascoltare gli Who. Gli altri protestano con «bluah!» e «che noia!», ma alla fine qualcuno (l'autista di colore?) decide di alzare il volume al massimo, MY GENERATION, e Phish-Eye si mette a piangere, oh God, oh Bog, aiutaci Tu, e poi "parte" anche Frank Loo. Stanno pensando alla scomparsa di Hi-Bee, davvero toccante, sembra quasi inscenato per i media. Ma Derek ha un unico pensiero: come fare per uscire dalla prigione su quattro ruote?

Anche Parigi e Berlino furono un disastro. The never-ending tournee.
Bisogna continuare a produrre musica, la nostra, la loro musica, e questa non è una cosa che possono fare tutti, ci vuole gente di mestiere, gente che sa il fatto suo. Altro che concerti alla boia d'un cane! A questi livelli sono richieste ben altre cose in ben altri formati.
Una ragazza in prima fila si piega sulle ginocchia, i maschietti spiccano salti stando dritti come candele - beat is back.

It's
raining men,
amen
Cinque spunti - due riff di chitarra superlativi - il veleno che sale piano - attributi gustosi della voce robotizzata - lo stile schizoide delle tastiere - l'inglese meno che discreto dei testi - prodotto subculturale.

Londra, the Kingsway: mercato, marionette. Tower Records. Poi un giretto per i negozietti di Portobello. Il graffio sul vecchio vinile degli Stones, proprio a metà di Angie.

Tardo pomeriggio a letto. Riviste, televisione, cioccolato svizzero. Il traffico di Bayswater Road quasi a contatto di mano. Lo chiamarono per il sound check, ma lui disse che per quella volta ci avrebbe rinunciato. In sottofondo scorreva la musica di una sua personale compilation. Piccole, semplici canzoni: It's A Wonderful Life (Black), What's Up (4 Non Blondie), Don't Look Back In Anger (Oasis), Jealous Guy (John Lennon), Changes (David Bowie), Amadeus (Falco), Video Killed the Radio Star (nel remake dei Presidents Of The USA), Zombie (Cranberries), '74-'75 (The Connels), Down Under (Men At Work).
The day after. Il giorno che seguiva 16 mesi di lavoro e pochi minuti di show. Il grande circo è finito e io mi sento completamente vuoto. Accendo la tivù... e rimango come fulminato. È MORTO DYLAN!
Scoppio in lacrime mentre la notizia viene propagata su tutti i canali. Ma è assurdo, lo so. Assurdo fare il nostalgico, così com'è stato assurdo copiare e ricopiare per anni ciò che una volta fu.
O no?

Mister Argon sedeva nel suo studio e leggeva i giornali, glaciale come il muso di un cane. Quando Derek gli comunicò la sua intenzione di voler lasciare la band, i tratti del suo volto mutarono in un caos picassiano. «Bene, io non voglio certo litigare con te», risolse infine saggiamente l'uomo di punta della Diablo Records; ma sempre con quell'espressione contrita. «Ne riparleremo dopo il concerto. Bisogna anche sentire che cosa ne pensa Doctor Ph. Ricorda comunque che sei libero di fare quello che vuoi.»


The last concert. I mille pensieri che si incrociano.
Una piccola fuga o un ritornello che a molti fa pensare "questa l'ho già sentita", mentre altri si entusiasmano come fosse una cosa nuova.
Il cantante ed hero della serata (Bob De Grassi) è un domatore di belve, sa quando deve far saltare sul posto gli ascoltatori e quando ammansire gli animi.
Ottimo performer dal vivo. In seguito i critici parleranno di "un'inedita linea elettroacustica... indubbia forza epica... Con una canzone cantautorale e intimista, Derek Hansen fa da apripista per il rock deciso dei Dementials... finalmente arrivano gli scoppi elettrici a cui siamo abituati... Frank Loo e Phish-Eye sono sempre in gran spolvero... ritmo incalzante che trasuda feeling e voglia di vivere... ma Derek stavolta sovrasta De Grassi con la sua chitarra... La band passa da brani liquidi a canzoni più complesse... di nuovo una ballata di Derek Hansen, intitolata Goodbye Forever: Si avverte uno spirito anacronisticamente hippie nella risoluzione sonora..."


Un locale di Soho dalle luci verdastre, come di sala operatoria. Il barista: «Amico, non si sente bene?»
Derek: «Stavo proprio riflettendo su questo: sul come mi sento. Ma deve capirmi: sono un... cantautore.»
Il barista ha un sussulto. «Un cantautore, eh?» dice. E tiene la banconota di Derek in controluce, per controllare che non si tratti di un falso.


Domenica di maggio a Berlino. Un giorno molto caldo. Fredda era solo la canna della pistola che qualcuno gli piantò sulla nuca. Derek aveva troppi pensieri, tanto che non poteva più pensare. Meglio così: turbarsi verboten.
Chiuse gli occhi e, sotte le sue palpebre, spuntò la prima luna. Dolce e irresistibile nostalgia della notte.

BANG?

No, non ancora: soltanto un avvertimento. «Prova ad abbandonare la band e farai una brutta fine.»
"Una brutta fine? Quella l'ho già fatta. Goodbye Forever, dunque."

BANG!




"NEWS FLASH. Durante un concerto dei Demential Perspectives all'Odeon di Berlino, Derek Hansen, lead-guitar del gruppo, si è improvvisamente afflosciato sul palco senza più vita. È stato accertato che il giovane chitarrista è morto per uno sparo diritto al cuore. Qualcuno dal pubblico ha fatto fuoco su di lui. La polizia ha effettuato un'accurata perquisizione degli spettatori, ma ancora non sono stati trovati né l'assassino né l'arma. Il movente rimane oscuro. Derek Hansen proveniva dalla classe lavoratrice, un blue collar del rock..."






Io però so quello che cerco, e già molto tempo fa ho giurato che non avrei mai mollato la chitarra e la mia musica. Ma in molte radio non mi lasceranno cantare le canzoni autentiche, loro vorrebbero sentire merda di mucca allo stato puro e nient'altro. Per questo non potrò mai avere tutto quel denaro e quella roba per mantenere una casa e una famiglia... ma è vero, finora non ho fatto che mentire a me stesso quando dicevo che non la volevo, la casetta e tutto il resto. Adesso però Ruth mi metterà di nuovo in marcia. Non so per quanto dovrò cercarlo, ma so che troverò un posto dove poter cantare quello che voglio. Ho il cervello pieno di idee per chissà quante canzoni, mi sento come un albero carico di fiori e di colori. Canterò in tutti i posti dove mi staranno a sentire e ci penserà la gente a non farmi morire di fame.

(Woody Guthrie)