26 ott 2014

Addio a Jack Bruce



La notizia è esplosa nel web, subito dopo ripresa dai media "tradizionali": è morto, una manciata di ore fa, Jack Bruce.


Lo scozzese, considerato uno dei più grandi bassisti in assoluto, era uno dei miei “contatti” su Facebook.
Vecchio e malato (il tumore al fegato diagnosticatogli nel 2003 ha lasciato il suo segno...), qualche mese fa aveva annunciato l’uscita dell’album Silver Rails.


Io non l’ho comprato quel disco (non ancora), ma lo ho ascoltato su Spotify: un prodotto musicale sì energico, ma senza l’upbeat esagerato cui ci hanno abituato i gruppi giovani; un album bello, ovviamente nella tradizione del rock-blues, riuscitissimo grazie anche alla collaborazione di musicisti validi.
Alcuni brani di Silver Rails sono elegiaci, poetici, e ciò che risalta è la voce di Bruce, matura ma non affatto invecchiata. (Io ad esempio Leonard Cohen, tra i miei cantautori favoriti, non lo ascolto più da decenni perché non mi piace più il suo timbro, divenuto più basso e più scuro di prima; e la stessa cosa purtroppo devo dire di Dylan.)
Una voce davvero piacevolissima quella di Jack Bruce, e canzoni da ascoltare in pacifica solitudine.






Negli Anni Sessanta Jack Bruce fondò, insieme a Eric Clapton e al batterista Ginger Baker, i Cream, trio innovativo di cui lui fu il più proficuo compositore nonché il cantante.


Prima dei Cream ci fu ovviamente la gavetta. Trasferitosi molto giovane a Londra con un’educazione musicale da controbassista, era stato membro del gruppo di Alexis Corner, e lì colui che azionava i drums era Charles Watt (poi passato ai Rolling Stones).

Il background originario di Jack Bruce era il jazz, e il jazz, sposatosi con il blues assimilato tramite Korner & Co., gli consentì di offrire al pubblico una musica che andava al di là del rock’n’roll, del rock di consumo. Fu questo speciale mix uno degli ingredienti del successo dei Cream.


Dopo i Cream, Bruce suonò con Frank Zappa (in Silver Rails c’è un track dal titolo “Hidden Cities” che è decisamente zappiano), e anche con Lou Reed, ed entrò a far parte della All-Starr Band di Ringo Starr.
Sto ascoltando proprio in questo momento brani dal suo ultimo album e da dischi precedenti (quelli degli Anni Novanta e Duemila). Un rock piacevolissimo, purtroppo non coronato dal successo universale. Ma questa musica avrà di certo trovato le sue strade per entrare nelle camerette di giovani idealisti e fin dentro i rifugi di anime sperdute alla ricerca di un appiglio, di un suggerimento, di una ragione per accettare l’esistenza.


Jack Bruce, così come il meno noto ma ugualmente bravo e “mitico” Andy Fairweather-Low (lead guitarist e leader degli storici Amen Corner, e per fortuna ancora vivo e vegeto), ha rappresentato una sorta di enciclopedia musicale vivente. Gente bianca cresciuta sull’Isola di Albione che va a riallacciarsi alla tradizione della musica nera per riproporla, arricchita dalla cultura britannica/europea, su questa sponda e poi sull’altra dell’Atlantico, restituendola ai neri che a loro volta con questa “beat music” ci giocheranno per restituirci la palla, che noi raccoglieremo e riplasmeremo insieme agli impulsi della cultura hippy (country-rock, psychedelia...) per farne qualcosa di nuovo e di diverso nel contempo (The Stranglers, Talking Head, il punk, The Clash, ma anche tutto il progressive rock) e...

Sì.

Grazie di tutto, Jack. Riposa in pace.

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