29 nov 2014

Addio a Joe Vescovi (The Trip)

R.I.P. Joe.
                                                            Joe Vescovi nel 2010

Almeno quando se ne vanno loro, i musicisti, rimangono i suoni...
Sto ascoltando Atlantide di The Trip su Spotify. Una band talmente importante che si merita la citazione anche su Wikipedia in inglese. E pensare che quando è nato il gruppo non c'era Internet, non c'erano nemmeno i CD, per tacere degli mp3. Oggi il suono del progressive viaggia veloce, un tempo ci si informava solo tramite poche riviste specializzate e radio pirate disturbatissime, si faceva fatica a procacciarsi le opere prog su vinile e spesso, una volta fatto, le si copiava su nastro magnetico per poterle ascoltare anche quando si era in viaggio ("trip"!!) o comunque per gustarsele più agevolmente e senza "incidenti di puntina". 






Joe Vescovi era davvero all'avanguardia con il suo gruppo storico, proiettandosi in un niente dal beat al rock progressivo di taglio internazionale: mi sta dando tantissimo questo riascolto per così dire post mortem. Trattasi, più precisamente, di un trip... post human. Non lasciamoci prendere dalla tristezza. Anzi: questa musica (la musica di Atlantide, ma anche degli album successivi che risalgono agli Anni Settanta) racchiude il senso del divenire eterno, il trasformarsi instancabile di spirito e materia, e forse era anche ciò che Joe, tastierista d'eccezione, voleva comunicarci: che tutto scorre.  
Vaffanculo alla morte, sì, e ridiamo, o piangiamo euforici. Grazie Joe Vescovi per tutto. 




Live al 'Prog Exhibition' di Roma del 2010: Wegg Andersen, Joe Vescovi e Furio Chirico, con la collaborazione di Fabrizio Chiarelli (chitarre e voce) e Angelo Perini (basso)












Keyboardist Joe Vescovi is a member of The Trip from 1969 till now, Acqua Fragile from 1974-75, and Dik Dik in the mid '70s.

At the beginning of the 80's he founded Knife Edge with members from Vanadium, Vanexa and Kaos Rock

He also play with Atomic Rooster during the 1982 Italian tour.


22 nov 2014

Neil Morse - 'One' (album intero)



Viene dalla gavetta e lasciò l'America (più precisamente: la California) quando era ancora un Mister Nobody per visitare l'Europa come musicista girovago: Neal Morse.



Dopo essersi fatto le ossa nel Vecchio Continente rimpatriò e, insieme al fratello Alan, fondò gli Spock's Beard...
Il progressive rock è dunque la sua via.



Neal, tastierista e cantante (ma sa suonare anche la chitarra), un bel pezzo di strada l'ha percorsa insieme a Mike Portnoy (Dream Theater). Insieme hanno formato, nel 2000, il supergruppo Transatlantic.

In One, album del 2004 che tratta della (ri)scoperta di Dio, l'amico Portnoy è alla batteria (impossibile pensare Portnoy lontano dai tamburi/drums e dai piatti/snares) e Randy George (richiestissimo multistrumentista, ex Ajalon) suona il basso elettrico.
Fondamentalmente, questo è un trio fisso e costituisce la Neal Morse Band. Che è uno dei progetti progressive più interessanti degli ultimi quindici anni.
                                                   Da sinistra: George, Morse e Portnoy

Spezzoni della registrazione del loro album Momentum:

11 nov 2014

"Hey You", cover by Ben Karlstrom

Ecco un pluristrumentista fantastico!



"Hey You", in un'ottima cover del musicista e produttore canadese Ben Karlstrom.

 Don't give in without a fight...

...Open your heart,
I'm coming home...



But it was only fantasy.
The wall was too high,
As you can see.
No matter how he tried,
He could not break free.
And the worms ate into his brain.


The Endless River - Un fiume di emozione senza fine

Articolo di Nico "Art" Randone





Per un floydiano, un musicista ed un autore che, come me, sa di dover molto alla musica dei Pink Floyd per la propria ispirazione artistica, il 7 Novembre è stata una data molto attesa ed importante; anche sforzandosi di evitare aspettative troppo alte, non ho potuto fare a meno di credere che The Endless River oltre ad essere il loro ultimo album, sarebbe stata un’opera grandiosa. Anche a rigor di logica il più ottuso dei complottisti avrebbe riconosciuto che, per Gilmour e soci, lasciare al mondo come ultima eredità un brutto disco non era di sicuro una strada percorribile e di certo non si sarebbero creati il problema di lasciare all’ottimo The Division Bell il non difficile compito di chiudere la già fortunata serie di opere d’arte di cui l’umanità potrà fruire fino alla notte dei tempi.
Purtroppo è plausibile che, di questi tempi, per far soldi si sarebbe anche capaci di distruggere un mito senza troppe cerimonie e, nonostante la logica alla base del precedente pensiero fosse assolutamente accettabile, non sono riuscito ad allontanare da me la nera possibilità che The Endless River sarebbe stata solo una trovata commerciale, in definitiva una delusione. I recenti “parti” di buona parte delle reunion hanno spesso generato creature tutt’altro che originali, in alcuni casi (vedi Battiato) perfino deformi e deludenti sotto ogni profilo; a questo si aggiunga che l’ultimo dei Floyd era stato presentato come un album che avrebbe raccolto alcune session di The Division Bell, in sostanza gli scarti di un lavoro bello ma sicuramente non importantissimo come altri… (sospiro)… la possibilità di una delusione non era poi così remota!
Comunque, sperare che la data del 7 Novembre non sarebbe mai arrivata è stato piuttosto inutile ed è così che quando il buon vecchio amico Secco si è presentato alla soglia della mia porta con il prezioso oggetto fra le mani, è andato a quel paese anche l’iniziale progetto di ascoltare il vinile a distanza di qualche giorno nella speranza che, nel frattempo, arrivasse qualche voce dal web che il disco fosse una cacata e basta (con basse aspettative sicuramente non s’incorre in delusioni).


Dopo aver consumato insieme una gustosa cenetta, io, Bro, il Secco, Maria ed il Corallo siamo stati chiamati verso la stanza destinata all’ascolto: chi mi conosce sa che da quando ho iniziato ad ascoltare musica ho sempre “preteso” di avere un “suono” che, oltre ad essere fedele, fosse immersivo e prepotente al punto da non permettere alcuna interazione umana diversa da uno sguardo od un sorriso, una volta dentro la tana dell’audiofilo pazzo, il primo a cedere alle emozioni è stato il Corallo che è fuggito da lì a poco tuttavia, nonostante il suo vigliacco abbandono, abbiamo lasciato che il cassetto del mio storico Yamaha accogliesse il supporto che il buon amico Secco stava già porgendomi da qualche minuto. Mentre l’Arcam iniziava a scaldarsi i transistor, il primo bit trasferito agli ingressi analogici da convertitori di primissima qualità stava già accarezzando i pneumatici delle Chario ed è così che, disteso nel grande letto, con Bro a destra ed il buon amico Secco a fianco, è iniziato con Maria l’ascolto di The Endless River che già dalla prima “atmosfera” ci ha inevitabilmente trascinato ai confini del mondo visibile. Da quel momento fino alla fine del disco, in un tempo indefinito che alla percezione umana è volato come tutte le cose belle, è stato un susseguirsi di emozioni potenti condite dal piacere di sentirle condivise, lì ho riscoperto un’emozione che credevo sepolta nel mio passato e cioè quella di ascoltare un disco nuovo dall’inizio alla fine senza aver bisogno di storcere il naso davanti ad una nota fuori posto, un’atmosfera portata per le lunghe, un ritornello troppo orecchiabile ed un senso di già sentito: aspetti, ahimè, decisamente frequenti negli album di quest’epoca.
Qualcuno ha detto che con opere dell’anima di tale livello, ogni parola che voglia descriverle è inutile; concordo in pieno e senza riserve su questo pensiero, i Floyd hanno la grande capacità (a quanto pare ancora viva) di far suonare le corde della nostra anima a frequenze uniche ed originali ove la risposta del singolo, assolutamente imperscrutabile, va semplicemente vissuta a livello emotivo; per questo e per altro non mi sento di fare alcun commento razionale sui quattro momenti in cui si divide The Endless River perchè ritengo sia compito di ogni anima interpretarle, mi permetto solo di dare un consiglio a chi dovesse ancora approcciarlo: ascoltatelo dall’inizio alla fine, magari con gli occhi chiusi, ancor meglio con amici che condividono la vostra stessa passione, perfetto se floydiani anche loro… sono sicuro che ovunque voi siate, partirete per un viaggio che non potrà che farvi del bene.
Concludendo voglio solo dire grazie a Richard Wrigh perchè motore emotivo di questo bellissimo disco, e grazie infine all’anima floydiana, sui cui “scarti” si fonda The Endless River, che ha reso possibile questo capolavoro, donandomi ancora una volta emozioni che porterò con me e nella mia musica fino alla fine del mio tempo.


Nicola Randone - Il mondo di Art




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Nico(la) Randone è un musicista che, da solo e con la sua band - Randone - ha saputo ergersi a uno dei protagonisti del nuovo progressive rock italiano.
L'ultima sua produzione reca il titolo Ultreia - Canzoni sulla via: un CD dedicato al Cammino di Santiago e ai "caminador".
L'album - disponibile anche in .mp3 - è davvero notevole e mi piace qui citare tre-quattro track che sono davvero da antologia del prog: "Mariposas", "Soy peregrino", "So close, so far away"...

In "Soy peregrino" spicca la voce del celebre baritono Corrado Carmelo Caruso, già star guest in un altro album dei Randone: Hybla.






Per meglio comprendere il mondo artistico di Nick/Nico/Nicola Randone è fondamentale fare riferimento a questi indirizzi:

Il mondo di Art: ilmondodiart.com
La band: band.randone.com
Youtube Randone: www.youtube.com/nicolarandone
Myspace Randone: www.myspace.com/randoneprog







8 nov 2014

Nuove cantautrici: Louise D'Arcy



Un'altra grande artista costretta ad autoprodursi. Stavolta siamo in Australia, più precisamente a Brisbane, e la ragazza in questione è Louise D'Arcy, venuta alla ribalta (beh, non proprio... ma le è servito quantomeno per crearsi un circolo di ammiratori) nel 2008 con l'EP Long Road.



Con la sua voce cristallina ma già adulta, voce adatta alle cover-"pelledoca", e con il suo stile e l'aspetto che richiamano alla mente dive del folk e del rock come Joan Baez, Carol King e Joni Mitchell, la D'Arcy può considerarsi una freccia che viaggia verso il firmamento. 
Si merita senz'altro un futuro non solo artistico ma anche commerciale. 



Ora però, vedendo in che modo l'industria discografica ha trattato, distorcendoli, i lavori di tanti bardi e angeli dell'universo dei suoni, verrebbe quasi voglia di augurare a questa cantante di rimanere senza contratto ancora un bel po'... 
Peccato però che non si viva solo di sogni! La speranza, dunque, è che qualche mecenate decida di produrre un nuovo disco di Louise D'Arcy, possibilmente lasciando spogli gli arrangiamenti... come se si trattasse dell'opera di un novello Leonard Cohen. 




La somiglianza di Louise con Joan Baez è a tratti flippante. E, sebbene lei ammiri le girly singers dell'ultima generazione, la sua connessione culturale e sentimentale con il folk americano di fine Anni Sessanta è più che discernibile. Di se stessa Louise dice:

                            "I wanna be Bob Dylan, just a little more girly."



Durante e dopo l'uscita dell'EP, le iscrizioni al suo
canale di Youtube sono cresciute vertiginosamente per un po', ma ovviamente occorre quel "qualcosina in più" che serva a lanciarla veramente. "La più bella voce di Brisbane" ha ora anche un'homepage fatta in maniera professionale (fateci una capatina! potrete ascoltare gratis altre sue canzoni), ma ciò che manca è, appunto, qualcuno che decida di investire su un album e una tournée.





Louise all'inizio sembrava alquanto delusa da come andavano le cose, ma recentemente si è convinta a non desistere e ha pubblicato online la sua canzone "Crazy (Wild Heart)"


http://www.amazon.it/Crazy-Wild-Heart-Louise-DArcy/dp/B00OJS3CPY/ref=sr_1_16?ie=UTF8&qid=1415458062&sr=8-16&keywords=louise+d%27arcy


Già in passato l'Europa è stata il trampolino di tante carriere musicali. Invito tutti gli europei che amano la voce e le canzoni di Louise D'Arcy, quindi, a sostenerla concretamente: iscrivetevi al suo canale e, se possibile, acquistate Long Road  e "Crazy" !


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Official website: http://www.louisedarcy.com








"Crazy (Wild Heart)". Qual è la versione migliore? Quella acustica o quella ufficiale? Giudicate voi stessi.




1 nov 2014

I Nucleus



I londinesi Nucleus sono, insieme ai Soft Machine, tra i pionieri del jazz rock e della fusion.
Formati dal trombettista Ian Carr nel 1969, rimasero attivi per un trentennio.


 1969... e, sotto, live nel '74



Carr era una delle due "star" del Rendell-Carr Quintet, con cui raccolse molti applausi negli Anni Sessanta e dove, come pianista, figurava Michael Garrick (tra i jazzisti britannici più importanti in assoluto). 

Il nuovo progetto - appunto i Nucleus - rappresentò il Regno Unito al Festival di Montreaux del 1970... e si aggiudicò il primo premio. Quindi ci fu lo sbarco in America, con la partecipazione al Newport Jazz Festival.


 


I Nucleus incisero una dozzina di album e furono di ispirazione a tanti altri gruppi e artisti. Il loro suono (che includeva parti atonali) progredì negli anni, incorporando atmosfere e sonorità del rock progressivo e di quello psichedelico e, da circa la metà degli Anni Settanta, ritmi funk.


Lo stesso Ian Carr pubblicò ottimi libri sul jazz (Music Outside, 1973; Miles Davis: A Critical Biography, 1982; Keith Jarrett, The Man and his Music, 1992..) e curò alcuni programmi radiofonici per la BBC. La sua attività principale rimase la docenza.






Formazione iniziale:
 

Ian Carr (tromba/filicorno)
Karl Jenkins (piano, corno baritono, oboe)
Brian Smith (sassofono, flauto) 

Bernie Holland (chitarra)
Jeff Clyne (basso, chitarra basso) 

John Marshall (batteria)




 
Con il tempo nel gruppo si avvicendarono altri musicisti:


    Tromba e filicorno: Kenny Wheeler, Harry Beckett, Chris Batchelor
    Sax tenore, sax soprano, flauto: Bob Bertles, Phil Todd, Tim Whitehead
    Clarinetto, clarinetto basso, sax tenore: Tony Roberts, Tony Coe
    Piano e piano elettrico: Dave MacRae, Gordon Beck, Geoff Castle
    Chitarra: Chris Spedding, Allan Holdsworth, Jocelyn Pitchen, Ray Russell, Ken Shaw, Mark Wood
    Chitarra basso: Ron Mathewson, Roy Babbington, Roger Sutton, Billy Kristian, Mo Foster, Rob Burns, Dill Katz, Rob Statham, Joe Hubbard
    Batteria: Clive Thacker, Tony Levin, Bryan Spring, Roger Sellers
    Percussioni: Chris Karan, Trevor Tomkins, Aureo de Souza, Richard Burgess, Chris Fletcher
    Synthesizer: Keith Winter, Paddy Kingsland, Geoff Castle, Neil Ardley
    Voci: Norma Winstone, Joy Yates (moglie del pianista Dave MacRae), Kieran White
    Organo: John Taylor




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