28 feb 2019

Conoscete i Telegraph?

I Telegraph sono una band israeliana molto Canterbury-like / symphonic prog.




Il miglior pezzo del loro album Mir (2018) è, secondo Topolàin, il terzo, "Gravity". Trovate la traccia al minuto 14:21.
Ma ovviamente il disco va ascoltato in toto. Ed ecco infatti che avete a vostra disposizione, qui sopra, l'opera nella sua totalità. Nella speranza che alcuni di voi la comprino. 

(Mir tra l'altro si vende discretamente bene, almeno tra gli appassionati di progressive rock…)


Line-up:
Avi Barak: Drums and Flute
Liran Herrnstadt: Bass and Vocalist
Eze Sakson: Organ, Mini Moog, Electric Piano, Piano, Mellotron
Tal Rubinstein: Electric, Acoustic, 12 strings guitars and vocals



L'album è stato ispirato dalla curiosa storia del cosmonauta Sergei Krikalev, che venne lasciato da solo nella stazione spaziale dopo il collasso dell'URSS.


Maggiori informazioni suhttps://telegraphband.bandcamp.com

***********


  Mir su Amazon.com I Telegraph sono anche su Facebook. Qui!
----> https://www.facebook.com/Telegraph.theband/




23 feb 2019

Un segreto ben custodito: Time Of Commotion

Bisogna immaginarsi che cos'era la Germania negli Anni 70. Un terreno proficuo per tanti nuovi artisti e gruppi, e il termine (in parte dagli stessi artisti tedeschi odiato) che tutto il mondo imparava a memorizzare era: Krautrock.


Insieme a Eloy, Hölderlin, Karthago, Guru Guru, Grobschnitt e come altro si chiamavano le band dell'epoca (alcune, incredibilmente, attive fino a oggi… o di nuovo insieme dopo tanti decenni, giusto per deliziare i fan del rock progressivo Made in Germany), c'erano anche i Time Of Commotion. Che già promettevano di diventare "il" gruppo per eccellenza della scena Kraut... Senonché, già nel 1976 si sciolsero. Senza aver mai inciso un disco. Peccato, perché il loro rock, che si avvolgeva come una serpe gentile intorno a temi classici, era davvero originale, pur se già c'erano state diverse band a cimentarsi nell'impresa di coniugare Bach, Vivaldi, Beethoven eccetera agli strumenti elettronici (The Nice, Ekseption, Procol Harum e tante altre). I giornalisti che seguivano il mondo prog nella patria di Goethe erano benevoli con i Time Of Commotion. Anzi: alcuni di loro giuravano che i quattro di Lüdinghausen (nella Renania Settentrionale-Vestfalia) sarebbero stati presto osannati dovunque. Purtroppo, come detto, nel 1976 la band cessò (almeno apparentemente) di esistere.




Poi, 42 anni dopo, esce Live From The 70s - Es Ist Nie Zu Spät, sia come LP che come CD Digipak. Si tratta delle registrazioni di allora, ri-edite; e, ascoltandole, capiamo benissimo l'entusiasmo dei critici musicali del tempo. Uno dei quali scriveva con toni ingenui, in un suo articolo:


Il futuro della musica rock appartiene alle tastiere! Ce lo dimostra questo giovane gruppo tedesco… In America e in Inghilterra, del resto, già lo sanno: il sintetizzatore, il piano elettrico e l'organo prenderanno pian piano il posto della chitarra...Il Melody Maker, al pari del Billboard e di tutte le altre riviste più lette, ha annunciato: Keyboards are the future of rock!



I giovani in questione erano i due tastieristi/organisti Hans Biermann e Jürgen Wimpelberg (mellotron, organo, piano elettrico e diversi marchingegni elettronici). Herbert Janke al basso. Andreas Alba, batterista.

Ed è proprio Andreas Alba che qualche settimana fa, intervistato dalla rivista specializzata Eclipsed, ha affermato: "I Time Of Commotion morti e sepolti? Ma quando! Ogni tanto ci siamo esibiti dal vivo, in tutti questi anni e, ora che è uscito Live From The 70s, penso che mi siederò di nuovo alla batteria…"


Andreas Alba (a sinistra) e Herbert Janke (a destra) oggi, mentre rivangano tra i ricordi di concerti suonati davanti a migliaia di persone


Se vi piace la musica rock che gioca con temi classici o simil-classici, comprate l'album: rimarrete stupiti della bravura del quartetto tedesco-occidentale.

Fondata nel 1968, la band, dopo anni di sperimentazione con vari chitarristi, decise di affidarsi principalmente alle tastiere. Artisticamente fu un successo, ma non si fece mai avanti una casa discografica disposta a investire su di loro…

Fino a ieri!


15 feb 2019

Don Backy vs Celentano

Quanto tempo è trascorso dai tempi del Clan? Mezzo secolo! Eppure, i rancori non si sono mai sopiti... 








In questi giorni sto ascoltando una raccolta tripla di canzoni del Maestro Capone (alias Don Backy), che, credo a ragione, è da considerare tra i grandi autori della musica leggera nostrana. 
Tutti quanti conosciamo le sue perle degli Anni '60-'70: "L'immensità", "Cara", "L'amore", "Canzone", Casa Bianca"... I CD n. 2 e n. 3 della raccolta contengono canzoni sue più recenti, alcune in arrangiamento reggae, altre decisamente rock (in concomitanza con testi allegramente arrabbiati); ma anche qui non mancano i piccoli capolavori romantico-esistenziali (vedi "Buonanotte", che reputo fantastica e all'altezza dei brani più famosi dell'artista; ma anche canzoni degli Anni '80 del rango di "Sognando" e una perla "ecologica" del 1998 dal titolo "Terra").



Ricercando sul web, noto che Don Backy porta avanti anche un'attività letteraria a latere (è appena uscito un suo nuovo libro) e che, lontano dai riflettori, non ha smesso mai di polemizzare con vari personaggi di case discografiche che gli avrebbero fregato i diritti d'autore o se ne sarebbero presi una parte senza essere in diritto di farlo (vedi il tanto citato Detto Mariano).

E ora scopro che, intervistato da Il Tempo, "Don" ha ancora voglia di dire la sua, parlando a ruota libera. Eccolo criticare Adriano Celentano e il prodotto celentanesco che quasi tutta Italia chiama un 'flop', ovvero la serie a cartoni Adrian.

****




Rimestare in consimili paludi è sempre utile: si capisce qualcosa di più del mondo dello spettacolo e dell'entertainment.


Riporto in toto l'articolo (questo il link). L'autore è Davide Di Santo (d.disanto@iltempo.it).






Don Backy e il guru Celentano: "Se fa il santone è colpa mia"

Il cantautore ex Clan: "Da quando ho scritto per lui Pregherò si crede Gesù". E sul flop di Adrian: "Ha preso l'idea dalle mie commedie musicali a fumetti"




10 feb 2019

Riproposta di recensione: 'Fourth / Fifth' dei Soft Machine

(Articolo già apparso su Debaser)







E' la riproposta in doppio pack - e ovviamente digitalizzata - dei due loro album del 1971 e 1972. In totale 14 track. Sono quelli della svolta stilistica che avrebbe portato la "Morbida Macchina" ad avvicinarsi sempre più a una transavanguardia tipo Nucleus (molti dei membri dei Nucleus sarebbero via via entrati a far parte di questa band). Il percorso dei Nucleus e dei Soft Machine è indubbiamente simile: anche i primi approdarono infine a un suono elettronico dalle tinte funky... 



Gli Anni Sessanta si stanno congedando. Con Kevin Ayers e Daevid Allen che ormai scorrazzano per conto proprio (l'australiano Allen a quanto pare non può rientrare in Inghilterra per un problema di passaporto e darà vita ai Gong in quel di Parigi) e Robert Wyatt che pensa di abbandonare il gruppo per fondare i Matching Mole (ha già inciso un album in proprio e Fourth sarà l'ultima sua collaborazione con la Machine), è il tastierista Michael Ratledge a prendere in mano le redini. Il resto della band è formata dal suddetto Wyatt - tuttora - ai drums, dal sassofonista Elton Dean e da Hugh Hopper al basso. Questi ultimi due, insieme a Ratledge, costituiranno il nocciolo del gruppo anche in Fifth.



Fourth è il loro primo disco completamente strumentale e si avvale dell'apporto di Marc Charig (tromba), Roy Babbington (contrabasso), Nick Evans (trombone), Jimmy Hastings (flauto, clarinetto) e Alan Skidmore (sax tenore). La virata decisa verso la fusion di rock e jazz - già intravista in Third - si compie qui. Il jazz rock è ovviamente presente nei primi lavori dei Soft Machine (chi non ricorda lo splendido "Out-Bloody-Rageous"?), così come in quelli di tutti gli altri gruppi della scuola di Canterbury, ma lì era contraddistinto da un sound più caldo e impreziosito dalle melodie di Wyatt. Il maggior punto in comune tra Fourth e i lavori precedenti è la razionalità elettronica di Ratledge. La psichedelia primigenea va ricercata tra le righe, e il disco non soddisfa certo i consumatori del progressive ma molto, invece, chi ama Miles Davis, Chick Corea e la musica totale.



Il primo pezzo "Teeth" è una brillante composizione arricchita dagli accenti swing del contrabasso di Babbington, che lascia poi il posto al basso elettrico di Hopper; le cascate pianistiche si alternano con le armonie dei fiati (belle le sfumature del clarinetto di Hastings) e, dopo un furioso "solo" dell'organo di Ratledge, il tutto culmina in un'improvvisazione collettiva. "Fletcher's Blemish" è anch'esso un brano di alta qualità jazzistica in cui l'elegiaco soffio del sax di Elton Dean viene sostituito da un graffiante coro di tutti gli strumenti. "Virtually", suite in quattro parti di Hopper, tradisce la lungaggine e qualche ripetizione di troppo... Insomma, siamo lontani lontanissimi dalle atmosfere di "Moon In June" e "Dedicated To You But You Weren't Listening", anche se non si può non ammirare la virtuosità di tutti.




Un senso di sospensione, di incompiutezza risolutiva, persino nell'ottica di una dimensione cool-jazzistica, si avverte in Fifth. Qui, John Marshall (ex Nucleus ed ex Jack Bruce Band) sostituisce Wyatt alle percussioni, anche se le sessions iniziali videro la partecipazione del batterista di free jazz Phil Howard. Marshall è altrettanto bravo di Wyatt e senza ombra di dubbio molto più "tecnico", ma per molti l'abbandono del folletto e membro fondatore significò l'inizio del declino dei Soft Machine. Anche in Fifth non c'è traccia dei canoni di quel rock psichedelico (per molti versi giocoso e zappiano) della prima ora. Rabbia & Energia sono sì presenti, ma, a conti fatti, Fifth ricalca senza molta fantasia il quarto album (soprattutto in "As If", "All White", "Drop"), di cui può considerarsi un pendant. Nessun timbro esistenziale bensì freddo estetismo, e l'impressione conclusiva è che i musicisti siano alla ricerca di un finale liberatorio che però non arriva.



***

«I signori di Canterbury. Esordio scoppiettante, secondo disco fondamentale, che getta le basi per il rock di Canterbury, terzo disco monumentale. Lodi infinite a Wyatt, Ayers, Ratledge e soci. Dopo Third e l'ottimo Fourth con l'abbandono di Wyatt, la virata Jazz-Rock che ha prodotto comunque buone cose (Six). Immensi.»


La "Scuola di Canterbury" comprendeva, tra, gli altri, Soft Machine (qui nella foto), Gong, Caravan e Camel



Commenti 

Pulp
Opera: | Recensione: |
La scena di Canterbury è ricca di capolavori...dei Soft Machine mi è piaciuto molto Third ma questo devo ancora ascoltarlo. Complimenti, bella recensione! 

47
Opera: | Recensione: |
fourth è fantastico, fifth mi annoia... 

donjunio
Opera: | Recensione: |
Bella rece. Io però mi sono fermato al terzo passo, questi non li ho ancora sentiti. 

charley
Opera: | Recensione: |
Davvero una bella rece, bravo. 

manliuzzo
Opera: | Recensione: |
Ma che bella recensione! Fourth l'ho ascoltato in parte, Fifth no. E'strano, i Soft Machine mi attirano, ma non riesco a cominciare ad ascoltarli. comunque un'altra rece ci volev, e tu hai colmato benissimo la lacuna. Bravo 

OleEinar
Opera: | Recensione: |
Conosco solo third, devo approfondire. I successivi a questi come sono? 

supersoul
Opera: | Recensione: |
Fourth non è da 3, anche se Wyatt fu messo in minoranza dal resto del gruppo, il suo drumming in questo disco è eccezionale. 

Longliverock
Opera: | Recensione: |
Third è il loro capolavoro. Fourth è un pò inferiore,ma straordinario. Fifth non l'ho ascoltato tutto. 

the green manalishi
Opera: | Recensione: |
Beh già Third è abbastanza tosto da digerire (ma comunque degno di nota), dici che dovrei beccarmi anche questi? 

Slim
Opera: | Recensione: |
"Teeth" vale tutto il disco, bellissimo il filmato che gira su Youtube di loro che lo registrano in studio. 

paloz
Opera: | Recensione: |
Beh, calma... Fifth è una bella schifezzuola, ma il quarto mi era piaciuto non poco. Diciamo, senza contare 5th, un bel 4/ 4 e mezzo... 

Gregor_Lake
Opera: | Recensione: |
Recensire insieme due dischi dei Soft Machine è in linea con la scelta di unire i due dischi in uno, e questa come quella è forse una nota di demerito, franc. D'altronde due dischi incredibilmente diversi, più che matura svolta il 4, piccolo passo falso il 5 

hjhhjij
Opera: | Recensione: |
Il voto fa media: Fourth vale ancora 3,5-4 ma fifth non mi è piaciuto affatto, delusione, per me non vale più di 2. 

Hell
HellDivèrs
Opera: | Recensione: |
Come tutti gli altri... Il voto va solo a "Fourth". 

scaruffoditurno
Opera: | Recensione: |
interessante anche il blog 

ranofornace
Opera: | Recensione: |
"no stars by ranofornace" Soft Machine 4 ottimo - 4, Soft Machine 5 - discreto 3