11 ott 2015

Count Basie

Buon jazz a tutti!
Eh sì, perché oggi è domenica e, come spesso accade, è   jazz day   per Topolàin!

Uno dei nostri preferiti in assoluto: Count Basie




Il grande pianista e compositore di Red Bank, New Jersey, si trasferì a vent'anni, nel 1924, ad Harlem (quartier generale del jazz), dopo che per circa quattro anni aveva pestato i tasti bianchi-e-neri nei propri paraggi, in festicciole e in ogni altra occasione possibile. Andò in tournée con orchestre di Chicago, St. Louis e Kansas City prima di formare la sua propria big band, che, tra alti e bassi, avrebbe diretto per circa mezzo secolo.
La Count Basie Orchestra era formata da due sax tenori e mirava a enfatizzare la parte ritmica. "Count" fin da ragazzino era stato affascinato dalle percussioni, anche se poi era diventato un pianista.
Fece parte della sua orchestra gente di talento quale i sassofonisti  Lester Young e Herschel Evans, il chitarrista Freddie Green (vedi video d'apertura), i trombettisti Buck Clayton e Harry "Sweets" Edison e i cantanti Jimmy Rushing e Joe Williams. Tra i migliori drummers su cui Basie poté contare ricordiamo soprattutto Sonny Payne, immediatamente seguito da Rufus Jones.



Quello di Count Basie era un jazz ballabile, piacevole, uno swing "radio-friendly", gradito anche ai bianchi. Fin da subito l'effetto d'attrazione sugli amanti della musica (della musica senza barriere di generi) fu formidabile.



Dopo i grandi successi negli Anni Quaranta viaggiando a destra e a manca per gli States, non solo nei club ma anche sull'onda delle frequenze radio, nel 1950 la popolarità della band era in declino, e problemi finanziari costrinsero Basie a scioglierla (come furono costrette allo scioglimento tutte le grandi orchestre dell'epoca, all'infuori di quella di Duke Ellington). Per i seguenti due anni, William Allen Basie, che aveva voluto chiamarsi "Count" seguendo l'esempio di Duke Ellington e di Earl Hines, diresse ora un sestetto, ora un gruppo di nove musici. Tra costoro: Clark Terry, Wardell Gray, Buddy DeFranco, Serge Chaloff e Buddy Rich, e dunque il fior fiore dei talenti jazzistici non solo di allora ma di ogni tempo. Una vera e propria band, Basie poté rimetterla in piedi nel 1952 con l'aiuto del cantante e amico Billy Eckstine, per la cui orchestra scriveva gli arrangiamenti già a metà degli Anni Quaranta.




In seguito a numerose registrazioni, in studio e dal vivo, Count Basie divenne un punto di riferimento del jazz e il suo gruppo una sorta di istituzione e scuola per giovani musicisti. Non c'era quasi nessun "novizio" che non volesse suonare con Count Basie. 
Nel 1954 compì il primo tour europeo, approdando anche in Scandinavia. Il cantante in questo "giro" sul Vecchio Continente era Billy Eckstine (col quale nel 1959 avrebbe registrato un disco considerato uno classico nell'ambito della storia delle big band: Basie and Eckstine Inc., che si avvale degli arrangiamenti di Quincy Jones).

Il brano "Every Day I Have the Blues" con Joe Williams del 1955 vinse il Grammy Hall of Fame Award nel 1992. Ma di Grammy ne aveva vinti tanti altri, prima e dopo, anche se i suoi dischi, pur se pregevoli (Breakfast Dance del 1959, Barbecue dello stesso anno, Dance with Basie del 1960, Basie at Birdland del 1961 e The Legend del 1962) non vendettero tantissimo.

Per incrementare i guadagni, Basie si dedicò a collaborazioni con diversi cantanti, come Frank Sinatra (avvalendosi in questo caso degli arrangiamenti di Quincy Jones), Tony Bennett (1958/1959), Ella Fitzgerald (1963), Sammy Davis jr. (1965) e Jackie Wilson (1968). Gli appassionati di jazz più integralisti non amano questo particolare periodo della biografia di Count Basie e a suo tempo gli mossero diverse critiche. Lo stesso "Count" dovette rendersi conto di aver imboccato una via poco consona alla dignità di un Jazzista con la "j" maiuscola e, alla fine degli Anni Sessanta, tornò a una musica più in linea con la sua storia. Non si può tuttavia negare la grandezza della registrazione "live "con Sinatra At the Sands di Las Vegas nel gennaio-febbraio 1965 (Reprise): un classico dello swing e uno dei migliori concerti sia per il cantante sia per la band e per l'arrangiatore.

Nel 1970 registrò l'album Afrique, un disco sperimentale e all'avanguardia che fu nominato ai Grammy Awards dell'anno successivo.







Nei primi Anni Settanta passò alla Pablo Records, con cui rimase fino alla morte. Di questo periodo sono gli album Basie Jam, Basie and Zoot, Prime Time e The Gifted Ones, con Dizzy Gillespie.







Nel 1976 ebbe un attacco cardiaco che ne interruppe la carriera per diverso tempo e negli Anni Ottanta dovette esibirsi a volte su una sedia a rotelle.

Morì a Hollywood il 26 aprile 1984.




10 ott 2015

Brano del giorno: "All to Myself Alone"

... di Ray Charles





Nato ad Albany, Georgia, nel 1930, Ray Charles Robinson inizia fin da piccolo a cantare in chiesa. Intorno ai cinque anni accusa gravi problemi alla vista e nel giro di pochi mesi diviene irrimediabilmente cieco.




Cresce in condizioni di estrema povertà nel periodo più buio dell'odio razziale negli USA. Nessuno intorno a lui potrebbe prevedere, date le premesse, che, crescendo, il piccolo Ray diventerà uno dei migliori esponenti del rhythm'n'blues, del blues e del soul. Nonché un buon conoscitore del country e del jazz. L'appellativo "The Genius", che gli affibbiano fin da quando si lancia verso i cieli del professionismo, è assolutamente azzeccato.

Le masse certamente lo ricordano per la sua apparizione nel film cult The Blues Brothers (regia di John Landis, con John Belushi e Dan Akroyd nei ruoli principali). Ma quello fu, insieme al concerto del 1981, uno dei punti d'arrivo della sua carriera. Nel 1980 infatti Ray era una leggenda vivente; e un uomo forse già malato, pur se mai indomito. (Sarebbe morto nel 2004 a seguito di una malattia del fegato.) 




Dopo aversi fatte le ossa con il gospel, crea il suo primo gruppo, il "McSon Trio" nel 1947, sullo stile del celebre "Nat King Cole Trio".

La malinconica "Georgia On My Mind", omaggio allo Stato Federale da cui proviene, rimane di certo il suo hit più conosciuto, anche se il vero autore della ballata è Hoagy Carmichael. (Per maggiori dettagli, andate sul sito ufficiale di Ray Charles.) 



Altri due grandi successi del pianista-cantante sono "I can't stop loving you" (bellissima, ideale per gli innamorati) e "Hit the Road, Jack" (movimentata, secondo la migliore tradizione R&B).





La prima metà della sua vita è stata raccontata nel film Ray,  del regista Taylor Hackford, su copione di James L. White. Ray illustra episodi biografici significativi, cominciando con il viaggio del musicista a Seattle fino all'onore che gli concesse la Georgia dichiarando la canzone "Georgia On My Mind" un po' l'inno ufficiale di quello Stato del Sud; le vicende sono punteggiate da flashback della prima gioventù. Jamie Foxx, l'attore protagonista, ha fatto un lavoro talmente convincente nell'interpretare il grande Ray da guadagnarsi un Oscar.



Anche la versione di Ray Charles della traditional song "America The Beautiful" ha lasciato il segno, tanto che parecchi americani si sono chiesti - e ancora si chiedono - chiedono se non sia opportuno sostituire l'inno Star-Spangled Banner con questa canzone.







Nel 2010 Alexis Spraic ha girato un documentario di due ore in cui il noto attore David Duchovny guida lo spettatore attraverso Ray Charles’ America.



9 ott 2015

Brano del giorno: "Give Peace a Chance"

... di John Lennon (1969)




                        Happy Birthday, John!



Happy 75th birthday - but was shot dead in New York on 12/8/1980.


8 ott 2015

Brano del giorno: "Can't You Hear Me Knocking"

... dei Rolling Stones

Live al Madison Square Garden di NY nel gennaio 2003. 11 minuti di meraviglioso blues rock.