Debutto per il toscano Jonhatan Tenerini, batterista professionista, compositore ed endorser per i marchi Tama, Ufip, Vater Drumsticks e Remo Drumheads.
Jonhatan Tenerini & NSP (Noisy Shadows Project) - "Berbero", live
Disco dal carattere fusion/prog strumentale, Noisy Shadows fonde tecnica e sperimentazione attraverso arrangiamenti in costante mutamento tra vasti paesaggi sonori e groove pulsanti, poliritmie e risonanze che rendono distinguibile la vena artistica dell’artista.
Il disco si è sviluppato con il tempo. La sua nascita può farsi risalire al 2017, quando viene composta "4 P.I.E." (undicesima e ultima traccia in questo album). Tenerini si ispira a gruppi come la Chick Corea Elektric Band e i Toto, oltre che ai maestri della batteria Dave Weckl, Simon Phillips e Jeff Porcaro. In questo suo viaggio tra diversi stili e generi, echeggiano anche memorie di Enya e Hans Zimmer.
Il titolo Noisy Shadows racchiude l’identità del disco: “Noisy” come il “rumore” del suono, inteso come presenza incessante e costante e “Shadows”, come le visioni interiori proiettate in musica, con un cambio frequente delle melodie e degli stati d’animo che attraversano ogni traccia.
Il quartetto è composto da:
Jonhatan Tenerini alla batteria, Matteo Moscardini al basso,
Francesco Gracci alla chitarra e Federico Gerini a piano e synth.
Il suono è volutamente acustico, caldo e naturale. Non sono stati usati compressori o equalizzatori sulla batteria - registrata con microfoni artigianali valvolari e a nastro; la stessa inclinazione analogica vale per basso e chitarra.
I synth danno un senso di profondità, mentre i cori hanno una funzione fortemente evocativa: le voci tibetane in "Walnuts Essence", le voci soavi in "One Row" e quelle epiche nell'opener "The Hole".
Anche gli arrangiamenti e le atmosfere sono mutevoli: emergono su tutto le influenze arabe in "Berbero" e i richiami giapponesi in "Yokai".
Noisy Shadows è disponibile su tutte le piattaforme digitali, di seguito un link per l’ascolto:
Avventurose o, come direbbe qualcuno, "fuori di testa"?
In realtà si tratta qui di tre opere che vogliono stendere le antenne in direzione musica sperimentale, con uno dei tre lavori (il primo) che può avere - e ha - anche un alto valore di intrattenimento.
Nuove uscite "diverse". La prima è Core 'ngrato, del Guarino Savoldelli Quartet. Piacerà a tanti! Gli altri due album solo per cultori e amanti dell'elettronica.
Corrado Guarino è un nome noto nella scena jazz italiana, nonostante le sue pubblicazioni non siano numerose. Per Core 'ngrato ha collaborato con l'acclamato cantante Boris Savoldelli, già conosciuto alla maggior parte dei lettori di Exposé per la sua associazione con Moonjune Records e per svariate uscite su quell'etichetta. A completare il quintetto ci sono Guido Bombardieri al sax alto e clarinetto, Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso e il batterista Stefano Bertoli: tutti loro hanno tutti suonato in precedenti dischi di Guarino (Chi? del 2004, una serie di cinque album-tributo dal nome Le Fiabe del Jazz pubblicati tra il 2008 e il 2011, e Si Vede Che Era Destino (2011), nonché probabilmente in alcuni altri di cui non sono a conoscenza. La band era dunque ben affiatata già prima dell'arrivo di Savoldelli, ma sono le sue vocalizzazioni camaleontiche e le alterazioni vocali elettroniche che rendono questo album così avvincente e unico.
Savoldelli e Guarino hanno composto solo due dei dieci brani dell'album. Tre canzoni sono tradizionali (risalgono al XVII e XIX secolo), il resto è di altri compositori. La maggior parte dei pezzi sono leggermente rilassati, alcuni allegri e aggressivi - come ad es. "Ciceranella", che sono certo di aver già ascoltato prima [...] “So' Le Sorbe e Le Nespole Amare” è un altro pezzo potente e melodico dal sapore decisamente folk, che offre al sassofonista Bombardieri spazio per brillare. Ogni traccia qui è eccezionale e offre una gamma di idee jazzistiche e vocali che stupiranno l'ascoltatore.
Tomeka Reid, cello Jason Roebke, bass Mary Halvorson, guitar Tomas Fujiwara, drums
La cellista Tomeka Reid (sue tutte le composizioni) ha licenziato nel 2023 questo album di "musica avventurosa", esplorando nuova matematica sperimentale con il suo quartetto stellare, che è così giunto alla terza pubblicazione.
Nel corso di tre motivi/pezzi che confluiscono insieme (proprio come un set che il gruppo suona in concerto), l'album cattura il meglio di questo ensemble d'avanguardia. Il quartetto della Reid si muove con grazia, senza fretta, calibrando costantemente - evolvendola - la conversazione in corso.
Un progetto "storico", essendo stato fondato nel 1969! 50 anni di musica elettronica su un CD (click!)
Nella primavera del 1969 David Borden era compositore-pianista alla Cornell University (ambito: Danza), ma per due anni aveva anche lavorato - preminentemente nottetempo - presso la Moog Company di Trumansburg, NY, a breve distanza da Ithaca, cercando di comprendere le funzioni del sintetizzatore Moog (allora in fase di sviluppo) e cercare possibilità per usarlo in performance dal vivo.
All'inizio Mother Mallard era un media per eseguire nuova musica alla Cornell, poiché nessun altro lo faceva. Steve Drews fu il primo a unirsi a Borden. David aveva 30 anni, Steve 23. Mother Mallard presentava nei suoi concerti composizioni di Robert Ashley, Morton Feldman, Daniel Lentz, Jon Hassell, Terry Riley, John Cage, Philip Glass, Steve Reich...
Con il MiniMoog e altri sintetizzatori e con l'aiuto della tastierista Linda Fisher, nonché grazie al patrocinio di Bob Moog, il progetto prese davvero vita...
Gli ultimi concerti e le ultime registrazioni di Mother Mallard's Portable Masterpiece Co. risalgono al 2019, e in quei frangenti vennero usati gli strumenti originali degli Anni Settanta.
Elettronica /sperimentazione. David Borden e Steve Drews dal vivo insieme a Judy Borsher, dall'album Like a Duck to Water (Cuneiform Records)
Il jazz torna all'Aquila e nelle altre località colpite dal terremoto del 2009
🎶 "𝐀𝐛𝐢𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨𝐧𝐨" è il tema della decima edizione del 𝑱𝒂𝒛𝒛 𝒊𝒕𝒂𝒍𝒊𝒂𝒏𝒐 𝒑𝒆𝒓 𝒍𝒆 𝒕𝒆𝒓𝒓𝒆 𝒅𝒆𝒍 𝒔𝒊𝒔𝒎𝒂, la manifestazione che, dal 2015, ha portato e continua a portare nella città dell'Aquila e nelle regioni colpite dal terremoto del 2016 la più importante e numerosa rappresentanza del jazz italiano.
Per questa edizione saranno oltre 𝟑𝟎𝟎 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐫𝐭𝐢𝐬𝐭𝐢 𝐜𝐨𝐢𝐧𝐯𝐨𝐥𝐭𝐢, oltre 60 eventi e concerti complessivi, 15 piazze, 20mila spettatori attesi.
Scopri tutto sulla nuova edizione diretta da 𝐅𝐫𝐚𝐧𝐜𝐞𝐬𝐜𝐨 𝐃𝐢𝐨𝐝𝐚𝐭𝐢, 𝐆𝐚𝐛𝐫𝐢𝐞𝐥𝐞 𝐌𝐢𝐭𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐞 𝐔𝐠𝐨 𝐕𝐢𝐨𝐥𝐚.
Lorenzo Cellupica è probabilmente meglio conosciuto nei circoli del progressive rock (indirizzo: jazz rock) per il suo coinvolgimento come tastierista negli eccellenti Möbius Strip. Scoprire questo suo In A Haunted Househa rappresentato una piacevole sorpresa. Cellupica usa qui solo il pianoforte ed è interessato a portarci in una direzione non esattamente diversa da quella dei Möbius Strip: lo stile è sicuramente espressionista (e qui ci siamo), ma In A Haunted House è un lavoro molto personale, più "classico" e ad ogni modo più "colto". Ci pare di cogliere echi di Debussy, addirittura di Musorgskij, con qualche passaggio atonale e salite e ridiscese che sarebbero piaciute a un Rimskij-Korsakov. (Poiché il jazz è stato anticipato dalle innovazioni dei grandi compositori del XIX e XX secolo ed è compenetrato da tali nuove correnti.)
Dall'inizio alla fine del CD, l'attenzione dell'ascoltatore è "intrappolata" in una serie di quadri e quadretti, motivi, invenzioni e improptu davvero geniali nella loro apparente semplicità costruttiva. Ma, se vi attendete un'opera leggiadra, frivola, siete completamente fuori binario. È l'esecuzione che ci fa apparire tutto così scorrevole e di (relativo) facile ascolto.
È una festa di note ed è arte. Le melodie fluiscono e fluttuano con emozione, un'emozione filtrata da un'ironia falsamente distaccata; si rincorrono, giocano con se stesse in una narrazione di storie concettualmente slegate, ma legate dal filo rosso del gesto musicale. Tra la varietà di tempi e una vasta gamma di stati d'animo, si individua effettivamente la posa, l'atteggiamento, la movenza... l'impulso creativo che attraversa il pentagramma.
"Spider" sembra imitare i movimenti di un ragno, ora frenetici, ora più tranquilli; "Eleventh Avenue" evoca la passeggiata lungo un viale di una metropoli come New York...
Il romanticismo obliquo di "Round Midday" e "Anything To Say" forma stagni di riflessione che racchiudono, circondandola, la title track, ricca di cromatismi e che, davvero, ci fa intravedere gli spettri (irrequieti!) cui si riferisce il titolo. Tutti gli altri pezzi vanno altresì gustati e studiati con l'orecchio di chi è allenato a distinguere gli accenti a levare, i diminuendo inattesi, le progressioni. In questo senso, "Egg Dance" si presenta come uno dei brani più ricchi tra i 10 che compongono l'album, con la "visione" dell'uovo che danza sul getto d'acqua: immagine mai statica, non scevra di variazioni, che, sullo strumento dai tasti bianchi e tasti neri, si tramuta in una musica tra lo sbarazzino e il ponderato.
Notevole inoltre la versione che Lorenzo Cellupica ci offre di "We Can Work it Out": omaggio al geniale duo McCartney-Lennon.
Un bel regalo, lo sottolineiamo. Una serie di composizioni che, interpretate con seriosa naturalezza, vogliono invitarci quasi a fermarci e ad andare un po' indietro nel tempo, per circondarci di cose essenziali, cose non banali ma caratterizzate da un'intelligenza rigogliosa.
Una vita purtroppo breve (1957-2002), ma ricordata con affetto e a tratti con malinconia da numerosi amici e colleghi musicisti
Nimba è un volume a cura di Carlo Verri
Non occorre essere un conoscitore del jazz per trovare piacere in questo libro, che è l'omaggio a uno dei batteristi migliori che abbiamo avuto in Italia. Il fatto poi che Nimba - Giampiero Prina - 1957-2002 sia uscito per la Scivales Music, casa editrice di un musicista (Riccardo Scivales), ne aumenta il valore.
L'idea nasce da Carlo Verri, amico di Giampiero e fotografo legato al jazz: Verri ha voluto raccogliere pensieri e ricordi attorno alla cara persona scomparsa. Così, su oltre 130 pagine si dipanano episodi, particolari, tracce di vita... le asserzioni di dozzine e dozzine di persone che hanno conosciuto Prina; memorie ora tenere, ora non scevre da dettagli tecnico-biografici che farebbero la gioia di ogni musicologo.
Il libro è stato fortemente voluto anche dal pianista/compositore/didatta jazz Claudio Angeleri, che collaborò spesso con Prina e lo ebbe anche fra i pregiati docenti del suo CDpM-Centro Didattico produzione Musica - Europe.
Sostanzialmente Prina sulla batteria era autodidatta, eppure è riuscito a diventare uno dei drummer più apprezzati non solo in Italia ma in Europa. Al conservatorio aveva seguito studi regolari di clarinetto e sassofono. E se la cavava bene anche al pianoforte e al vibrafono...
La lista di nomi di coloro che su queste pagine hanno lasciato la loro testimonianza fa rilucere gli occhi degli appassionati del jazz (e della buona musica)!
Nimba, il libro sul grande Giampiero Prina, si può ordinare qui: Amazon.com, Amazon.it
Le fotografie a corredo delle varie narrazioni sono molto belle e richiamano l'atmosfera di club fumosi (non solo a Milano) e di stanze piene di quadri, arte, conversazioni interessanti... la cornice dell'evoluzione di Prina.
Inserisco qui sotto alcuni stralci delle tante attestazioni di stima per il percussionista e per l'uomo Giampiero Prina: note estemporanee che rappresentano altrettanti reperti esistenziali; brani di vita di un personaggio umano, colto, disponibile. Ho preso delle frasi e dei capoversi qua e là, quasi a caso. Ma sono dozzine, centinaia di ricordi, aneddoti...
Adrianne West:
Un grande musicista con un incredibile senso dello humor, divertente e allo stesso tempo capace di grande concentrazione… semplicemente fantastico!
Tullio De Piscopo:
Giampiero mi ha sempre colpito per la sua serietà e la determinazione nella musica jazz. Penso sia stato un punto di riferimento per il genere e un grande supporto per tanti musicisti sia italiani che stranieri come Franco Cerri, Giorgio Gaslini, Gianni Basso, Renato Sellani, Claudio Angeleri, John Taylor, Phil Woods, Mitchel Forman, Buddy Collette, Sam Rivers per citarne solo alcuni.
Daniele Panetta:
«Hey Dani, proviamo in questo modo. Esci dalla stanza e poi rientra improvvisamente emettendo dei suoni che esprimano tutta la rabbia che hai in corpo. Ad ogni tuo urlo corrisponderà un colpo delle mie bacchette. Poi proviamo con la malinconia ed altri stati d’animo e vediamo che succede…»
Questo fu l’approccio alle prove che stavamo facendo per quello che sarebbe stato il CD Duets, che purtroppo non abbiamo fatto in tempo a registrare.
Furio Di Castri:
È stato solo all’inizio del 2000 che Dado Moroni ci ha proposto di suonare in trio. Ricordo un concerto e una splendida session in Rai, di cui conservo gelosamente la registrazione come un bene prezioso. Quel trio avrebbe potuto fare grandi cose. L’empatia era totale. Giampiero era maturato con lo studio dell’armonia e della composizione ed era diventato un musicista ancora più straordinario. Sereno, attento, propositivo e con un grandissimo senso melodico. Aveva occhi dolci e profondi e un sorriso delicato che ispirava serenità e calore. Di poche parole, lasciava sciogliere la sua riservatezza in una grande forza espressiva e riusciva a trasfondere con leggerezza il dramma che stava attraversando. Era una persona unica, ed è passato nella nostra vita come un alito di vento fresco e salvifico.
Lino Patruno:
Purtroppo Giampiero aveva un male incurabile e le cure a cui si sottopose furono vane. Ci lasciò a 45 anni, affranti e commossi.
Aveva iniziato studiando percussioni giovanissimo presso la “Civica Scuola di Musica” di Milano (e anche il clarinetto) e dopo poco tempo era già sui palcoscenici e nelle sale d’incisione con alcuni fra i grandi musicisti italiani, fra i quali ricordiamo Franco Cerri, Giorgio Gaslini, Carlo Bagnoli, Massimo Urbani, Gianni Basso, Larry Nocella, Flavio Boltro, Dado Moroni, Paolo Tomelleri…
Con il passare del tempo ebbe l’occasione di suonare anche con alcuni grandi del jazz: Joe Venuti, Harry “Sweets” Edison, Milt Jackson, Buddy Collette, Tony Scott, Benny Golson, Jon Faddis, Gary Burton, Sam Rivers, James Moody, Sal Nistico, Bob Wilber, Slide Hampton, Barry Harris…
Attivo anche come insegnante, tenne seminari didattici a Siena Jazz, ad Asti e in Messico. Si esibì in Svizzera, in Francia, in Jugoslavia, in Grecia, in Tunisia, in Austria e negli Stati Uniti.
Uno straordinario talento musicale strappato prematuramente alla vita, ma ancora oggi ricordato con l’affetto di molti che difficilmente lo dimenticheranno.
Massimo Caracca:
Mi parlava spesso delle sue esperienze più recenti; ne citerò un paio qui di seguito. La prima riguardava una serata in un noto locale jazz milanese alla quale partecipai. Alla fine del concerto, mi parlò della difficoltà di essere filologici con uno specifico stile. Quella serata, infatti, era nata come bebop, ma in realtà fin dai primi assoli il linguaggio e il fraseggio erano stati contaminati con altri stili più recenti. In tal senso, mi fece notare quanto fosse impossibile poter suonare solo in un determinato stile in un periodo storico diverso. La seconda esperienza fu ad Umbria Jazz, accompagnando Gary Burton e Milt Jackson nello stesso concerto: in tale occasione, Giampiero palesò l’approvazione dei due interessati nelle scelte di aver accompagnato in modo libero Gary Burton, e invece più sobrio e lineare Milt Jackson.
Il percorso fatto con Giampiero è stato fondamentale per la mia crescita come persona, musicista e maestro.
Carlo Magni:
Lo conobbi nella scuola di musica dove insegnavo, il CDpM di Bergamo. Avevo già nella mia discografia alcuni vinili di gruppi che lo vedevano protagonista alla batteria e mi avvicinai, con il timore reverenziale di chi sa di avere davanti ancora una lunga strada da percorrere. Detto francamente, ero un pivello!
Trovai davanti a me un uomo dal cuore grande, disponibile e con un desiderio d’imparare e di migliorare sempre. Non mi balenava l’idea di chiedergli se avesse piacere a suonare in uno dei miei gruppi. Come ho detto, stavo imparando l’arte del jazz e mi sembrava un azzardo e, forse, anche un insulto, fargli una proposta del genere. Inaspettatamente, però, un giorno in cui stavamo registrando un album (era il lontano 1995), uscendo dalla sala d’incisione per una pausa, me lo trovai davanti con le bacchette in mano. Aspettava il classico allievo che dà buca. Presi coraggio e mi buttai: «Giampiero, perché non registriamo un brano improvvisato?» Mi attendevo una risposta del tipo: «No, non è il momento. Me lo dovevi dire in anticipo». E invece Giampiero era entusiasta dell’idea! Io ero euforico ma, allo stesso tempo, preoccupato di fare una brutta figura! Con Riccardo Fioravanti al contrabbasso, nacque così Impro nr° 2, poi pubblicata nel CD In Side Out, e iniziò una collaborazione.
I quadri e le poesie di Giampiero Prina (era bravo anche come pittore e come poeta) arricchiscono il libro, che contiene anche alcune ricette e uno spartito. Documenti che rendono più compiuto il ritratto dell'uomo e artista.
Con la morte di Ahmad Jamal (1930-2023), dopo quella di Wayne Shorter, il jazz perde uno degli ultimi protagonisti di un tempo che ha segnato la storia del Novecento.
Ecco il pianista in un bello scatto di Roberto Sanna: Jamal è qui sul palco di 'Time In Jazz' nel 2011.
Ahmad Jamal - 'The Awakening' (1970)
Nato come Frederick Russell Jones a Pittsburgh il 2 luglio 1930, si è spento a Sheffield (Massachusetts) il 16 aprile scorso. Cambiò il suo nome in Ahmad Jamal dopo la sua conversione all'Islam avvenuta nel 1950.
Per sei decenni, nel ruolo di leader di piccoli gruppi, ha ottenuto un grande successo. Oltre a essere un Jazz Master del National Endowment for the Arts (NEA), ha vinto un Grammy alla carriera per i suoi contributi alla storia della musica.
Ha iniziato a suonare il pianoforte all'età di tre anni. A sette anni fu allievo di Mary Cardwell Dawson, che lo influenzò fortemente. Le sue radici a Pittsburgh sono rimaste una parte importante della sua identità ("Pittsburgh significava tutto per me e lo è ancora", ha detto nel 2001). Lì era immerso nell'influenza di artisti jazz come Earl Hines, Billy Strayhorn, Mary Lou Williams e Erroll Garner. Jamal ha anche studiato con il pianista James Miller e a quattordici anni era già un pianista professionista, lodato tra gli altri da Art Tatum. A un critico del New York Times, Jamal ha raccontato: "Ero solito praticare, e praticavo con la porta aperta, sperando che qualcuno passasse e mi scoprisse. Non sono mai stato uno stakanovista, nel senso di coloro che suonano dodici ore al giorno, però ho sempre pensato alla musica. Penso sempre alla musica".
Ahmad Jamal - mix of songs
Suoi stili: jazz tradizionale, hard bop, modal jazz, cool jazz, post bop.
Gravi colpi del destino contrassegnarono la sua infanzia. Ray veniva da un ambiente molto povero e, a sette anni, accecò.
Ray Charlesera un musicista afroamericano dai molti talenti, non vedente. Un appellativo che gli hanno dato è: "Sommo Sacerdote del Soul". Lo chiamavano anche The Genius. Ma quando era con amici e colleghi preferiva essere chiamato "Fratello Ray" (Brother Ray).
"Georgia On My Mind"
"Hit the Road Jack"
Era nato in condizioni di estrema povertà in quel di Albany, Georgia, il 23 settembre 1930. Il padre biologico, assente, era Bailey Robinson, operaio manutentore dei binari ferroviari (un "Gandy Dancer", come questi operai venivano chiamati). Bailey non conobbe mai il figlio.
La madre, Aretha, decise di trasferirsi a Greenville, in Florida, quando Ray aveva sei mesi. Ray venerava sua madre.
Fu un bambino curioso e assai interessato alla musica, con un forte senso del ritmo. Era solito ascoltare il programma radiofonico Grand Ole Opry (celebre trasmissione di country emanata settimanalmente da Nashville) insieme al blues e allo swing. C'era inoltre - dettaglio importantissimo - la musica gospel della chiesa battista dove lo portava la madre.
I tempi erano duri. La baracca fatiscente dove Ray Charles era cresciuto non aveva nemmeno l'acqua corrente. Nella sua autobiografia, Brother Ray, il musicista avrebbe poi ricordato: "Persino rispetto agli altri neri di Greenville, noi eravamo in fondo alla scala sociale".
"Easy Riding Gal"
Alla povertà si aggiunsero varie sciagure. Ray aveva cinque anni quando il suo fratellino George, di un anno più giovane, annegò dentro una tinozza. Successivamente iniziò a deteriorarsi la sua vista, per colpa di un glaucoma, e. non potendo permettersi la sua genitrice di affrontare le cure mediche del caso, Ray Charles divenne completamente cieco a soli sette anni.
In seguito frequentò la scuola statale per sordi e ciechi di St. Augustine, in Florida.
"Mess Around"
"I Got A Woman"
Imparò a leggere, comporre e scrivere musica in linguaggio Braille. Iniziò a suonare il clarinetto, la tromba, il sassofono e le tastiere. Sebbene alla St. Augustine School fosse stato introdotto alla musica classica, le sue prime vere esperienze come pianista furono sullo strumento di Wylie Pittman, un droghiere e suonatore di boogie che era solito prendersi cura di lui e di George (fino a che questi, come già scritto, non annegò).
A Ray piacevano i pianisti jazz come Art Tatum, Bud Powell, King Cole e Oscar Peterson. Si diceva che fosse in grado di arrangiare e orchestrare tutte le parti di una big band o di un'orchestra già a dodici anni... Tuttavia, persino la nuda sopravvivenza era difficile; per tutti, non soltanto per un aspirante musicista. I neri erano oppressi, venivano emarginati, li escludevano da molti ambiti della vita. Per Ray Charles, che aveva la pelle scura, le prospettive per il futuro si prospettavano nulle.
"What Have I Done"
"All To Myself Alone"
E poi, poco prima del suo quindicesimo compleanno, gli capitò pure di perdere all'improvviso Aretha, sua madre, la persona più importante della sua vita. Abbandonata la scuola, Ray Charles cercò di guadagnarsi da vivere con la musica. Ma Greenville non era il posto giusto per iniziare una carriera da artista. Così, l'adolescente cercò fortuna trasferendosi a Jacksonville, in Florida, dove fu in grado di ottenere qualche lavoretto come cantante e dove suonò occasionalmente in un paio di complessi. Intanto, registrava i suoi primi demo.
"I Wonder Who's Kissing Her Now"
All'età di diciassette anni, il semi-indigente Ray Charles si recò sulla costa occidentale degli Stati Uniti, stabilendosi per qualche periodo a Seattle. Lì incontrò Quincy Jones e il produttore di Little Richard, Bumps Blackwell. Charles formò un trio di chitarra, basso e pianoforte che funzionava molto bene. Il trio alla fine attirò l'attenzione di Jack Lauderdale, un veterano dell'industria musicale. Intorno al 1950 Ray si trasferì a Los Angeles per registrare per la Swing Time, l'etichetta di Lauderdale. Intanto, divenne padre per la prima volta. (Nel corso della sua vita, Ray Charles ebbe dodici figli da dieci donne diverse...)
"Heartbreaker"
Negli Anni '50 fu un pioniere della musica soul, fondendo, nei suoi primi dischi, generi diversi: rhythm & blues, gospel, blues. Canzoni sue di successo come "What I'd Say" e "Georgia On My Mind" segnarono l'inizio del pop internazionale di successo.
"What I'd Say"
Artista assai popolare, Ray Charles era benvoluto in ogni show musicale; le varie emittenti se lo contendevano. Numerose furono le sue apparizioni televisive e cinematografiche.
Nel 1986 venne inserito nella Rock and Roll Hall of Fame; il Grammy Award alla carriera (Grammy Lifetime Achievement Award) gli venne consegnato nel 1987.
"Hey Now"
Ray Charles nel Film The Blues Brothers
Ronnie Lamarque - "(Night Time Is) The Right Time" (Cover di un brano di Ray Charles)
È uno dei musicisti di fama mondiale con la biografia più interessante in assoluto. Nato a San F'rancisco il 9 settembre 1966, Tommy Guerrero è stato anche uno skater professionista. Fece parte infatti della Bones Brigade, che negli Anni Ottanta ha dominato il mondo dello skateboard.
Oltre a comparire in molti video di quel team di skateristi, ha recitato in piccole parti in alcuni film dell'epoca, tra cuiScuola di polizia 4, California Skate e i più recenti Sight Unseen e El Americano.
È il co-fondatore della Real, azienda che costruisce skateboard.
Alla carriera sportiva fece seguire quella di musicista. Free Beer e Jet Black Crayon furono i suoi primi due gruppi, dopodiché si dedicò all'attività solista. I suoi lavori, acclamati dalla critica, sono un misto di rock, rap, funk, soul, jazz. Sedici i suoi album finora. L'ultimo si intitola Sunshine Radio ed è del 2021.
Il suo Soul Food Taqueria fu, secondo Rolling Stone, il secondo miglior album in assoluto del 2003!
Well my real name is actually Alfa. Mist was a name I used for a while in secondary school, no real reason...
Già da adolescente produttore hip-hop, l'interesse di Alfa Mist per il campionamento lo ha portato a scoprire il jazz e, alla fine, a imparare da solo a suonare il piano, dopo aver visto il suo insegnante di musica eseguire "Ordinary People", di John Legend.
Nato a Newham, East London, Alfa voleva inizialmente diventare calciatore, ma sua madre lo ha costretto a completare il college. Dove ha studiato composizione musicale.
Ha pubblicato il suo primo EP da solista - Nocturne - nel 2015. La sua musica mescola hip-hop e ritmi da club con l'improvvisazione jazz. Nelle sue parole: Dark, alternative jazz with elements of hip-hop and soul.
Ha collaborato con diversi musicisti, tra i quali Jordan Rakei, Yussef Dayes, Kaya Thomas-Dyke, Emmavie e Tom Misch.
Nel 2021 ha pubblicato un album intitolato Bring Backs per l'etichetta musicale indipendente americana Anti-.
Si è anche esibito al We Out Here Festival 2021 ed è stato uno dei candidati ai MOBO Awards 2021.