Trovare l'uomo della vita pur conservando la libertà: un'impresa che a Joni Mitchell (ormai vetusta) non è mai riuscita.
La grande cantautrice canadese ha basato la propria arte su esperienze di vita, sfornando canzoni che "tu puoi sentire ma non puoi spiegare", come ha detto una volta Graham Nash.
A proposito di Nash: lui fu una delle romanze d'amore della splendida Joni; forse l'uomo più importante in assoluto... E si sussurra che Joni ebbe una relazione anche con Neil Young. Quest'ultimo, nella sua tournée americana del 1973, cantò "Sweet Joni" (una ballata ancora ufficialmente inedita). Tra l'altro Neil si esibì con lei sul palco di The Last Waltz (lo storico, bellissimo concerto di addio a The Band) in "Helpless" e "Acadian Driftwood".
Per completare il "link" affettivo tra la ragazza canadese e Crosby, Stills, Nash & Young aggiungeremo che la musica di Joni influenzò certamente i componenti del quartetto, e che a scoprire la giovane cantautrice, nientedimeno che in un club della Florida (e quindi nel Sud degli States culturalmente più distante dal blues, dal jazz... e dallo stesso folk-rock) fu David Crosby, che la portò con sé a Los Angeles, dove, all'inizio del 1968, produsse il suo album di debutto Joni Mitchell, noto anche come "Song To A Seagull".
Nacque nel 1943 a Fort MacLeod come Roberta Joan Anderson e cominciò a esibirsi nel 1964 a Toronto e dintorni. Lo stesso anno fu messa incinta e nel 1965 partorì una bambina che lei diede subito in adozione.
Appena poche settimane dopo, incontrò in un folkclub di Toronto il cantante americano Chuck Mitchell, con il quale si trasferì negli Stati Uniti, dove si sposarono. Due anni dopo (1967) ci fu il divorzio, e Joni, che di cognome ora faceva Mitchell, prese a girare da sola per café e club vari.
Fu al Gaslight South di Coconut Grove, Florida, che Crosby la scovò e ne rimase quasi letteralmente abbagliato.
Al primo album seguì Clouds (maggio 1969), contenente due tra i brani più "coverati" della cantautrice: "Chelsea Morning" e "Both Sides Now". Clouds ottenne un Grammy: niente più poteva mettere un freno alla fama di Joni Mitchell...
In tutto, durante la sua carriera, di Grammy ne avrebbe vinto ben otto.
Nel 1996 la cantante venne accolta nella Rock and Roll Hall of Fame.
Dal 2007 non canta più.
Non canta più. Ma, se vi fate un giretto per YouTube e altre piattaforme "internettiane" che ospitano video e clips musicali, vedrete che è pieno di ragazze che, armate di chitarra, rendono omaggio a Joni Mitchell. E' una testimonianza di amoroso riconoscimento per la cantautrice che, soprattutto negli Anni Settanta, fu tra i portavoci della sua generazione.
Ad affascinare, ancora oggi, è il suo modo di scrivere canzoni, la sua tecnica chitarristica, i suoi esperimenti stilistici (Joni fu una grande amante del jazz; logico: in casa dei suoi genitori abbondavano i dischi di swing)... e, ovviamente, la sua voce.
Proiettiamoci nello Stato di New York, nell'estate del 1969: centomila persone e un centinaio tra musicisti e cantanti marciano verso un campo abbandonato, dove celebreranno una "tre giorni di Love & Peace". Anche Joni Mitchell avrebbe dovuto essere presente su quell'appezzamento di terreno di Bethel... ma si era già impegnata per partecipare in tivù al Dick Cavett Show.
Il caos in quella zona nei pressi della Big Apple è enorme, le macchine non passano; e lei rischia di arrivare in ritardo agli studi dell'emittente televisiva ABC. "Fu il più grande evento per la mia generazione... e me lo lasciai sfuggire!" riconobbe lei stessa più tardi.
Non era presente, dunque, a Woodstock; ma, attraverso le immagini che vide sul piccolo schermo e grazie al racconto che le fece Graham Nash (con il quale da qualche mese conviveva nel Laurel Canyon, la strada dei divi di Hollywood), poté comporre quello che diventò l'inno commemorativo dello storico meeting: "Woodstock", appunto; che si rivelò un successo per Crosby, Stills, Nash & Young (undicesimo posto nella classifica americana dei dischi più venduti) e per Matthews Southern Comfort (primo posto in Gran Bretagna).
Dichiarò David Crosby: "Joni ha descritto le sensazioni e l'importanza di Woodstock molto meglio di chiunque vi fosse stato presente!"
Dichiarò David Crosby: "Joni ha descritto le sensazioni e l'importanza di Woodstock molto meglio di chiunque vi fosse stato presente!"
La stessa Joni cantò la canzone a metà settembre 1969 al Big Sur Festival, e la inserì nel suo terzo LP: Ladies Of The Canyon. Il disco, uscito nel 1970, conteneva due altri titoli divenuti poi celebri: "Big Yellow Taxi" e "The Circle Game".
Mentre il primo album era talmente acustico da poter essere definito "quasi spoglio" (in maniera cohenesca) e il secondo si serviva altresì di pochissimi abbellimenti sonori, nel terzo c'erano strumenti quali il flauto, il sassofono e il violoncello. Anche i testi erano diventati più comprensibili e non gravitavano più nell'orbita dylaniana. Ad esempio, in "Big Yellow Taxi" si trova la frase: "They paved paradise and put up a parking lot" ("Coprirono il paradiso di cemento, trasformandolo in un enorme parcheggio"), e con ciò Joni fornì - per così dire - una colonna sonora al movimento ecologico, che stava muovendo i primi passi.
Negli Stati Uniti Joni era una "stella" tra i cantautori folk e rock. In Europa lo divenne soprattutto dopo la sua partecipazione al Festival dell'Isola di Wight ("Volli andarci sebbene io non ami i grandi palcoscenici"). Al più tardi nel 1971, di lei si parlava anche in Italia: Carlo Massarini, al microfono di Per Voi Giovani (trasmissione più tardi presentata anche da Raffaele Cascone, Massimo Villa, Claudio Rocchi...), fa udire tra le altre cose (e per "altre cose" intendo Led Zeppelin, Eric Clapton, Jimi Hendrix...) le canzoni della cantautrice canadese.
Il Canada! Non è da quelle estese lande settentrionali che arrivano Neil Young e forse il più mitico tra tutti i cantautori (fu anche poeta e romanziere), ovvero Leonard Cohen?
Già! Allora l'America era quasi un altro mondo per noi italiani, e la musica che usciva dalla radio era l'unico trait d'union tra la nostra quotidianità - spesso maccheronica, comunque desolante - e gli splendidi racconti di "Suzanne", "Chelsea Hotel", "Famose Blue Raincoat" (Cohen), "Down By The River", "Cinnamon Girl", "Cowgirl In The Sand" (Young), "Both Sides Now", "Carey", "A Case Of You" (Mitchell).
Le due ultime canzoni appena citate si trovano nel quarto album di Joni: Blue, pubblicato nel giugno 1971. Un disco nuovamente alquanto spartano negli arrangiamenti. Si ode il dulcimer degli Appalachi, si odono chitarre e pianoforte.
A collaborare a Blue vennero chiamati "Sneaky" Pete Kleinow (un asso della pedal steel guitar), Stephen Stills (basso, chitarra), James Taylor (chitarra) e Russ Kunkel (drums). Joni Mitchell ha composto, arrangiato e prodotto tutte le canzoni, separandosi così (almeno musicalmente) da Graham Nash ("Willy"), condannando la commercializzazione della festa del Natale ("River") e lanciando una severa quanto tenera ammonizione contro l'uso di droghe ("Blue").
Lei stessa una volta dichiarò di non essere mai caduta nel vizio delle droghe. Tranne...
"Nel 1975 ero una componente della Rolling Thunder Revue di Bob Dylan. Mi chiesero con che cosa volessi essere pagata. Sapevo che nel circo, a volte, i pagliacci vengono pagati con del vino. Allora dissi: 'Pagatemi con della cocaina'."
Nella primavera del 1976 incontrò il maestro di meditazione tibetano Chögyam Trungpa Ringpoche. Costui le insegnò una tecnica di respirazione mediante cui lei poté mettere fine alla sua pur breve carriera di junkie.
In Blue, la canzone forse più emozionante è "Little Green", dove Joni racconta della figlia che aveva data in adozione e che non aveva più vista. Quella figlia perduta "riappare" in un'altra sua composizione: "Chinese Cafe", nell'album del 1982 Wild Things Run Fast.
Un incontro tra le due donne avvenne solo nel 1997. La "piccola" era intanto madre di famiglia e Joni si ritrovò di colpo... nonna.
Già! Allora l'America era quasi un altro mondo per noi italiani, e la musica che usciva dalla radio era l'unico trait d'union tra la nostra quotidianità - spesso maccheronica, comunque desolante - e gli splendidi racconti di "Suzanne", "Chelsea Hotel", "Famose Blue Raincoat" (Cohen), "Down By The River", "Cinnamon Girl", "Cowgirl In The Sand" (Young), "Both Sides Now", "Carey", "A Case Of You" (Mitchell).
Le due ultime canzoni appena citate si trovano nel quarto album di Joni: Blue, pubblicato nel giugno 1971. Un disco nuovamente alquanto spartano negli arrangiamenti. Si ode il dulcimer degli Appalachi, si odono chitarre e pianoforte.
A collaborare a Blue vennero chiamati "Sneaky" Pete Kleinow (un asso della pedal steel guitar), Stephen Stills (basso, chitarra), James Taylor (chitarra) e Russ Kunkel (drums). Joni Mitchell ha composto, arrangiato e prodotto tutte le canzoni, separandosi così (almeno musicalmente) da Graham Nash ("Willy"), condannando la commercializzazione della festa del Natale ("River") e lanciando una severa quanto tenera ammonizione contro l'uso di droghe ("Blue").
Lei stessa una volta dichiarò di non essere mai caduta nel vizio delle droghe. Tranne...
"Nel 1975 ero una componente della Rolling Thunder Revue di Bob Dylan. Mi chiesero con che cosa volessi essere pagata. Sapevo che nel circo, a volte, i pagliacci vengono pagati con del vino. Allora dissi: 'Pagatemi con della cocaina'."
Nella primavera del 1976 incontrò il maestro di meditazione tibetano Chögyam Trungpa Ringpoche. Costui le insegnò una tecnica di respirazione mediante cui lei poté mettere fine alla sua pur breve carriera di junkie.
In Blue, la canzone forse più emozionante è "Little Green", dove Joni racconta della figlia che aveva data in adozione e che non aveva più vista. Quella figlia perduta "riappare" in un'altra sua composizione: "Chinese Cafe", nell'album del 1982 Wild Things Run Fast.
Un incontro tra le due donne avvenne solo nel 1997. La "piccola" era intanto madre di famiglia e Joni si ritrovò di colpo... nonna.
Da "Little Green" (ascoltala qui):
Born with the moon in Cancer
Choose her a name she will answer to
Call her green for the children that have made her
...
Child with a child pretending
Weary of lies you are sending home
So you sign all the papers in the family name
You're sad and you're sorry, but you're not ashamed
Little green, have a happy ending
La leggenda di Joni, per quel che mi riguarda, può benissimo terminare qua. Se volete approfondire il suo percorso musicale dopo l'uscita di Blue, vi rimando ai numerosissimi siti e ai libri dedicati a questa cantautrice. Da esplorare ci sarebbe molto, a iniziare dalla sua passione per il jazz, che si esprime nella sua collaborazione con il sassofonista Tom Scott (capo del gruppo fusion L.A. Express, con cui lei andò in tournée) e nel suo omaggio a Charlie Mingus, nonché nel suo lavoro insieme a Winton Felder e Joe Sample (fondatori dei Jazz Crusaders) e a Jaco Pastorius (Weather Report). Gustoso è anche quel capitolo della sua vita in cui David Geffen, boss della sua etichetta discografica, le chiese quasi esasperato di tornare a produrre un hit; lei lo fece senza battere ciglio, quasi fosse la cosa più semplice di questo mondo, scrivendo il sarcastico "You Turn Me On I'm A Radio" (nell'album For The Roses, 1972).
Negli Anni Ottanta, con "Tax Free" ebbe problemi con l'associazione dei predicatori religiosi televisivi - genìa che lei naturalmente non apprezzava. E la canzone "Lakota" aveva come tema gli scontri tra agenti dell'FBI e attivisti indiani, scontri avvenuti a Wounded Knee nel 1973. Si notava qui la sua tendenza ad abbracciare la virata verso la world music, un "trend" inaugurato da Peter Gabriel.
21 luglio 1990: si trovò sul palcoscenico nella Potsdamer Platz di Berlino - insieme a Peter Gabriel, Tom Petty, Willie Nelson e Billy Idol - nello spettacolo The Wall di Roger Waters, dove cantò "Goodbye Blue Sky" (video sottostante). E cantò anche, insieme ad altri, il titolo di chiusura dello show: "The Tide Is Turning".
Taming The Tiger fu certamente il suo album di punta di quel decennio... e anche l'ultimo per ben nove anni; o quantomeno l'ultimo che contenesse nuove composizioni.
I problemi con la voce (dovuti probabilmente al fumo) le diedero filo da torcere: la sua innata abilità da soprano (era capace anche di fare lo jodel o jodler, canto in falsetto tipico delle zone alpine) dovette lasciare posto a una tonalità in "alto". Ciò si sente benissimo in Both Sides Now (2000), dove interpreta soprattutto celebri brani jazz con l'accompagnamento di un'orchestra, e in Travelogue (2002), dove ripropone canzoni sue proprie.
Nel 2007, il suo album Shine arrivò a raggiungere il 14simo posto delle Billboard Charts. Nello stesso tempo, Herbie Hancock, pianista di Chicago suo stretto amico e collaboratore fin dai tempi di Mingus (1979), le dedica River: The Joni Letters, un omaggio che rivisita molti dei titoli degli Anni Settanta della cantautrice. River: The Joni Letters venne premiato con un Grammy.
La stessa Mitchell ottenne un Grammy (uno dei tanti!) per il pezzo strumentale "One Week Last Summer".
Ma è con le note di un'altra song che vogliamo concludere questo atto di riverenza alla "dolce Joni": "Refuge For The Roads".
(Da Hejira, 1976. "Hejira" è una parola araba [propriamente: hijra] che significa "viaggio".)
(Da Hejira, 1976. "Hejira" è una parola araba [propriamente: hijra] che significa "viaggio".)
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"Music was my first love..."