29 set 2015

Brano del giorno: "Heart With No Companion"

... di Leonard Cohen - cover version di Niall Connolly




"Heart With No Companion"

I greet you from the other side 
Of sorrow and despair 
With a love so vast and shattered 
It will reach you everywhere 
And I sing this for the captain 
Whose ship has not been built 
For the mother in confusion 
Her cradle still unfilled 

For the heart with no companion 
For the soul without a king 
For the prima ballerina 
Who cannot dance to anything 

Through the days of shame that are coming 
Through the nights of wild distress 
Tho' your promise count for nothing 
You must keep it nonetheless 

You must keep it for the captain 
Whose ship has not been built 
For the mother in confusion 
Her cradle still unfilled 

For the heart with no companion ... 

I greet you from the other side ...

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La versione migliore rimane ovviamente quella cantata dallo stesso Maestro nel suo fantastico album Various Positions:





27 set 2015

Jazz on Sunday: Sonny Rollins




Tra i longevi del jazz c'è sicuramente da annoverare Theodore Walter "Sonny" Rollins, newyorkese ma di genitori provenienti dalle Virgin Islands.


Il "Colosso del Sax" come è stato chiamato, è tra i pionieri del moderno jazz. Iniziò a suonare a 7-8 anni e, dopo aver iniziato con il be-bop, passò ad altri stili. Inizialmente venne influenzato, come tanti altri, dai suoni "jump" e Rhythm&Blues di artisti del rango di Louis Jordan, per poi orientarsi ai grandi sax tenori compresi in quell'ampio raggio che va dal "duro" Coleman Hawkins ai frasisti "leggeri" tipo Lester Young. Erano gli Anni Cinquanta e il be-bop stava scrivendo la propria appassionante storia. Non c'è dunque da sorprendersi che, a vent'anni o giù di lì, Rollins idolatrasse Charlie Parker. Lui stesso ebbe la fortuna di avere un mentore d'eccezione: il pianista e compositore Thelonious Monk, che lo sentì suonare spesso (molte volte a casa dello stesso Monk).



La vita di Sonny Rollins è un romanzo ed è anche un esempio di come, dopo ogni caduta, ci si può rialzare. Nel 1950 viene arrestato per rapina a mano armata e condannato a tre anni di carcere. Sconta "solo" dieci mesi (a Rikers Island), prima di essere rilasciato sulla parola. Nel '52 viene ri-arrestato perché trovato in possesso di eroina. L'eroina, questa compagna inseparabile - e implacabile - di molti grandi musicisti! Nel 1955 è mandato al Federal Medical Center di Lexington (allora l'unico istituto negli USA per sconfiggere l'abuso di droghe), dove il giovane Sonny decide di fare da volontario per una terapia a base di metadone. Trasferitosi a Chicago, si unisce al trombettista Booker Little. Teme apertamente la sobrietà: ha paura che essere sobrio potrebbe inficiare il suo modo di fare musica, la creatività... E invece, come capitò a Clifford Brown (che riuscì sempre a mantenersi "clean"), arrivò anche per Rollins il successo.

Nell'estate del 1955 divenne un membro del Miles Davis Quintet, ma solo per poco. Quindi passò al Clifford Brown - Max Roach Quintet. Dopo la morte, in un incidente automobilistico, di Brown (a soli 25 anni... lo stare lontano dalle droghe non aveva aiutato il grande trombettista a vivere a lungo!) e del pianista - anche lui venticinquenne - Richie Powell (al volante della vettura c'era Nancy Powell, moglie di Richie), Rollins rimase a suonare con Roach, mentre via via pubblicava diversi propri album per le etichette Prestige Records, Blue Note, Riverside e la Contemporary di Los Angeles.



Saxophone Colossus, registrato il 22 giugno 1956 nello studio di Rudy Van Gelder in New Jersey, vedeva Tommy Flanagan al piano, l'ex bassista dei Jazz Messengers Doug Watkins, oltre al suo batterista preferito - Max Roach, appunto. Saxophone Colossus - tra i suoi dischi più acclamati - includeva, tra le altre, le composizioni "St. Thomas" (un calypso caraibico basato su una melodia che sua madre gli cantava da piccolo), il brano be-bop "Strode Rode", nonché "Moritat", che altro non è che la canzone di Kurt Weill meglio nota come "Mack the Knife".

Nel 1956 Sonny sposa l'attrice e modella Dawn Finney. Ma la sua vita è una serie di alti-e-bassi e quel suo primo matrimonio naufraga.


Per un esaustivo "curriculum" su Sonny Rollins, la musica e le droghe, leggi: 
"Sonny Rollins At Sixty-Eight - Reformed, redeemed, and ready for reincarnation"
un articolo del 1999 di George W. Goodman apparso sull'Atlantic Magazine.

Sempre al 1956 risale Tenor Madness, inciso con il gruppo di Miles: ne facevano parte il pianista Red Garland, il bassista Paul Chambers e Philly Joe Jones alla batteria. Nel brano che dà il titolo all'album suona il già grande, anzi grandissimo John Coltrane.

Nel 1957 Rollins decise di provare a sottrarre il pianoforte e di farsi accompagnare soltanto da basso e batteria. Questo tipo di musica jazz per trio viene detta "strolling" ("passeggiata", "passeggiate"). Fatta la conoscenza di Ornette Coleman (uno dei jazzisti più "estremi" in assoluto, per le sue sperimentazioni spesso davvero ultraumane), Sonny si esercitò per qualche tempo con lui. Nel frattempo cresceva la sua fama di "improvvisatore". Nel 1958 si ritrovò a posare per la celebre foto di Art Kane dal titolo "A Great Day in Harlem", dove si vedono 57 musicisti jazz.


Nello stesso anno registra Freedom Suite, dove, nelle note di copertina, scrive:
"How ironic that the Negro, who more than any other people can claim America's culture as his own, is being persecuted and repressed; that the Negro, who has exemplified the humanities in his very existence, is being rewarded with inhumanity."

La title track dell'omonimo album è un pezzo blueseggiante di 19 minuti. Oscar Pettiford e Max Roach costituiscono l'accoppiata bass+drums.



Nel 1959 il suo primo tour europeo (Svezia, Olanda, Germania e Francia), dopodiché Sonny Rollins si ritirò per tre anni, o comunque smise di incidere, agendo nel frattempo per così dire in maniera più libera, sperimentando.

Nel 1962 con The Bridge celebra il come-back.

Pubblicato dalla RCA e prodotto da George Avakian, The Bridge fu realizzato da un quartetto che comprendeva, oltre a Rollins, il chitarrista Jim Hall, Ben Riley alle percussioni e Bob Cranshaw al basso. Quello divenne il suo album più venduto in assoluto. Da lì in poi, e finché durò il contratto con la RCA, ogni disco sarebbe differito dal successivo; si andava dai ritmi latini alla pura avanguardia. In mezzo, ci fu una tournée in Giappone.

La sua apparizione del 1965 al Ronnie Scott's Jazz Club è documentata dal CD (ovviamente stampato molti anni dopo, dato che allora si era nell'era del vinile) Live in London. Suo il soundtrack del film Alfie (con Michael Caine nel ruolo di protagonista). Poi vennero le produzioni per la label Impulse!: East Broadway Run Down, There Will Never Be Another You e Sonny Rollins on Impulse!.
Nel 1969 Rollins si concesse un'altra pausa, stavolta per studiare yoga, meditazione e filosofie orientali. E non a New York, ma in loco, ovvero in India.





Capite che abbiamo a che fare con una delle figure più influenti non solo del jazz, ma della cultura pop e della subcultura in generale. Gli Anni Settanta e Ottanta rappresentarono per lui decenni di esplorazione musicale (non necessariamente in direzione astrattismo, bensì abbracciando forme popolari, e addirittura commerciali, di musica: R&B, pop, funk...), costellati da vari riconoscimenti.
Nel 2001 Rollins vinse un Grammy per l'album This Is What I Do (2000). L'11 settembre 2001 il musicista udì il boato delle Twin Towers che crollavano e, come altri che abitavano anche a diversi isolati di distanza dalle Torri, dovette abbandonare la sua abitazione: fu visto scendere in strada reggendo il suo sassofono... The 9/11 Concert (un CD del 2005) gli portò un altro Grammy, dopo quello che aveva vinto nel 2004, dedicato alla carriera (2004: anno della morte di sua moglie Lucille).

Without a Song: The 9/11 Concert vedeva tra i musicisti suo nipote, il trombonista Clifton Anderson, oltre al bassista Cranshaw, a Stephen Scott al piano, e al percussionista Kimati Dinizulu, coadiuvato dal batterista Perry Wilson.
Non abbiamo purtroppo immagini di quell'evento, ma proponiamo qui "Without A Song" - il celebre brano, registrato in studio - e inoltre un momento di Jazz à Vienne - 1994 dove sono assembrati sul palco Billy Drummond, Sonny Rollins, Clifton Anderson, Jerome Harris, Bob Cranshaw e Victor See-Yuen (che suonano "Long Ago and Far Away").





Rollins compì ancora diverse tournée mondiali, incassò altri premi (tra i quali la National Medal of the Arts), e fu il soggetto principale di documentari per appassionati del jazz.
Non è tanto plausibile, data la sua età, ma ancora Sonny Rollins suona dal vivo...




20 set 2015

Brano del giorno: "Post Time Saratoga"

... di Jim Snidero

Uno dei migliori sax contralti (= alto sax) in circolazione esegue dal vivo un brano dal suo ultimo album Main Street (Savant Records, 2015)



Nato nel 1958 a Redwood City (California), Snidero andò in tour con Jack McDuff dal 1981 al 1982, prima di unirsi alla Toshiko Akiyoshi's Jazz Orchestra di New York. Con quel gruppo suonò la bellezza di vent'anni.



Fece parte anche della band di Frank Sinatra dal 1991 al '95 e di quella di Eddie Palmieri a iniziare dal 1994. Dopo una breve parentesi con il Frank Wess Sextet, rimase per quattro anni nella Mingus Big Band (fino al 2000), e quasi contemporaneamente fu un elemento della formazione di Walt Weiskopf (1994-2003).



Richiestissimo anche come "sideman", nel 1984 formò un proprio quintetto (che a volte è un quartetto). Oltre ad aver vinto numerosi premi, è impegnato con l'attività didattica.
















19 set 2015

Jimi Hendrix - nella ricorrenza della morte

Aveva solo 27 anni quando, nel 1970 (ieri come 45 anni fa), si spense Jimi Hendrix, uno dei musicisti più innovativi del Ventesimo Secolo. 

             Esplosivo: "Voodoo Child" (Jimi Hendrix Experience)



27 anni sembra essere un'età fatale per molti musicisti. Ecco di seguito un'ideale compilation messa insieme sulla base dell'anno di morte delle singole star.


1. The Complete Recordings (Robert Johnson)     
Il pioniere del blues Robert Johnson morì nel 1938 dopo aver contratto la sifilide. La storia che lo vuole vittima di un avvelenamento da parte di un marito geloso è solo leggenda. 


2. Aftermath (The Rolling Stones)     
Il cofondatore degli Stones Brian Jones annegò nel 1969 dentro la sua piscina. Il caso rimane fino a oggi misterioso; c'è chi crede che Jones sia stato assassinato.


 3. Live at Monterey (Jimi Hendrix)     
Hendrix morì soffocato dal suo vomito nel 1970, dopo aver ingerito quantità ingenti di alcol e pillole.


4. Pearl (Janis Joplin)     
La cantante blues-rock Janis Joplin morì nel 1970 per overdose di eroina. 


5. Boogie With Canned Heat (Canned Heat)    
Il cantante e chitarrista dei Canned Heat Alan Wilson si suicidò nel 1970 ingerendo farmaci.


6. Best of (40th Anniversary) (The Doors)     
Jim Morrison, frontman dei Doors, spirò a Parigi nel 1971. Causa ufficiale del decesso: infarto.
 
La morte del carismatico leader dei Doors, noto come "King Lizard" (Re Lucertola), similmente a quelle di Janis Joplin (Los Angeles, 1970) e Jimi Hendrix (Londra, 1970) fece nascere molti rumors su una possibile cospirazione. Ma, d'altronde, voci uguali si sollevarono quando morirono Brian Jones (dei Rolling Stones), Elvis Presley, Bob Marley, Kurt Cobain (Nirvana), ecc.
Nel caso di Jim, fu un'overdose di eroina. Così come per Janis e per migliaia e migliaia di altri ragazzi dell'epoca.


7. Ontinuous Performance (Stone The Crows)    
Il chitarrista degli Stone The Crows Les Harvey morì nel 1972 in seguito a una scossa elettrica. 


8. Workingman's Dead (Grateful Dead)
Per il componente dei Grateful Dead Ron "Pigpen" McKernan furono letali l'alcolismo e la droga-dipendenza. Anno della sua dipartita: 1973.+


9. Demons & Wizards (Uriah Heep)     
Il bassista degli Uriah Heep Gary Thain morì nel 1975 per overdose. 


10. Wish You Were Here (Badfinger)    
Pete Ham, chitarrista e cantante dei Badfinger, si suicidò nel 1975.


11. Wings at the Speed of Sound (Paul Mccartney & Wings)    
Jimmy McCulloch, chitarrista dei Wings, morì nel 1979 per infarto. Prima, McCulloch era stato un componente degli Stone The Crows (vedi più su).


12. Double Nickels on the Dime (Minutemen)     
Dennes Boon, cantante e chitarrista del gruppo punk Minutemen, morì nel 1985 in un incidente d'auto. 


13. Heaven Up Here (Echo & The Bunnymen)    
Il batterista di Echo & The Bunnymen Pete de Freitas morì nel 1989 in un incidente motociclistico.  



14. Nevermind (Nirvana) 
Kurt Cobain dei Nirvana si sparò nel 1994.  

  

15. Live Through This (Hole)   
Kristen Pfaff, bassista di Hole (la rockband capitanata da Courtney Love), morì di overdose nel 1994. 


16. Amy Winehouse at the BBC (Amy Winehouse)   
La cantante soul dalla voce roca entra nel 2011 nel club delle morti precoci...



                                                   Avevano tutti 27 anni...

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E' diventata celebre l'esecuzione dello Star-Spangled Banner, l'inno statunitense, fatta da Jimi Hendrix durante il festival di Woodstock nel 1969. Si avvertono benissimo gli scoppi della guerra in Vietnam e la protesta per i diritti civili calpestati...

Quella straordinaria esibizione viene ricordata anche sul sito della ditta che costruì la leggendaria Fender Stratocaster.



Un nostro vecchio articolo:
15 novembre 2008. Morto Mitch Mitchell

Se n'è andato anche il batterista del leggendario trio Jimi Hendrix Experience. Mitchell (61 anni) è stato trovato senza vita in una stanza d'albergo a Portland, Oregon, nella notte tra mercoledì e giovedì.

La dottoressa Erin Patrick, che ha accertato il decesso del musicista, ha dichiarato che esso è da ascriversi a cause naturali. 



Mitch Mitchell (vero nome di battesimo: Briton) era celebre per il suo fusion style di stampo jazzistico. Nato in Inghilterra, suonò con Jimi Hendrix (il più celebre figlio di Seattle, Stato di Washington) dal 1966 fino al 1970, anno della morte del chitarrista nero di origini indiane.

Mitchell era dotato non solo di una tecnica virtuosa, ma anche di un fascino particolare per cui negli Anni Sessanta e Settanta poteva vantare il suo proprio stuolo di fans femminili. La sua grande ispirazione era Elvin Jones, batterista di John Coltrane, e similmente a Jones usava l'intero set a sua disposizione per cavare tutti gli effetti sonori possibili, spesso tenendo un complesso tempo in 3/4 (come in "Manic Depression", il valzer psichedelico di Are You Experencied?). 

Ascoltando il breve solo di chitarra di "Wind Cries Mary", si sente la batteria di Mitchell che "ombreggia" la Stratocaster di Hendrix nota per nota, prima di tornare al ritmo pulsante tipico del rhythm'n'blues (o del rock'n'roll, fate voi). Come tutti i batteristi jazz, Mitchell amava reggere le bacchette senza stringerle in pugno, bensì tenendole solo con il pollice, l'indice e il medio, e non colpiva mai un tamburo o un piatto se riteneva ciò superfluo e fuori posto. Pur tra tanta improvvisazione, era un drummer preciso e meticoloso. Nella sua lunga carriera collaborò anche con l'ex beatle John Lennon, con Eric Clapton e con Keith Richards.

La Jimi Hendrix Experience arriva all'aereoporto Heathrow di Londra il 21 agosto 1967. Da sinistra: Noel Redding, il mancino e semi-analfabeta Jimi Hendrix (un genio assoluto!) e Mitch Mitchell


Mitch Mitchell si trovava in tournée con l'Experience Hendrix Tour, che venerdì scorso ha dato un concerto all'Arlene Schnitzer Concert Hall di Portland. Si trattava dell'ultima di una serie di esibizioni nella West Coast, prima di proseguire nel resto del territorio statunitense. Per l'intera durata del tour era apparso debole, fragile, ed evidentemente anche lui non si sentiva troppo bene, perché aveva deciso di fermarsi a Portland a riposare, sfruttando la pausa tra le date dei concerti. 

"Era un uomo meraviglioso, un musicista brillante e un vero amico" ha affermato Janie Hendrix, sorella del leggendario Jimi. 

Jimi Hendrix morì già nel 1970, non ancora 28enne. Noel Redding, bassista del trio, nel 2003. Ora li ha raggiunti anche Mitch. R.I.P. 


              1969: Mitchell si esibisce con Hendrix in Svezia

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Tre dei brani che hanno proiettato Jimi Hendrix nel Parnaso del rock facendolo conoscere anche alle grandi masse: "All Along the Watchtower" (Dylan), "Hey Joe" e "The Wind Cries Mary"







18 set 2015

Brano del giorno: "Don't Look Back in Anger"

... degli Oasis




A costo di sembrare iconoclasta, dirò che gli Oasis sono veramente stati i secondi Beatles; almeno per una breve stagione. Se andavate a Londra al tempo dell'uscita del loro secondo album ((What's the Story) Morning Glory?, 1995), o quando pubblicarono il loro quarto (Standing on the Shoulder of Giants, 2000), non vedevate che la loro effigie e sentivate risuonare, da metà degli altoparlanti della metropoli, la voce di Liam o quella di Noel.




Ovviamente non solo a Londra: l'intera Gran Bretagna fremeva di aspettativa a ogni novità discografica della band dei fratelli Gallagher, e a Manchester (loro città natale; ma i due sono di origine irlandese) seguivano con interesse tutte le notizie - per lo più negative - da loro provocate mentre stavano a riaffermare nel mondo la supremazia del sound britannico.

Ricreando il rock degli Anni Sessanta-Settanta (Beatles + un pizzico di Sex Pistols + un pizzico di The Who) e grazie a un talento mirabolante per le melodie accattivanti (à la Lennon & McCartney, e perciò "mozartiano"), Liam e Noel Gallagher sono prepotentemente riusciti a diventare i leader del cosiddetto britpop. Rispetto a loro, gruppi come i Travis, i Pulp e i Verve si rivelavano essere solo l'acne sul volto della musica angla. I Blur di contro, rivali diretti degli Oasis nei record di vendita, si potevano considerare allo stesso livello di bravura; tra l'altro, non dimentichiamo che ne sono stati per così dire i predecessori...

La formazione degli Oasis venne più volte reimpastata e i due bad boys finirono più volte sui titoli dei giornali a causa dei litigi piuttosto che per la loro arte. All'inizio, la guerra tra Liam (il più giovane, ma praticamente il vero frontman) e Noel (autore dei testi) sembrava una mera gag pubblicitaria; poi si scoprì che i due erano veramente così: matti da legare - come tutti i veri irlandesi -, e impossibilitati a restare vicini in modo pacifico per più di un giornata intera. Probabilmente, il successo e la ricchezza hanno fatto perdere di vista i sogni e gli ideali a questi fratelli venuti su in un ambiente (sotto)proletario. Fatto sta che al pubblico le loro liti (condite con alcune celebri defezioni nei concerti) sono venute sempre più a noia.
Dopo lo scioglimento del gruppo (a meno di una prossima clamorosa reunion), a noi rimangono alcune tra le più belle canzoni degli Anni Novanta e Zero: "Wonderwall", "Stop Crying Your Heart Out",   "Don't Look Back In Anger"...




Don't Look Back In Anger
Slip inside the eye of your mind
Don't you know you might find a better place to play
You said that you'd never been
But all the things that you've seen will slowly fade away


So I start a revolution from my bed
'Coz you said the brains I had went to my head
Step outside the summertime's in bloom
Stand up beside the fireplace, take that look from off your face
You ain't ever gonna burn my heart out


So Sally can wait
She knows it's too late as we're walking on by
Her soul slides away
"But don't look back in anger", I heard you say


Take me to the place where you go
Where nobody knows if it's night or day
Please don't put your life in the hands
Of a Rock 'n' Roll band who'll throw it all away

Gonna start the revolution from my bed
'Coz you said the brains I had went to my head
Step outside 'coz summertime's in bloom
Stand up beside the fireplace, take that look from off your face


You ain't ever gonna burn my heart out
So Sally can wait
She knows it's too late as we're walking on by
Her soul slides away
"But don't look back in anger", I heard you say


So Sally can wait
She knows it's too late as we're walking on by
Her soul slides away
"But don't look back in anger", I heard you say


So Sally can wait
She knows it's too late as she's walking on by
My soul slides away
"But don't look back in anger, don't look back in anger"
I heard you say, at least not today





        



Video di quasi due ore con moltissime loro canzoni:




Leggi anche sul nostro blog:

13 set 2015

Brano del giorno: "Winter in America"

... di Gil Scott-Heron




Benvenuti su Topolàin con la rubrica "Sunday - jazz day"!

Oggi proponiamo il poeta, artista, cantante Gil Scott-Heron. "Winter in America" è un suo brano che tratta di promesse mai mantenute e caratterizzato da un'atmosfera di panico e angoscia. Purtroppo, dal 1974 a oggi non è cambiato nulla...




Tra l'altro Scott-Heron è figura ispiratrice di numerosi rappers. Il poeta-musicista statunitense è autore del celebre brano "The Revolution Will Not Be Televised".




Di origine giamaicana, Scott-Heron lottò sempre contro il razzismo. Aveva 62 anni quando, nel 2011, morì, e in quel giorno, a New York e non solo, molti, nell'apprendere la notizia, scoppiarono in lacrime. Con la scomparsa del colto poeta-musicista, fu come se fosse svanita un'epoca di forti ideali.





Nato a Chicago nel 1949 (era figlio di Gil "La Freccia Nera" Heron, calciatore del FC Celtic Glasgow - primo "colored" a giocare nel campionato scozzese), Gil junior si fece conoscere tra gli Anni '60 e '70 come autore di spoken word, cioè di poesia recitata su basi musicali. Per questo tanti lo reputano tra i padri del rap e dell'hip hop. Importante la sua collaborazione con il musicista Brian Jackson, che fruttò una sintesi di soul, jazz e blues.







Alla sua morte, scrisse un bloggher de Il Manifesto:

"Come tanti artisti (e ancor piu’ numerosi militanti) neri, è stato perseguitato dalle autorità (e dalle case discografiche – come l’Arista che lo scaricò nel 1985) durante tutta la scomoda carriera e particolarmente negli ultimi anni di vita, con numerosi arresti e condanne scontate per droga. Altra sindrome comune: largamente dimenticato in patria (ma non dai musicisti hip hop che numerosi hanno continuato a campionarlo), ha continuato a suonare soprattutto in Europa e Inghilterra, e lavorava ad un nuovo libro e disco. Proprio in seguito all’ultimo viaggio europeo si era ammalato. Vale la pena digitare il suo nome in Youtube e spendere un po’ di tempo nel ricordo di un grande artista."


   
Official website: http://gilscottheron.net

The Daily Swarm: "Gil Scott-Heron: The Revolution Will Not Be Blogged" (interview)

4 set 2015

Dylan che interpreta Sinatra

Sorprendente: Shadows in the Night




Bob Dylan che re-interpreta canzoni già cantate da Mr. Sinatra è qualcosa che ha fatto un po' imbronciare i fans più incalliti del bardo di Duluth (quelli della sponda hippie). E anch'io, a dir la verità, sulle prime pensavo a una sorta di scherzo; del resto Dylan ogni tanto si diverte a imbastire un tiro mancino... 



Robert Zimmermann, in arte Bob Dylan, rende qui omaggio a "The Voice". Lo fa scegliendo canzoni non tutte famosissime. E si sente l'amore con cui le sue versioni vengono rese, con serietà e applicazione. Certo, lui non è un cantante da night club e tanto meno un "crooner", e l'aver sostituito l'orchestra con la pedal steel di Denny Herron non aiuta a creare un'atmosfera da swing. Ma del resto Bob il Genio, usando la sua ormai "vecchia" e collaudata band di cinque elementi, non poteva non rendere personale questo stupefacente tributo (che si snoda per la lunghezza di dieci romanticissimi titoli). Se - a tratti - in Shadows in the Night la sua voce sdrucciola in direzione "stoning", ciò accade perché l'interprete stesso è "stoned" (di natura!), non stonato!
Davvero una grande sorpresa, e gli elogi della critica sono meritati. Dulcis in fundo, lo sapete come si dice, no? "You can't teach the old Maestro a new tune!"




Le canzoni di questo album preferite da Topolàin: "Autumn Leaves" (traccia 4) e "Some Enchanted Evening" (traccia 6).