L'
Antologia sborror (Vol. 1) dello scrittore di horror e fantascienza
franc'O'brain contiene anche un racconto "musicale" non poco interessante.
In esclusiva per i lettori di Topolàin, ecco l'intero file di "Diablo Records, Inc".
Diablo
Records, Inc.
Incomincia
il pianto
della chitarra.
Si rompono le coppe
dell'alba.
È
impossibile
farla tacere.
Piange monotona
come piange
l'acqua,
come piange il vento
sulla neve.
È impossibile
farla tacere.
Piange per cose
lontane.
(Federico
García Lorca)
1
Il
concerto di Bob Dylan finì nell'osanna dei circa seimila presenti.
Dylan e i componenti della sua band si inchinarono un'ultima volta
prima di sparire dietro le quinte. Nella hall si accesero tutte le
luci e il pubblico, composto da nostalgici dai capelli grigi, ma
anche da giovani aficionados
dell'immortale bardo della canzone di protesta, cominciò a
dissiparsi. Un unico spettatore rimase al suo posto, a fissare il
palco ormai vuoto.
«Ehi,
amico!» gli urlò uno degli addetti al servizio d'ordine. «Mbe'?
Fila a casa.»
Fine
della favola.
Derek
si sollevò e, con estrema lentezza, si avviò verso una delle
uscite. Era una splendida notte di giugno. Respirando a pieni polmoni
l'aria pulita di quell'ora e quel luogo, prese ad attraversare il
parco a piedi. La zona era immersa nel buio. Alcuni gruppetti di
amici occupavano le scarse panche, altre ombre lo superarono parlando
e ridendo. Ad un certo punto si ritrovò tutto da solo, solo sul
vialetto di terra battuta - sentiero lunare - con le melodie e i
passaggi di chitarra che si ostinavano a ronzargli nelle orecchie. E
si accorse di avere gli occhi umidi.
Quella
musica! E il carisma di quell'uomo! Un uomo invecchiato, d'accordo, e
non sa suonare la slide
come Ry Cooder e David Lindley... ma era e rimane l'icona vivente di
un'epoca intera.
Il
suo pensiero andò immancabilmente a Xavier. Suo fratello. Nato dieci
anni prima di lui, Xavier aveva potuto vivere in prima persona le
ultime impennate del Flower
Power.
Al momento di voltare definitivamente le spalle alla casa paterna,
Xavier aveva lasciato all'allora piccolo Derek i suoi tesori: libri,
videocassette e dischi; tanti dischi. Derek si era autosvezzato con
le sonorità degli anni Sessanta-Settanta, assorbendo l'atmosfera di
un periodo ormai trascorso che per lui sapeva di leggenda. Più tardi
non si era perso nessun concerto degli idoli di una volta, che per il
fratello maggiore erano stati delle vere e proprie guide spirituali,
dei santoni. Personaggi ormai incanutiti, derisi da molti che li
chiamavano "nonnini del rock"; eppure, continuavano a fare
proseliti...
Un'altra
cosa gli aveva lasciato Xavier prima di tuffarsi in un'avventura del
tutto diversa, prima di addentrarsi nella scialba e apoetica vita
dell'agente di Borsa: la Ol' Black, una chitarra ricevuta in regalo
dal componente di un gruppo americano. E proprio con quello strumento
mitico Derek si era fatte le ossa: dapprima cantando per strada e
negli angoli della metropolitana, poi in pubs,
in minuscoli club e nei circoli culturali... riproponendo le ballate
che aveva imparato a conoscere.
Ora,
vagando per il parco silenzioso, sotto quel cielo sereno ma senza
stelle, si sentiva stringere il cuore.
Era
un venticinquenne longilineo che indossava abiti trasandati; ma la
sua era una trasandatezza apparente: i suoi capi di vestiario erano
costosi, e anche il fresco taglio di capelli rivelava una meticolosa
cura della persona. Era ormai un professional
dell'industria musicale e lo si sarebbe potuto considerare agiato.
Purtroppo, il suo lavoro gli lasciava l'amaro in bocca: Derek, che
amava un certo tipo di suoni, era costretto a produrne altri - del
tutto differenti - per conto della Diablo Records, Inc.
Strana
azienda, quella. Era sorta verso la metà degli anni Ottanta, quando
la disco music era all'apice della popolarità, e, dalla minuscola
casa di produzione che era, ben presto si trasformò in un colosso
del settore. Strana organizzazione davvero, si ripeté Derek.
Tornarono
a rombargli in testa gli strepiti della folla. Lui infognato nella
volgarità di metropoli sconosciute. La prima tournée, la seconda. E
quegli altri quattro gonzi del suo gruppo che sperperavano tempo,
soldi e salute in compagnia di junkies
e ninfette isteriche, prima e dopo ogni concerto. Realtà demenziale.
Logicamente, lui era costretto a stare al gioco. Una volta una
reporter gli aveva domandato, con battito di ciglia da tardona:
«Che
sensazione si prova?»
«A
stare sul palco?» Una
sensazione di merda! avrebbe
voluto dirle. Invece le aveva risposto: «Caldo. Caldo e umido. Ma
bello.»
Stai
al gioco, Derek. Stai al gioco o Doctor Ph. ti
taglia le gambe.
Falsità,
ipocrisia. E tutto questo solo perché il rublo non deve mai smettere
di rotolare. Don't
think twice, it's alright.
Ma, nella solitudine di una camera d'albergo, alle quattro, alle
cinque del mattino, nascono connessioni di idee, si rigenerano
miracolosamente i valori autentici, memorie d'infanzia: effetto
naturale del quesito consueto ("per quanto ancora?").
Quando lui è solo con se stesso, tornano a rifiorire i progetti, i
desideri. "Non so gli altri, ma per me è normale questo,
e il resto è una normalità che io rifiuto perché mi dà ai nervi,
e mi dà ai nervi perché è in contraddizione con tutto quello a cui
credo. Libertà non deve significare per forza caos, e scaltrezza da
cafoni, e
no-future.
No-future:
ecco il nome che più si adatta al virus di Doctor Ph.!... Libertà e
virus no-future
stanno, anzi, agli esatti antipodi..."
Pareva
che il programma della Diablo Records, Inc. fosse quello di sfornare
articoli da dozzena, per i gusti meno esigenti. Vere e proprie
banalità per infondere gioia alle anime sempliciotte. Fin qui niente
di male, in fondo: oggi ogni cosa è commercio e anche gli escrementi
vengono riciclati per ricavarne quattrini.
Musica
vendereccia. Ma non era solo questo. C'era qualcosa di inquietante,
di sotterraneamente diabolico nei suoni prodotti e spacciati da
quella famigerata impresa.
La
band di cui Derek faceva parte era la "punta di diamante"
della Diablo Records, Inc. Demential Perspectives si chiamava la
formazione, e la critica diceva che erano meglio di Blur, Bush, Guano
Apes & Co. Le recensioni positive non si contavano più. Ma il
successo - ovvio - era stato progettato antecedentemente, all'interno
di una sala dei bottoni. Una gigantesca montatura, sfociata in una
campagna pubblicitaria a livello universale. Business
as usual.
Sicuro:
c'era stato un periodo in cui finanche Derek aveva creduto alla
grandezza della musica che i Demential Perspectives vomitavano sul
palco. In realtà, però, quella non era la loro
musica: i suoni che producevano erano imbastiti da un "compositore"
della casa discografica con l'ausilio di un macchinario
computerizzato. Il tutto sotto il controllo di Mister Argon - un
burbero e attento supervisore, braccio destro del big
boss:
Doctor Phantastic.
Derek
aveva creduto - o si era illuso - che quei rumori avessero un senso,
e che nei testi delle songs
ci fosse un significato, sia pure recondito. Ma gli bastava
riascoltare uno qualsiasi dei Grandi che avevano furoreggiato fino a
qualche decennio prima per ricredersi puntualmente.
"Trash",
si diceva. "Noi produciamo trash. Immondizia sonora..."
Sì,
c'era stato un tempo in cui aveva strombazzato a destra e a sinistra,
con fierezza: «Demential Perspectives: il gruppo in cui suono».
Nell'identicarsi in quella band sempre più in auge, si rivoltolava
nella gloria così come un maialino si rivoltola nel fango. «Il mio
gruppo.» Ma era un gruppo del cazzo, come ben sapeva, un gruppo
formato a tavolino. (Non occorreva però andarlo a spifferare in
giro; anzi: una clausola sul contratto gli vietava severamente di
rivelare questa e altre verità.) Lui e gli altri componenti non
erano
che marionette, gli esecutori del volere di Doctor Phantastic o di
chi per lui.
I
Demential Perspectives sembravano disconoscere ogni trama melodica. I
dischi che finora avevano inciso contenevano testi talmente triviali
da risultare praticamente insensati, e il sound sfiorava la cacofonia
(un miscuglio di pop sgangherato e di grunge, con selvaggi
arrangiamenti trip-hop). Il tutto sostenuto dal pulsare ossessionante
di una batteria elettronica.
Demential
Perspectives: nomen
est omen.
Avevano
esordito a un festival che annoverava tra i suoi ospiti Pablito &
His Swinging Six, Mister K and the Stolz Muchachos, Bodo Rex e le
Calze Ortopediche... Secondo Derek, un debutto semplicemente
orribile; eppure, già il giorno dopo si era allietato, e non poco,
nel leggere sui giornali: "La band-rivelazione dell'anno!
Un'esibizione eccezionale, quella dei cinque boys metropolitani..."
Era
trascorsa un'ora o poco più dalla fine del concerto di Dylan quando
giunse al suo appartamento. E subito rispolverò un album dei
Traveling Wilburys: ancora Bob, stavolta in compagnia di George
Harrison, Tom Petty, Roy Orbison e Jeff Lynn. Derek si adagiò nel
rock pacato degli Wilburys quasi come in una vasca piena di acqua
piacevolmente tiepida. Purtroppo, però, più quei suoni gli
entravano nel sangue e più soffriva.
Si
sentiva un fuggiasco, un reietto. Aveva tradito gli ideali della
propria gioventù, aveva tradito la vera
musica. D'altra parte, come poter negare che era stato proprio grazie
alla Diablo Records, Inc. se aveva potuto raggiungere l'indipendenza
economica, e quindi l'agognata libertà?
Libertà?
Questo era ancora da dimostrare.
Ricordò
la prima volta in cui si era presentato alla sede della casa
discografica con uno banale nastro magnetico. Kataratta
blues:
dieci pezzi registrati nella cameretta che una volta era stata di
Xavier; dieci canzoni - le uniche e sole composte da lui - nello
stile pacato di Jeff Buckley. Chitarra, voce e armonica. «È solo
l'inizio», aveva detto fervidamente al tizio
coi
capelli blu e gli occhiali di plastica verdi che lo aveva accolto con
bonaria pazienza. «Ho tante altre idee, qui.» E si era toccato la
fronte. Al che, l'uomo dall'aspetto di impiegato psichedelico aveva
annuito blandamente (evidentemente abituato alle dichiarazioni
eclatanti da parte di artisti e artistucoli wannabè) e si era
limitato a fare andare il nastro avanti e indietro.
«La
stoffa c'è», aveva commentato infine, laconico. Per poi fulminare
Derek così: «Torna venerdì per un'audizione.»
Chitarra,
voce e armonica; e tanto batticuore. La prova generale si era tenuta
nello studio di registrazione al cospetto dell'impiegato a tutti
frutti e di altri due uomini dall'espressione ugualmente impassibile.
Derek si presentò con professionalità, con tutti i crismi. Ce la
mise tutta. Poi, d'un tratto, nel bel mezzo di una ballata, dalle
ombre che riempivano il fondo della saletta se ne staccò una. "Bela
Lugosi!"
aveva pensato lui sulle prime, credendo di vedere un fantasma. Ma si
trattava di Doctor Phantastic.
Il
proprietario della Diablo Records, Inc. era vestito interamente in
nero e presentava un volto teterrimo, di un pallore mortale. Sembrava
il re dei fricchettoni. Su una guancia sfoggiava una brutta
cicatrice; un fazzoletto di seta nera era avvolto intorno al suo
collo, un altro intorno a un polso.
«Le
tue canzoni», aveva chiesto il Doctor con voce profonda e sonora,
«esprimono forse le tue idee sul mondo?»
Con
la chitarra tra le mani inerti, Derek era rimasto a boccheggiare, non
sapendo che rispondere. «Mmm, sì, certo», si sentì balbettare
poi, in un flebile sussurro. Tanto flebile che nessuno lo udì.
«Certo»,
ripeteva adesso, con tono fermo e chiaro, tra un track
e l'altro del disco dei Wilburys. «Le mie canzoni esprimono i miei
pensieri, esprimono la mia posizione nel mondo. Raccontano tutto
quanto ho conosciuto finora e tutto quanto mi piacerebbe ancora
conoscere. Cos'altro, sennò?»
Ritornò
di colpo all'oggi sobbalzando buffamente: due mani gli si erano
posate sulle spalle. Carola. Era entrata in punta di piedi e adesso
lo avvinceva come una gatta, si chinava a cercare le sue labbra...
poi cercò qualcosa di più. Ma Derek non si sentiva in vena. La
respinse con dolcezza.
A
quel punto, nel sorriso della ragazza si intrufolò una punta di
dolore. "Uomini!" pareva dicessero i suoi splendidi occhi,
con comprensibile riprovazione.
Uomini...
In Siberia, quando una donna vuole mostrare a un uomo il suo amore,
gli lancia delle lumache. Nei nostri meridiani invece gli uomini
reagiscono con un moto di ribrezzo perfino alle parole. Molti di loro
- quasi tutti - non vogliono essere "abbordati", bensì
"abbordare". Derek in fondo non differiva molto da loro...
«Com'è
stato il concerto?» gli chiese Carola.
«Grandioso»,
gracchiò Derek. Aveva la gola secca. Sapeva che, con il suo rifiuto,
le faceva uno sgarbo che lei non meritava. Ma tale suo atteggiamento
(peraltro inedito) era dettato dal dubbio, dalla tristezza, e non da
un complesso di conquistador
che non vuol lasciarsi conquistare. Lui amava Carola, altroché.
All'improvviso,
sotto le palpebre abbassate, rivide il loro primo incontro, come al
cine.
Era
avvenuto due anni prima. Dopo le battute iniziali l'aveva invitata
nella sua automobile, che stava a troneggiare nel parcheggio oscuro
di quella zona periferica. Erano rimasti seduti senza dirsi niente né
soltanto sfiorarsi, con l'autoradio accesa in mezzo a loro. Lui
completamente preso dalla musica. (On
The Road Again
dei Canned Heat.) Poi le si era rivolto di colpo, l'aveva guardata
come se da un momento all'altro dovesse tirare fuori un mazzo di
fiori e, indicandole il McDonald's sull'altro lato del piazzale, le
aveva detto: «Vieni. Ti offro una Cola, un Big Mac e patatine
fritte».
Carola
si era messa a ridere. «Questa la conosco! È il solito vecchio
trucco...»
Erano
tornati all'aperto: un ragazzo e una ragazza al cospetto di
un'entrata dalle luci multicolori - il portale di un tempio che
prometteva chissà quale cuccagna. Ma, al contrario di quanto avviene
nello spot pubblicitario del McDonald's, Carola aveva lasciato
entrare solo lui.
«Come?»
Stupefatto, Derek si era girato a guardarla. «Non vieni?»
Lei
aveva scosso la testa. «Ma ci vediamo ancora», gli aveva promesso.
Quindi se n'era andata per i fatti propri, come Alice nel Paese delle
Meraviglie.
Fu
questo comportamento imprevisto, questa prova di grande libertà, di
assoluta indipendenza, a farlo innamorare definitivamente. Restò a
osservarla mentre si allontanava. La seguì con lo sguardo per un
lungo minuto, ancora stupito e tuttavia felice nell'aspettativa di
altri incontri con lei, di altre sorprese; poi si lasciò risucchiare
dal locale.
Quel
che le accadde, Derek lo avrebbe appreso la sera stessa. Carola si
era già avviata verso il centro città quando, da una siepe che
recintava il parcheggio, udì provenire il pianto di un neonato - un
miagolio, quasi. Mentre Derek ordinava BigMac e patatine fritte
nell'atmosfera innaturalmente asettica del McDonald's, lei, là
fuori, si faceva strada tra i rami e i cespugli straordinariamente
fitti della siepe e... d'un tratto fu come se entrasse in un altro
mondo.
Gli
zingari - erano in cinque? in sei? - si erano accampati in quella
minuscola giungla come se fosse l'ultimo rifugio possibile da una
cataclisma atomico. Sedevano sull'erba, e una di loro - una ragazzina
sui quattordici o quindici anni - si era appena scoperto il seno per
allattare il fagottino vivente che teneva in braccio. «Oh», si
lasciò sfuggire Carola; e cinque o sei paia di occhi scuri come la
notte le si puntarono addosso. La ragazzina-madre le sorrise, e fu in
quel momento che Carola risolse: «Voglio essere come lei. Voglio
vivere libera, ancora più libera. Libera come una zingara...»
Tornò
di corsa al McDonald's, cercò con gli occhi Derek e lo trovò
piegato sulla sua stupida consumazione. Sedette, anzi: cadde sulla
sedia di fronte a lui e subito cominciò a riferirgli quanto aveva
visto. «Come una zingara», concluse.
Derek
era talmente assorto che dimenticò il cibo - o, meglio, il simulacro
di cibo. Anche lui in quel momento era conscio dell'importanza di
quella scoperta. E prese una grande decisione.
«Per raggiungere
il paradiso devi passare attraverso l'inferno», concordò con
Carola.
Si
mise a riflettere ad alta voce sugli zingari, sui disadattati, sui
diseredati. «Gli zingari sono liberi.»
La libertà, l'importanza di avere coraggio, di fare un passo avanti
in più o di lato rispetto alla massa... Sapeva che solo chi ha
scelto la libertà può raggiungere il cuore della gente, che, com'è
noto, solitamente non ha cuore.
«Ed
è di questo che parlerò nelle mie canzoni.»
Doctor
Ph. non era però particolarmente impressionato dal messaggio di
Derek. Doctor Ph. un messaggio ce l'aveva già. Lui si interessava
unicamente - semmai - alle qualità chitarristiche del ragazzo, alla
tecnica che Derek mostrava indubbiamente di possedere; e al suo
aspetto da idolo delle masse. Doctor Phantastic era un uomo che ben
conosceva i meccanismi della società. Anzi: conosceva gli stessi
meccanismi del pianeta. Lui non si adeguava né si ribellava, bensì
stabiliva con che passo e con quale respiro il mondo doveva
continuare a vivere. Voleva spargere il virus. Voleva inscatolare e
produrre la malattia sintetica. Il suo
era un messaggio che racchiudeva tutti i malanni conosciuti fino ad
allora, con la sola eccezione forse della peste e dell'AIDS.
Ora
Derek scuote il capo, perplesso al ricordo. Lo avevano assunto
immediatamente per metterlo insieme a quei quattro fighetti che non
gli assomigliavano per nulla e che erano distanti anni luce dal suo
modo di intendere la vita...
Il
terzo concerto della loro seconda tournée. La reazione del pubblico
aveva reso Derek estremamente insicuro. Diventano sempre più matti.
Due o tre di loro hanno sbattuto la testa contro gli altoparlanti per
stordirsi ancora di più. Tutti quanti non fanno che inghiottire non
so che pillole. Quella Lolita in prima fila, con la maglietta a
strisce... non può avere più di dodici anni. Dissoluti. Folli. Ma i
Demential Perspectives sono soltanto un vettore, non la causa
primaria dell'isteria. Mi sento stanco, sempre più esausto. Sera
dopo sera, città dopo città, bisogna ripetere le stesse cose, gli
stessi gesti; più ballerini che musicisti. Inoltre occorre pure
inspirare ed espirare... mangiare qualcosa, guardare la tivù,
firmare autografi e, possibilmente, non pensare. Dietro le quinte,
gli altri boys
si divertono, si lasciano andare ai vizi più impossibili, fanno
orge, si scoprono bisessuali, trisessuali... mentre per me rimangono
solo dubbi.
E
queste masse: Yu-huuu!
Bis! Ancora, encore!
I
Demential Perspectives: cannonate di decibel, spari spaccatimpani.
Uno show difficile da digerire. Quasi incredibile che lui, Derek,
facesse parte di quel quintetto. Ho bisogno di molta pace ora,
rigenerarmi durante queste mie notti di veglia, prima di un'ennesima
pazzia a Mach 3.
TEMPORALE.
Le finestre facevano rumore, si spaccavano per lasciare penetrare il
vento e i fulmini... Era come la batteria elettronica di Hi-Bee, come
il basso atomico di Frank Loo. Sul palcoscenico scateniamo la
tempesta. E anch'io, con la mia chitarra-bazooka... Ma a quest'ora
della notte - quasi alba - voglio solo origliare immagini in bianco e
nero.
Attento
a non lasciar trapelare nulla, però! Doctor Phantastic non te la
perdonerebbe...
Agli
inizi aveva considerato Doctor Ph. alla stregua di un padre. Un padre
severo. Un padrigno irreprensibile. Già al loro primo incontro
l'uomo gli aveva segnalato di non ammettere ribellioni di sorta.
Padrigno padrone. Aveva detto a Derek, chiaro e tondo, di reputare le
sue ballate
una merda.
«Roba antiquata. Il tempo degli hippies
è passato da un bel pezzo. C'è troppa melodia, tra l'altro.
Folk-rock? Ma il folk-rock è musica da barbogi!
Svegliati,
ragazzo! Viviamo nell'èra dei computer... Ma non temere: ci pensiamo
noi a metterti sulla strada giusta, eh?» Al che, il suo seguito -
tirapiedi, valletti, sicofanti - era scoppiato in una risata corale.
Computer
anziché chitarre. Chitarre computerizzate, tutt'al più. Derek
avrebbe dovuto arrabbiarsi per questo? Computer = calcolatori; si
trattava di matematica, dunque. E i numeri sono belli, sono
importanti. Sette per sette quarantanove, nove per nove ottantuno.
Strano comunque che queste macchine esaltino il caos invece che
l'ordine per cui erano state create. Ma si era in pieno periodo di
caos, nell'èra dei samples:
ecco il perché del dilagare di tutta questa musica-rumore, brani
senza uno schema individuabile, cambi di tempo improvviso, voci
robotiche. Electronic jam. Buona per far ballare, sballare, i kids.
Le parole? Quelle non contano più niente.
2
«Mi
dài una paglia?»
Poiché
Hi-Bee aveva smesso di fumare, le sigarette adesso gliele dovevano
fornire gli altri. Hi-Bee avrà avuto ventidue o ventitré anni: come
il resto dei Dementials, d'altronde. Solo che lui ne dimostrava
cinque di meno. Era succube di tempeste ormonali che, tra le altre
cose, gli avevano coperto il viso di brufoli spaventosi.
Non
sembrava minimamente meravigliarsi della ricchezza improvvisa;
possedeva una casa nel sud della Francia, una serqua di giocattolini
costosi e decine di ragazze che si piegavano docilmente ai suoi
capricci. Mai un pensiero sull'esistenza che si ritrovava a condurre,
mai uno stupore. La sua Vita
nova
doveva sembrargli un logico prolungamento della pubertà:
rispecchiava l'immagine di divo adolescente marca MTV inculcatagli
dai media e dai suoi stessi genitori. Originario di una famiglia
piccolo-borghese, Hi-Bee era stato programmato per una vita da
benestante, da super-agiato. Ora era "arrivato"; tuttavia,
non per questo aveva meno brufoli sul volto...
Né
lui né gli altri elementi dei Demential Perspectives - Phish-Eye,
Frank Loo e Bob DeGrassi - covavano sensi di colpa. Si divertivano.
Erano nel loro mondo. Abbuffarsi e ubriacarsi. Coma,
coma, stoma, stoma.
Soltanto
Derek si sentiva spaesato, del tutto fuori posto.
In
una lettera a suo fratello, scrisse:
"È
strano che a covare tremendi sensi di colpa siano soprattutto quelli
che in realtà non ne avrebbero motivo: individui come me e te, caro
Xavier. O pensi che forse è appunto grazie a questo senso di colpa
che ci affligge fin dall'adolescenza che possiamo vantare una certa
integrità? È forse questa nostra moralità malaticcia a far sì che
il mondo non vada completamente in rovina? Quando seguiamo i
telegiornali - notiziari delle catastrofi - ci sorprendiamo a
soffrire delle brutture che insozzano Gea, quasi come se fossimo noi
i responsabili. Mi sento stanco! Non voglio più sentire parlare di
sciagure, incidenti aerei, stragi; noi abbiamo la coscienza pulita! È
la società che vuole psichiatrizzarci, colpevizzandoci... Tutti i
divi dello spettacolo e della politica: facce e nomi che per la
nostra esistenza contano poco e nulla, parole parole paro', liti
sciocche, falso orgoglio ferito... Basta! Turbarsi
verboten!
Voglio imparare ad adottare questa regola: turbarsi
verboten...
parlare poco e fregarsene dei politici, delle stelle del cinema e del
piccolo schermo. Abbasso i presentatori, abbasso i dibattiti in
Parlamento, abbasso tutto quanto ci viene imposto! Non voglio vedere
gente che piange per sciocchezze mentre chi soffre per davvero - i
miseri, i disgraziati, i senzatetto - viene infilato in un buco con
le pareti blindate! Viva le radio alternative (ascolti ancora la
"nostra" musica o nel frattempo hanno lobotomizzato anche
te?) e abbasso le chiacchiere televisionate, i processi calcistici,
le telenovelas,
i telegiornali! Io chiudo tutte le finestre, tutti i rubinetti, tutti
i canali: del mondo mi interessa solo ciò che è giusto e sincero.
Penso proprio che lascerò presto, anzi prestissimo, la Diablo
Records e questa masnada di piccoli idioti..."
Bob
DeGrassi, il compagno con cui Derek più legava, una volta gli fece
questo discorsetto:
«Perché
dovrei stare a rimuginare sul nostro destino? Siamo stati fortunati,
ecco tutto. Pensiamo a godercela, questa fortuna! Ogni tanto mi
ricordo, sai, di quando giravo senza un cent e non avevo neanche i
soldi per una birra, mentre oggi, con i miei centomila e passa al
mese, mi sento un miliardario. C'è da aggiungere che io questi soldi
li spendo tutti, fino all'ultimo dime,
e che spenderli è un piacere. Non voglio diventare come mio padre,
che dopo venticinque-trent'anni anni di duro lavoro (aaaargh! non
posso pensare che possa essersi venduto così tanta esistenza) è
riuscito solo a comprarsi un miniappartamento in periferia e
un'automobile di media cilindrata. Io spendo tutto, sicuro. In banca
tengo solo un mezzo milione; il resto finisce in fumo, donne, alcool,
scatolette di carne (tu sai quanto mi piace la carne in scatola!) e
divertimenti vari. Il fondo costante - quel mezzo milione o giù di
lì sul mio conto - mi trasmette tranquillità: in ogni momento posso
permettermi di comprare un biglietto di sola andata per il Messico o
per l'Australia. Certo, in Australia ci sono troppi animali strani
per i miei gusti, specie di vermi che cascano dagli alberi, e un
sacco di vipere... E il Messico non è meglio! Ogni tanto faccio
delle ricerche in Internet su quei posti, sai, m'informo... Ma dimmi
un po': tu come sei attrezzato? È vero che non hai nemmeno il
computer? Non ne abbiamo mai parlato. Meglio così sicuramente, ma
sono ugualmente curioso. Io ho fatto un bel danno quando ho comprato
una nuova mainboad con un Pentium 633MMX e, dopo averla montata, ci
ho messo su i driver per il nuovo chipset... Avrò fatto qualche
casino e, durante il ricaricamento, il sistema mi ha avvertito che
non trovava più la traccia di boot... Il terrore si è dipinto sul
mio volto... ho passato alcuni giorni veramente del cazzo ad
armeggiarci intorno... Ma già, vedo che a te queste cose interessano
assai».
E
Phish-Eye:
«È
magnifico essere una star!
Non capisco come mai tanti musicisti sembrano annoiarsi o desiderare
una vita diversa... Senti, Derek: non dobbiamo mai sciogliere il
nostro gruppo! La nostra sorte è nelle nostre stesse mani, tutto
dipende da noi. Ecchecazzo, tu dici di no, ma noi questo successo ce
lo meritiamo! E purtroppo il successo è duro da mantenere. Se vuoi
raggiungere qualcosa devi sbatterti, e noi ci siamo sbattuti a lungo,
mica ne abbiamo solo parlato come fa la maggior parte dei nostri
coetanei!»
Ma
questi furono scambi di battute occasionali. Per la maggior parte del
tempo, tra di loro non colloquiavano affatto. Ormai era una vita a
trecentosessanta gradi quella di Derek: tra concerti, photo
sessions
e interviste, dormiva pochissimo. Spesso dormiva volutamente
poco, in modo da sfruttare il più possibile il tempo libero: per
riflettere. C'erano tante cose su cui meditare. Sapeva che, se si
fosse limitato a stordirsi e sballarsi come gli altri Dementials,
sarebbe saltato in aria: una bomba all'idrogeno umana. Per lui,
niente droghe. Anfetamina neppure a parlarne, e alcool solo a dosi
moderate. Si accontentava di un joint di tanto in tanto... L'erba
bastava, doveva
bastare.
Inoltre,
rimaneva fedele a Carola. Non che gli riuscisse difficile: se
guardava queste ragazzine che, spasimando, gironzolavano attorno al
gruppo, veniva colto da una tristezza infinita. Gli ricordavano i
suoi piccoli, sfortunati amori degli anni andati. Ah
dove siete ragazze di una volta, dove avete sbattuto l'ingordigia dei
vostri occhi, a chi avete regalato la pratica abilità delle vostre
mani-farfalle!
Il
tempo: sua ghigliottina per anni e anni e suo oggetto di studio
nevrotico. Per rilassarsi veramente gli rimaneva solo la notte. Ho
visto un'alba blu.
Agli altri componenti dei Demential Perspectives parlava così: «A
parte la vertigine del viaggio, che cosa ci rimane? I soldi, va bene.
Ma voi siete soddisfatti? Realmente
soddisfatti? Stiamo navigando con l'hype,
siamo un prodotto per le moltitudini. Era questo che volevamo?
Confonderci con il mainstream?
Forse dovremmo cominciare ad agire per conto nostro. La musica del
resto si può e si deve farla né
in
né out,
ma
beside».
Gli
ingiungevano di chiudere la bocca, di non sparare cazzate, mentre si
ubriacavano e combinavano porcherie con le bamboline.
New
York. Tutto da solo nel circo di Manhattan, tra i canyon dalle pareti
di vetrocemento. Gente gente gente. Fare windowshopping
sulla Quinta Avenue, fermarsi davanti alla vetrina di Tiffany's e di
altri negozi di lusso, giocare col glamour
che non possedemmo mai e che ora possiamo ordinare a piacimento,
semplicemente facendo schioccare le dita.
Non
ci sono eroi, solo folli. Alcuni folli raggiungono il successo,
l'apice della popolarità, fanno (sì!) soldi; mooolti soldi. E
vediamo la loro faccia ovunque. Altri vanno a finire sotto i ponti.
Li chiamiamo straccioni, asociali. Ma forse loro non sono i rifiutati
bensì i rifiutatori. In mezzo ai due poli di follia, una marea di
idioti. Scontenti, sazi, reazionari, qualunquisti, stupidi,
scontenti, scontenti, sgarbati. Una vita senza relax. Nessuno può
permettersi uno sbaglio, nessuno può covare rimpianti.
Columbus
Avenue.
Ho
paura quando scopro me stesso - o quando scopro quello strano tizio
che afferma di essere me - in mezzo agli idioti. Lo vedo parlare e
ridere con loro. Vive accanto a loro, spesso; per forza di cose. Non
sa ancora decidersi se puntare verso il castello, la torre d'avorio,
oppure strisciare sotto un ponte. Non sa ancora decidersi se può
permettersi, come Syd Barrett, la Nuvola da Sogno ,od optare per due
metri quadrati di terra nuda.
Non
c'è via di scampo?
Times
Square.
Lasciarsi
andare? No.
No. Njet.
Non.
Fondare
il proprio sistema massimo nel cuore caotico del sistema vigente:
that's it. Pedalare. Fare suoni e poi far silenzio e poi altri suoni
ancora. Scarpinare. Trovare la Blues House.
Tutte
queste persone... Hanno paura del nuovo millennio. Oppure ne ridono.
Io
dico solo questo:
Scrivete
sul vostro diario la data di oggi: 9 settembre 1999 - ore 9.
Times
Square, dunque.
I'm
just gonna rap it
play
it
rap
the
motherfucker rap it down
gonna
play it rapid
rap
it down
Nascondersi
in quell'anfratto chiamato 'Sala Giochi'. La tele accesa: MTV.
Mainstream.
Ignorano completamente - non per malizia ma per miopia congenita - i
nomi nuovi. Bands
che nessuno osannerà mai, anche se piene di talento. Ecco ora un
sottogruppo diventato invece famoso... i Demential Perspectives! (A
bocca aperta, quasi non riconoscendo se stesso e i suoi compagni nel
videoclip paranoico). Cinque ragazzi che hanno stipulato un contratto
che li ha privati dell'anima, cinque piccoli messia incapaci di
camminare sulle acque e tanto meno di moltiplicare i pani e i pesci.
Come
cominciò? Per Derek, con un'encomiabile lotta per la salvezza della
Cultura; e finì con la ricerca di cash
per le proprie tasche.
Cominciò
con la dubbia vittoria dei Demential Perspectives in una "Guerra
delle bands".
Non voglio dire che tutti i concorsi per esordienti siano truccati;
di sicuro ce ne sono alcuni limpidi come acqua di fonte... Ma se un
musicista non ha un Doctor Phantastic alle spalle, non va da nessuna
parte. Da nessuna parte.
MTV
trasmette ora il video di una formazione emergente, dal nome troppo
banale per essere stato creato a tavolino.
Attenti,
amici, colleghi. Nel difficile cammino che state percorrendo - quello
che porta alla professione di musicista - voi seguite le orme di
infinite scarpe, scarpe che molto prima delle vostre hanno arrancato
nella stessa polvere, che hanno affrontato le stesse asperità,
sofferto i medesimi dolori; e non hanno saputo evitare le medesime
insidie.
Dopo,
di nuovo in strada. Lui e la sua maglietta Durango, una vita assieme.
Nueva York. Stasera, superconcerto dei Demential Perspectives al
Madison Square Garden. «Conquisteremo l'America!» ha osannato
Mister Argon dal fondo vellutato della sua suite
all'Hilton. "Conquisteremo": già, il plurale è d'uopo.
Come
mai alcuni musicisti arrivano tanto in alto mentre altri, anche più
bravi, si perdono per strada? Si incomincia per gioco, per amore
dell'arte. Poi ci si affaccia nel mondo delle case discografiche per
accorgersi che vi imperversa un clima dominato dalla delazione,
dall'incertezza, dalla prostituzione (e non solo prostituzione di
idee: dammi il culo e farò di te una stella).
Central
Park. Il suonatore di blues è irlandese. Lo si vede sempre lì, a
ogni scampolo di sole, la chitarra elettrica alimentata da una
batteria per automobili, sempre lo stesso blues, sempre lo stesso
sguardo di cane bastonato, più stanco ogni anno che passa.
Sicuramente beve molto, un alcolista; ma bisogna ammettere che la sua
musica è più che ottima. Eppure, il Central Park resterà sempre la
sua unica arena. Open
air.
Prove
di suono. Hi-Bee latitava. «Dov'è?» Nessuno degli altri sembrava
averlo visto. Derek andò a cercarlo e lo trovò nella sua camera. Il
ragazzo era cereo, una siringa ancora conficcata nel braccio. Derek
gli si avvicinò. Non lo sentì respirare.
«Amico,
credo che stai avendo un down
pesantissimo», gli disse. Ma Hi-Bee non poteva più rispondergli.
Rientrato nella propria gabbia dorata, Derek dovette scolarsi mezza
bottiglia di whiskey prima di poter dare la notizia agli altri.
«Il
concerto si fa lo stesso», tagliò corto Mister Argon. «Un nuovo
batterista ve lo trovo io. E poi», aggiunse, «per noi è tutta
pubblicità.»
«Ma
come?» protestò Derek. «Non dovremmo suonare più. Né stasera, né
mai»...
«Sei
un freak, Derek, e in quanto tale completamente out»,
lo rimproverò Phish-Eye. E si rimise a fare la prova del suono. Le
lolite cui era stato concesso di entrare anzitempo guardavano la
scena senza capire. Ce n'era una, in particolare... capelli di un
nero invitto e occhi scuri streganti.
Forse i suoi genitori erano dei rom,
si disse Derek, e
lei ora si è impiantata al centro del circo.
Bel pensiero. Trasfonderlo sulla carta. Farne il verso di una
canzone. Ma cosa gli avrebbe detto Mister Argon, o qualche altro
manager? «Puoi stamparlo su carta doppio velo in rotoli e usarlo per
scopi igienici»: ecco quello che gli avrebbe detto.
A
sera, il cielo sopra New York si presentava umido e plumbeo. Per
me fa lo stesso. E fa lo stesso per Hi-Bee, naturalmente...
si disse, mentre i barellieri scarrellavano via il corpo del ragazzo.
Internamente
chiamò il suo nome, lo urlò, in un rauco latrato; ma la neve cadeva
facendo rumore. Troppo rumore. Cadeva anche dentro la sala, mentre i
Dementials suonavano. Lui combatteva per trovare la solita energia e
la necessaria faccia di bronzo del vero professionista. Gli pareva un
miracolo già il solo riuscire a reggere la chitarra. Ecco, è questo
il tipo di lotta che arriva a consumare una persona. Derek suonava
musica alla quale non credeva e intanto pensava:
trash! Trash,
si ripeteva ancora e sempre, come un mantra. Ironicamente, la
registrazione dal vivo di quel concerto fu intitolata proprio TRASH
FOR EVERYBODY.
Il
nuovo CD dei Demential Perspectives, che li rese famosi su tutt'e
cinque i continenti.
Come
da programma: bere il calice amaro, fino all'ultima goccia; l'intero
contenuto. Il programma si riferisce naturalmente all'ordine esterno
delle cose. Sulla natura della quotidianità non dice nulla. Sul
dolore, sui dubbi del singolo. Ancora
un'esibizione, poi finisco.
La
quotidianità: banale come quella di qualsiasi pinco pallino.
Wilkinson
SWORD Protector
lamette di argento metallizzato, nuove
di una
certa pesantezza se le si tiene sul palmo della mano
8 dollari 90
il pacchetto
quando le si agita fanno un bel sound
meglio le
lamette comunque che non il rasoio elettrico
l'eterna primitività
dell'elettronica
«Vogliamo
intraprendere qualcosa insieme?»
«Chiaro.
Che cosa?»
«Andiamo
a sballarci. Festeggiamo.»
«Buona
idea."
«Così
è la vita a N.Y. Per questo N.Y. è così famosa. Phish-Eye e Bob
vengono pure loro. Peccato per Hi-Bee, eh?»
e
BEVI
BEVI
bevi
BEVI
e
Seduti
sul fondo di una limousine, al calduccio (mentre fuori ci sono due
gradi sotto zero), Derek propone di ascoltare gli Who. Gli altri
protestano con «bluah!» e «che noia!», ma alla fine qualcuno
(l'autista di colore?) decide di alzare il volume al massimo, MY
GENERATION, e Phish-Eye si mette a piangere, oh God, oh Bog, aiutaci
Tu, e poi "parte" anche Frank Loo. Stanno pensando alla
scomparsa di Hi-Bee, davvero toccante, sembra quasi inscenato per i
media. Ma Derek ha un unico pensiero: come fare per uscire dalla
prigione su quattro ruote?
Anche
Parigi e Berlino furono un disastro. The
never-ending tournee.
Bisogna
continuare a produrre musica, la nostra, la loro
musica, e questa non è una cosa che possono fare tutti, ci vuole
gente di mestiere, gente che sa il fatto suo. Altro che concerti alla
boia d'un cane! A questi livelli sono richieste ben altre cose in ben
altri formati.
Una
ragazza in prima fila si piega sulle ginocchia, i maschietti spiccano
salti stando dritti come candele - beat is back.
It's
raining men,
amen
Cinque
spunti - due riff di chitarra superlativi - il veleno che sale piano
- attributi gustosi della voce robotizzata - lo stile schizoide delle
tastiere - l'inglese meno che discreto dei testi - prodotto
subculturale.
Londra,
the Kingsway: mercato, marionette. Tower Records. Poi
un giretto per i negozietti di Portobello. Il graffio sul vecchio
vinile degli Stones, proprio a metà di Angie.
Tardo
pomeriggio a letto. Riviste, televisione, cioccolato svizzero. Il
traffico di Bayswater Road quasi a contatto di mano. Lo chiamarono
per il sound check, ma lui disse che per quella volta ci avrebbe
rinunciato. In sottofondo scorreva la musica di una sua personale
compilation. Piccole,
semplici canzoni: It's
A Wonderful Life
(Black), What's
Up
(4 Non Blondie), Don't
Look Back In Anger (Oasis),
Jealous
Guy
(John Lennon), Changes
(David Bowie), Amadeus
(Falco), Video
Killed the Radio Star
(nel remake dei Presidents Of The USA), Zombie
(Cranberries),
'74-'75
(The Connels), Down
Under
(Men At Work).
The
day after.
Il giorno che seguiva 16 mesi di lavoro e pochi minuti di show. Il
grande circo è finito e io mi sento completamente vuoto. Accendo la
tivù... e rimango come fulminato. È
MORTO DYLAN!
Scoppio
in lacrime mentre la notizia viene propagata su tutti i canali. Ma è
assurdo, lo so. Assurdo fare il nostalgico, così com'è stato
assurdo copiare e ricopiare per anni ciò che una volta fu.
O
no?
Mister
Argon sedeva nel suo studio e leggeva i giornali, glaciale come il
muso di un cane. Quando Derek gli comunicò la sua intenzione di
voler lasciare la band, i tratti del suo volto mutarono in un caos
picassiano. «Bene, io non voglio certo litigare con te», risolse
infine saggiamente l'uomo di punta della Diablo Records; ma sempre
con quell'espressione contrita. «Ne riparleremo dopo il concerto.
Bisogna anche sentire che cosa ne pensa Doctor Ph. Ricorda comunque
che
sei libero di fare quello che vuoi.»
The
last concert. I mille pensieri che si incrociano.
Una
piccola fuga o un ritornello che a molti fa pensare "questa l'ho
già sentita", mentre altri si entusiasmano come fosse una cosa
nuova.
Il
cantante ed hero
della
serata (Bob De Grassi) è un domatore di belve, sa quando deve far
saltare sul posto gli ascoltatori e quando ammansire gli animi.
Ottimo
performer dal vivo. In seguito i critici parleranno di "un'inedita
linea elettroacustica... indubbia forza epica... Con una canzone
cantautorale e intimista, Derek Hansen fa da apripista per il rock
deciso dei Dementials... finalmente arrivano gli scoppi elettrici a
cui siamo abituati... Frank Loo e Phish-Eye sono sempre in gran
spolvero... ritmo incalzante che trasuda feeling e voglia di
vivere... ma Derek stavolta sovrasta De Grassi con la sua chitarra...
La band passa da brani liquidi a canzoni più complesse... di nuovo
una ballata di Derek Hansen, intitolata Goodbye
Forever:
Si avverte uno spirito anacronisticamente hippie nella risoluzione
sonora..."
Un
locale di Soho dalle luci verdastre, come di sala operatoria. Il
barista: «Amico, non si sente bene?»
Derek:
«Stavo proprio riflettendo su questo: sul come mi sento. Ma deve
capirmi: sono un... cantautore.»
Il
barista ha un sussulto. «Un cantautore, eh?» dice. E tiene la
banconota di Derek in controluce, per controllare che non si tratti
di un falso.
Domenica
di maggio a Berlino. Un giorno molto caldo. Fredda era solo la canna
della pistola che qualcuno gli piantò sulla nuca. Derek aveva troppi
pensieri, tanto che non poteva più pensare. Meglio così: turbarsi
verboten.
Chiuse
gli occhi e, sotte le sue palpebre, spuntò la prima luna. Dolce e
irresistibile nostalgia della notte.
BANG?
No,
non ancora: soltanto un avvertimento. «Prova ad abbandonare la band
e farai una brutta fine.»
"Una
brutta fine? Quella l'ho già fatta. Goodbye
Forever,
dunque."
BANG!
"NEWS
FLASH. Durante
un concerto dei Demential Perspectives all'Odeon di Berlino, Derek
Hansen, lead-guitar del gruppo, si è improvvisamente afflosciato sul
palco senza più vita. È stato accertato che il giovane chitarrista
è morto per uno sparo diritto al cuore. Qualcuno dal pubblico ha
fatto fuoco su di lui. La polizia ha effettuato un'accurata
perquisizione degli spettatori, ma ancora non sono stati trovati né
l'assassino né l'arma. Il movente rimane oscuro. Derek Hansen
proveniva dalla classe lavoratrice, un blue collar del rock..."
Io
però so quello che cerco, e già molto tempo fa ho giurato che non
avrei mai mollato la chitarra e la mia musica. Ma in molte radio non
mi lasceranno cantare le canzoni autentiche, loro vorrebbero sentire
merda di mucca allo stato puro e nient'altro. Per questo non potrò
mai avere tutto quel denaro e quella roba per mantenere una casa e
una famiglia... ma è vero, finora non ho fatto che mentire a me
stesso quando dicevo che non la volevo, la casetta e tutto il resto.
Adesso però Ruth mi metterà di nuovo in marcia. Non so per quanto
dovrò cercarlo, ma so che troverò un posto dove poter cantare
quello che voglio. Ho il cervello pieno di idee per chissà quante
canzoni, mi sento come un albero carico di fiori e di colori. Canterò
in tutti i posti dove mi staranno a sentire e ci penserà la gente a
non farmi morire di fame.
(Woody
Guthrie)