24 dic 2014

"Happy Xmas" nell'interpretazione di Tony Troja

Verso il minuto 2:30 del video ci sono le immagini-choc del mondo di oggi.

Ad ogni modo: Buon Natale a tutti.




Happy Xmas (War Is Over) (by John Lennon)



So this is Xmas
And what have you done
Another year over
And a new one just begun
And so this is Xmas
I hope you have fun
The near and the dear one
The old and the young

A very Merry Xmas
And a happy New Year
Let's hope it's a good one
Without any fear

And so this is Xmas
For weak and for strong
For rich and the poor ones
The world is so wrong
And so happy Xmas
For black and for white
For yellow and red ones
Let's stop all the fight

A very Merry Xmas
And a happy New Year
Let's hope it's a good one
Without any fear

NOW STOP and think that
THIS is the world we created...

Don't wait for the world to change,
'cause the world is already changing. 

"We must be the change we want to see in the world." (Gandhi) 

A very Merry Xmas
And a happy New Year
Let's hope it's a good one
Without any fear

...
Happy Xmas

14 dic 2014

Pink Floyd Best Of / Compilation

Oltre tre ore di musica dei Pink Floyd! "Un fiume ininterrotto"...




9 dic 2014

Scopriamo i nuovi cantautori: Mauro Maglio



Il CD si chiama Navigare [ http://www.mauromaglio.it/il-cd-navigare.html ] e uscì nel 2009, ma raggiunge Topolàin soltanto oggi per vie traverse. 
Intanto Mauro Maglio, interessante compositore-cantante salentino, ha già pubblicato altre canzoni, e un nuovo CD dal titolo Una canzone senza...

Aggiungo solo che suona il basso ne La Nuova Dimensione, storica band della sua regione specializzata in hard rock e in rock progressivo. Un motivo in più per seguire questa voce interessante del panorama italiano.


Mauro Maglio su Amazon (MP3, musica digitale)




29 nov 2014

Addio a Joe Vescovi (The Trip)

R.I.P. Joe.
                                                            Joe Vescovi nel 2010

Almeno quando se ne vanno loro, i musicisti, rimangono i suoni...
Sto ascoltando Atlantide di The Trip su Spotify. Una band talmente importante che si merita la citazione anche su Wikipedia in inglese. E pensare che quando è nato il gruppo non c'era Internet, non c'erano nemmeno i CD, per tacere degli mp3. Oggi il suono del progressive viaggia veloce, un tempo ci si informava solo tramite poche riviste specializzate e radio pirate disturbatissime, si faceva fatica a procacciarsi le opere prog su vinile e spesso, una volta fatto, le si copiava su nastro magnetico per poterle ascoltare anche quando si era in viaggio ("trip"!!) o comunque per gustarsele più agevolmente e senza "incidenti di puntina". 






Joe Vescovi era davvero all'avanguardia con il suo gruppo storico, proiettandosi in un niente dal beat al rock progressivo di taglio internazionale: mi sta dando tantissimo questo riascolto per così dire post mortem. Trattasi, più precisamente, di un trip... post human. Non lasciamoci prendere dalla tristezza. Anzi: questa musica (la musica di Atlantide, ma anche degli album successivi che risalgono agli Anni Settanta) racchiude il senso del divenire eterno, il trasformarsi instancabile di spirito e materia, e forse era anche ciò che Joe, tastierista d'eccezione, voleva comunicarci: che tutto scorre.  
Vaffanculo alla morte, sì, e ridiamo, o piangiamo euforici. Grazie Joe Vescovi per tutto. 




Live al 'Prog Exhibition' di Roma del 2010: Wegg Andersen, Joe Vescovi e Furio Chirico, con la collaborazione di Fabrizio Chiarelli (chitarre e voce) e Angelo Perini (basso)










La storia di The Trip
      'Caronte 50 Years Later'
(su Prog Bar Italia)




Keyboardist Joe Vescovi is a member of The Trip from 1969 till now, Acqua Fragile from 1974-75, and Dik Dik in the mid '70s.

At the beginning of the 80's he founded Knife Edge with members from Vanadium, Vanexa and Kaos Rock

He also play with Atomic Rooster during the 1982 Italian tour.


22 nov 2014

Neil Morse - 'One' (album intero)



Viene dalla gavetta e lasciò l'America (più precisamente: la California) quando era ancora un Mister Nobody per visitare l'Europa come musicista girovago: Neal Morse.



Dopo essersi fatto le ossa nel Vecchio Continente rimpatriò e, insieme al fratello Alan, fondò gli Spock's Beard...
Il progressive rock è dunque la sua via.



Neal, tastierista e cantante (ma sa suonare anche la chitarra), un bel pezzo di strada l'ha percorsa insieme a Mike Portnoy (Dream Theater). Insieme hanno formato, nel 2000, il supergruppo Transatlantic.

In One, album del 2004 che tratta della (ri)scoperta di Dio, l'amico Portnoy è alla batteria (impossibile pensare Portnoy lontano dai tamburi/drums e dai piatti/snares) e Randy George (richiestissimo multistrumentista, ex Ajalon) suona il basso elettrico.
Fondamentalmente, questo è un trio fisso e costituisce la Neal Morse Band. Che è uno dei progetti progressive più interessanti degli ultimi quindici anni.
                                                   Da sinistra: George, Morse e Portnoy

Spezzoni della registrazione del loro album Momentum:

11 nov 2014

"Hey You", cover by Ben Karlstrom

Ecco un pluristrumentista fantastico!



"Hey You", in un'ottima cover del musicista e produttore canadese Ben Karlstrom.

 Don't give in without a fight...

...Open your heart,
I'm coming home...



But it was only fantasy.
The wall was too high,
As you can see.
No matter how he tried,
He could not break free.
And the worms ate into his brain.


The Endless River - Un fiume di emozione senza fine

Articolo di Nico "Art" Randone





Per un floydiano, un musicista ed un autore che, come me, sa di dover molto alla musica dei Pink Floyd per la propria ispirazione artistica, il 7 Novembre è stata una data molto attesa ed importante; anche sforzandosi di evitare aspettative troppo alte, non ho potuto fare a meno di credere che The Endless River oltre ad essere il loro ultimo album, sarebbe stata un’opera grandiosa. Anche a rigor di logica il più ottuso dei complottisti avrebbe riconosciuto che, per Gilmour e soci, lasciare al mondo come ultima eredità un brutto disco non era di sicuro una strada percorribile e di certo non si sarebbero creati il problema di lasciare all’ottimo The Division Bell il non difficile compito di chiudere la già fortunata serie di opere d’arte di cui l’umanità potrà fruire fino alla notte dei tempi.
Purtroppo è plausibile che, di questi tempi, per far soldi si sarebbe anche capaci di distruggere un mito senza troppe cerimonie e, nonostante la logica alla base del precedente pensiero fosse assolutamente accettabile, non sono riuscito ad allontanare da me la nera possibilità che The Endless River sarebbe stata solo una trovata commerciale, in definitiva una delusione. I recenti “parti” di buona parte delle reunion hanno spesso generato creature tutt’altro che originali, in alcuni casi (vedi Battiato) perfino deformi e deludenti sotto ogni profilo; a questo si aggiunga che l’ultimo dei Floyd era stato presentato come un album che avrebbe raccolto alcune session di The Division Bell, in sostanza gli scarti di un lavoro bello ma sicuramente non importantissimo come altri… (sospiro)… la possibilità di una delusione non era poi così remota!
Comunque, sperare che la data del 7 Novembre non sarebbe mai arrivata è stato piuttosto inutile ed è così che quando il buon vecchio amico Secco si è presentato alla soglia della mia porta con il prezioso oggetto fra le mani, è andato a quel paese anche l’iniziale progetto di ascoltare il vinile a distanza di qualche giorno nella speranza che, nel frattempo, arrivasse qualche voce dal web che il disco fosse una cacata e basta (con basse aspettative sicuramente non s’incorre in delusioni).


Dopo aver consumato insieme una gustosa cenetta, io, Bro, il Secco, Maria ed il Corallo siamo stati chiamati verso la stanza destinata all’ascolto: chi mi conosce sa che da quando ho iniziato ad ascoltare musica ho sempre “preteso” di avere un “suono” che, oltre ad essere fedele, fosse immersivo e prepotente al punto da non permettere alcuna interazione umana diversa da uno sguardo od un sorriso, una volta dentro la tana dell’audiofilo pazzo, il primo a cedere alle emozioni è stato il Corallo che è fuggito da lì a poco tuttavia, nonostante il suo vigliacco abbandono, abbiamo lasciato che il cassetto del mio storico Yamaha accogliesse il supporto che il buon amico Secco stava già porgendomi da qualche minuto. Mentre l’Arcam iniziava a scaldarsi i transistor, il primo bit trasferito agli ingressi analogici da convertitori di primissima qualità stava già accarezzando i pneumatici delle Chario ed è così che, disteso nel grande letto, con Bro a destra ed il buon amico Secco a fianco, è iniziato con Maria l’ascolto di The Endless River che già dalla prima “atmosfera” ci ha inevitabilmente trascinato ai confini del mondo visibile. Da quel momento fino alla fine del disco, in un tempo indefinito che alla percezione umana è volato come tutte le cose belle, è stato un susseguirsi di emozioni potenti condite dal piacere di sentirle condivise, lì ho riscoperto un’emozione che credevo sepolta nel mio passato e cioè quella di ascoltare un disco nuovo dall’inizio alla fine senza aver bisogno di storcere il naso davanti ad una nota fuori posto, un’atmosfera portata per le lunghe, un ritornello troppo orecchiabile ed un senso di già sentito: aspetti, ahimè, decisamente frequenti negli album di quest’epoca.
Qualcuno ha detto che con opere dell’anima di tale livello, ogni parola che voglia descriverle è inutile; concordo in pieno e senza riserve su questo pensiero, i Floyd hanno la grande capacità (a quanto pare ancora viva) di far suonare le corde della nostra anima a frequenze uniche ed originali ove la risposta del singolo, assolutamente imperscrutabile, va semplicemente vissuta a livello emotivo; per questo e per altro non mi sento di fare alcun commento razionale sui quattro momenti in cui si divide The Endless River perchè ritengo sia compito di ogni anima interpretarle, mi permetto solo di dare un consiglio a chi dovesse ancora approcciarlo: ascoltatelo dall’inizio alla fine, magari con gli occhi chiusi, ancor meglio con amici che condividono la vostra stessa passione, perfetto se floydiani anche loro… sono sicuro che ovunque voi siate, partirete per un viaggio che non potrà che farvi del bene.
Concludendo voglio solo dire grazie a Richard Wrigh perchè motore emotivo di questo bellissimo disco, e grazie infine all’anima floydiana, sui cui “scarti” si fonda The Endless River, che ha reso possibile questo capolavoro, donandomi ancora una volta emozioni che porterò con me e nella mia musica fino alla fine del mio tempo.


Nicola Randone - Il mondo di Art




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Nico(la) Randone è un musicista che, da solo e con la sua band - Randone - ha saputo ergersi a uno dei protagonisti del nuovo progressive rock italiano.
L'ultima sua produzione reca il titolo Ultreia - Canzoni sulla via: un CD dedicato al Cammino di Santiago e ai "caminador".
L'album - disponibile anche in .mp3 - è davvero notevole e mi piace qui citare tre-quattro track che sono davvero da antologia del prog: "Mariposas", "Soy peregrino", "So close, so far away"...

In "Soy peregrino" spicca la voce del celebre baritono Corrado Carmelo Caruso, già star guest in un altro album dei Randone: Hybla.






Per meglio comprendere il mondo artistico di Nick/Nico/Nicola Randone è fondamentale fare riferimento a questi indirizzi:

Il mondo di Art: ilmondodiart.com
La band: band.randone.com
Youtube Randone: www.youtube.com/nicolarandone
Myspace Randone: www.myspace.com/randoneprog







8 nov 2014

Nuove cantautrici: Louise D'Arcy



Un'altra grande artista costretta ad autoprodursi. Stavolta siamo in Australia, più precisamente a Brisbane, e la ragazza in questione è Louise D'Arcy, venuta alla ribalta (beh, non proprio... ma le è servito quantomeno per crearsi un circolo di ammiratori) nel 2008 con l'EP Long Road.



Con la sua voce cristallina ma già adulta, voce adatta alle cover-"pelledoca", e con il suo stile e l'aspetto che richiamano alla mente dive del folk e del rock come Joan Baez, Carol King e Joni Mitchell, la D'Arcy può considerarsi una freccia che viaggia verso il firmamento. 
Si merita senz'altro un futuro non solo artistico ma anche commerciale. 



Ora però, vedendo in che modo l'industria discografica ha trattato, distorcendoli, i lavori di tanti bardi e angeli dell'universo dei suoni, verrebbe quasi voglia di augurare a questa cantante di rimanere senza contratto ancora un bel po'... 
Peccato però che non si viva solo di sogni! La speranza, dunque, è che qualche mecenate decida di produrre un nuovo disco di Louise D'Arcy, possibilmente lasciando spogli gli arrangiamenti... come se si trattasse dell'opera di un novello Leonard Cohen. 




La somiglianza di Louise con Joan Baez è a tratti flippante. E, sebbene lei ammiri le girly singers dell'ultima generazione, la sua connessione culturale e sentimentale con il folk americano di fine Anni Sessanta è più che discernibile. Di se stessa Louise dice:

                            "I wanna be Bob Dylan, just a little more girly."



Durante e dopo l'uscita dell'EP, le iscrizioni al suo
canale di Youtube sono cresciute vertiginosamente per un po', ma ovviamente occorre quel "qualcosina in più" che serva a lanciarla veramente. "La più bella voce di Brisbane" ha ora anche un'homepage fatta in maniera professionale (fateci una capatina! potrete ascoltare gratis altre sue canzoni), ma ciò che manca è, appunto, qualcuno che decida di investire su un album e una tournée.





Louise all'inizio sembrava alquanto delusa da come andavano le cose, ma recentemente si è convinta a non desistere e ha pubblicato online la sua canzone "Crazy (Wild Heart)"


http://www.amazon.it/Crazy-Wild-Heart-Louise-DArcy/dp/B00OJS3CPY/ref=sr_1_16?ie=UTF8&qid=1415458062&sr=8-16&keywords=louise+d%27arcy


Già in passato l'Europa è stata il trampolino di tante carriere musicali. Invito tutti gli europei che amano la voce e le canzoni di Louise D'Arcy, quindi, a sostenerla concretamente: iscrivetevi al suo canale e, se possibile, acquistate Long Road  e "Crazy" !


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Official website: http://www.louisedarcy.com








"Crazy (Wild Heart)". Qual è la versione migliore? Quella acustica o quella ufficiale? Giudicate voi stessi.




1 nov 2014

I Nucleus



I londinesi Nucleus sono, insieme ai Soft Machine, tra i pionieri del jazz rock e della fusion.
Formati dal trombettista Ian Carr nel 1969, rimasero attivi per un trentennio.


 1969... e, sotto, live nel '74



Carr era una delle due "star" del Rendell-Carr Quintet, con cui raccolse molti applausi negli Anni Sessanta e dove, come pianista, figurava Michael Garrick (tra i jazzisti britannici più importanti in assoluto). 

Il nuovo progetto - appunto i Nucleus - rappresentò il Regno Unito al Festival di Montreaux del 1970... e si aggiudicò il primo premio. Quindi ci fu lo sbarco in America, con la partecipazione al Newport Jazz Festival.


 


I Nucleus incisero una dozzina di album e furono di ispirazione a tanti altri gruppi e artisti. Il loro suono (che includeva parti atonali) progredì negli anni, incorporando atmosfere e sonorità del rock progressivo e di quello psichedelico e, da circa la metà degli Anni Settanta, ritmi funk.


Lo stesso Ian Carr pubblicò ottimi libri sul jazz (Music Outside, 1973; Miles Davis: A Critical Biography, 1982; Keith Jarrett, The Man and his Music, 1992..) e curò alcuni programmi radiofonici per la BBC. La sua attività principale rimase la docenza.






Formazione iniziale:
 

Ian Carr (tromba/filicorno)
Karl Jenkins (piano, corno baritono, oboe)
Brian Smith (sassofono, flauto) 

Bernie Holland (chitarra)
Jeff Clyne (basso, chitarra basso) 

John Marshall (batteria)




 
Con il tempo nel gruppo si avvicendarono altri musicisti:


    Tromba e filicorno: Kenny Wheeler, Harry Beckett, Chris Batchelor
    Sax tenore, sax soprano, flauto: Bob Bertles, Phil Todd, Tim Whitehead
    Clarinetto, clarinetto basso, sax tenore: Tony Roberts, Tony Coe
    Piano e piano elettrico: Dave MacRae, Gordon Beck, Geoff Castle
    Chitarra: Chris Spedding, Allan Holdsworth, Jocelyn Pitchen, Ray Russell, Ken Shaw, Mark Wood
    Chitarra basso: Ron Mathewson, Roy Babbington, Roger Sutton, Billy Kristian, Mo Foster, Rob Burns, Dill Katz, Rob Statham, Joe Hubbard
    Batteria: Clive Thacker, Tony Levin, Bryan Spring, Roger Sellers
    Percussioni: Chris Karan, Trevor Tomkins, Aureo de Souza, Richard Burgess, Chris Fletcher
    Synthesizer: Keith Winter, Paddy Kingsland, Geoff Castle, Neil Ardley
    Voci: Norma Winstone, Joy Yates (moglie del pianista Dave MacRae), Kieran White
    Organo: John Taylor




*                   *                   *                  *              *      






*                   *                   *                  *              *

 


  

Altri links correlati (jazz-rock e dintorni)









26 ott 2014

Addio a Jack Bruce



La notizia è esplosa nel web, subito dopo ripresa dai media "tradizionali": è morto, una manciata di ore fa, Jack Bruce.


Lo scozzese, considerato uno dei più grandi bassisti in assoluto, era uno dei miei “contatti” su Facebook.
Vecchio e malato (il tumore al fegato diagnosticatogli nel 2003 ha lasciato il suo segno...), qualche mese fa aveva annunciato l’uscita dell’album Silver Rails.


Io non l’ho comprato quel disco (non ancora), ma lo ho ascoltato su Spotify: un prodotto musicale sì energico, ma senza l’upbeat esagerato cui ci hanno abituato i gruppi giovani; un album bello, ovviamente nella tradizione del rock-blues, riuscitissimo grazie anche alla collaborazione di musicisti validi.
Alcuni brani di Silver Rails sono elegiaci, poetici, e ciò che risalta è la voce di Bruce, matura ma non affatto invecchiata. (Io ad esempio Leonard Cohen, tra i miei cantautori favoriti, non lo ascolto più da decenni perché non mi piace più il suo timbro, divenuto più basso e più scuro di prima; e la stessa cosa purtroppo devo dire di Dylan.)
Una voce davvero piacevolissima quella di Jack Bruce, e canzoni da ascoltare in pacifica solitudine.






Negli Anni Sessanta Jack Bruce fondò, insieme a Eric Clapton e al batterista Ginger Baker, i Cream, trio innovativo di cui lui fu il più proficuo compositore nonché il cantante.


Prima dei Cream ci fu ovviamente la gavetta. Trasferitosi molto giovane a Londra con un’educazione musicale da controbassista, era stato membro del gruppo di Alexis Corner, e lì colui che azionava i drums era Charles Watt (poi passato ai Rolling Stones).

Il background originario di Jack Bruce era il jazz, e il jazz, sposatosi con il blues assimilato tramite Korner & Co., gli consentì di offrire al pubblico una musica che andava al di là del rock’n’roll, del rock di consumo. Fu questo speciale mix uno degli ingredienti del successo dei Cream.


Dopo i Cream, Bruce suonò con Frank Zappa (in Silver Rails c’è un track dal titolo “Hidden Cities” che è decisamente zappiano), e anche con Lou Reed, ed entrò a far parte della All-Starr Band di Ringo Starr.
Sto ascoltando proprio in questo momento brani dal suo ultimo album e da dischi precedenti (quelli degli Anni Novanta e Duemila). Un rock piacevolissimo, purtroppo non coronato dal successo universale. Ma questa musica avrà di certo trovato le sue strade per entrare nelle camerette di giovani idealisti e fin dentro i rifugi di anime sperdute alla ricerca di un appiglio, di un suggerimento, di una ragione per accettare l’esistenza.


Jack Bruce, così come il meno noto ma ugualmente bravo e “mitico” Andy Fairweather-Low (lead guitarist e leader degli storici Amen Corner, e per fortuna ancora vivo e vegeto), ha rappresentato una sorta di enciclopedia musicale vivente. Gente bianca cresciuta sull’Isola di Albione che va a riallacciarsi alla tradizione della musica nera per riproporla, arricchita dalla cultura britannica/europea, su questa sponda e poi sull’altra dell’Atlantico, restituendola ai neri che a loro volta con questa “beat music” ci giocheranno per restituirci la palla, che noi raccoglieremo e riplasmeremo insieme agli impulsi della cultura hippy (country-rock, psychedelia...) per farne qualcosa di nuovo e di diverso nel contempo (The Stranglers, Talking Head, il punk, The Clash, ma anche tutto il progressive rock) e...

Sì.

Grazie di tutto, Jack. Riposa in pace.

17 ott 2014

Brano del giorno: "Crazy Mary"

... di Victoria Williams.

Eseguito dai Pearl Jam (voce solista: Eddie Vedder)






Crazy Mary

She lived on a curve in the road, in an old tar-paper shack
On the south side of the town, on the wrong side of the tracks
Sometimes on the way into town we'd say:
"Mama, can we stop and give her a ride?"


Sometimes we did but her hands flew from her side
Wild eyed, crazy Mary

Down along the road, past the Parson's place
The old blue car we used to race


Little country store with a sign tacked to the side
Said "No L-O-I-T-E-R-I-N-G allowed"
Underneath that sign always congregated quite a crowd


Take a bottle, drink it down, pass it around
Take a bottle, drink it down, pass it around
Take a bottle, drink it down, pass it around


One night thunder cracked mercy backed outside her windowsill
Dreamed I was flying high above the trees, over the hills
Looked down into the house of Mary


Bare bulb on, newspaper-covered walls, and Mary rising up above it all

Next morning on the way into town
Saw some skid marks, and followed them around
Over the curve, through the fields, into the house of Mary


That what you fear the most, could meet you halfway
That what you fear the most, could meet you halfway


Take a bottle, drink it down, pass it around
Take a bottle, drink it down, pass it around
Take a bottle, drink it down, pass it around

12 ott 2014

Brano del giorno: "Ashes"

... dei Pain Of Salvation

"As we walk through the ashes
I whisper your name
A taste of pain to cling to
As we walk through the ashes
You whisper my name
Who's the one with the sickest mind...
now?"




Chiunque ami il prog è attratto dalle complesse strutture compositive. Eppure, alcuni ottimi gruppi riescono a creare speciali atmosfere progressive usando anche solo tre accordi...


"Ashes"  (dall'album The Perfect Element, part I. Inside Out Music 2000)


You claim I don't know you, but I know you well
I read in those ash eyes we've been through hell
I've walked with the weakest just to feel strong
You've given your body just to belong

Let's burn together
Let's burn together

This pain will never end
These scars will never mend

I taste your sorrow and you taste my pain
Drawn to each other for every stain
Licking the layers of soot from your skin
Your tears work my crust to let yourself in

Touching you harder
Touching you harder now

As we walk through the ashes
I whisper your name
A taste of pain to cling to
As we walk through the ashes
You whisper my name
Who's the one with the sickest mind...
Now?

This pain will never end
Our scars will never mend
Cleansing sweat
We are just using each other
Too depraved to stay alive
But too young to die
And we hurt
Thus we hurt

Scrubbing it harder
Too late to back out now
Scrubbing it even harder
As these two broken barren desolate disordered words collide

As we walk through the ashes
I whisper your name
A taste of pain to cling to
As we walk through the ashes
You whisper my name
Who's the one with the sickest mind
Now?

This pain will never end
These scars will never mend
Damn this dirty bed
Damn this dirty head



[ I Pain Of Salvation sono la "Today's band" sul gruppo di Facebook 'Prog Bar' ].



Arrivano da lontano: vi dice qualcosa infatti Eskilstuna? Esatto, si trova in Svezia.
Perché la band è stata chiamata così?
In un'intervista del 1999, il cantante Daniel Gildenlöw spiegò, a questo proposito:
"Volevo un nome che significasse qualcosa, che fosse più di una semplice espressione figa. Secondo me, Pain Of Salvation ha un certo equilibrio: racchiude il buono (la salvezza) e il cattivo (dolore)". 

Gildenlöw non è soltanto membro fondatore e voce solista dei Pain Of Salvation, ma anche chitarrista e compositore. Il loro progressive rock è di tipo "hard" o "semihard": un prog metal con inserti poliritmici e con l'aggiunta - occasionale - di strumenti acustici, più caratteristici del folk che del metal, come il mandolino e il liuto. 

I testi sono alquanto dark: così com'è la vita, e così com'è la morte.

Nel corso degli anni, la formazione ha subito diversi cambiamenti. Attualmente i membri sono:

  • Daniel Gildenlöw - lead vocals, guitar, lute, mandolin (1984−present), bass (2006-2007), keys (1990-1996)
  • Gustaf Hielm - bass guitar, double bass, vocals (1992–1994, 2011–present)
  • Léo Margarit - drums, vocals, percussion, mandolin (2007−present)
  • Daniel "D2" Karlsson - keyboards, percussion, backing vocals (2011–present), bass guitar (2011 touring)
 Touring member:
  • Ragnar ZSolberg - guitar, vocals, mandolin (2011–2013, 2013-2014, 2014-present)



27 set 2014

Brano del giorno: "Forever Young"

"Forever Young" apparve per la prima volta, in due versioni differenti, sull'album di Dylan del 1974  Planet Waves.

Qui performata dal vivo in The Last Waltz (Bob Dylan & The Band), concerto tenutosi nel Thanksgiving Day del 1976 (25 novembre)


Nell'interpretazione di Eddie Vedder (Pearl Jam)


Un regalo del produttore Kevin Shirley a sua moglie. Interpreti della canzone: Joe Bonamassa, Beth Hart, Blondie Chaplin, Sandi Thom e Doug Henthorn


Recitata/cantata da Pete Seeger


La cover version (alquanto poppeggiante, più tipicamente Anni Ottanta che Anni Novanta) dei Pretenders

La cover, riuscitissima, di The Pistoleros


E questo è il bravissimo Sean Sonego in un arrangiamento particolare di "Forever Young". Da brividi!




"Forever Young"

May God bless and keep you always
May your wishes all come true
May you always do for others
And let others do for you
May you build a ladder to the stars
And climb on every rung
May you stay forever young
Forever young, forever young
May you stay forever young.

May you grow up to be righteous
May you grow up to be true
May you always know the truth
And see the lights surrounding you
May you always be courageous
Stand upright and be strong
May you stay forever young
Forever young, forever young
May you stay forever young.

May your hands always be busy
May your feet always be swift
May you have a strong foundation
When the winds of changes shift
May your heart always be joyful
And may your song always be sung
May you stay forever young
Forever young, forever young
May you stay forever young.

19 set 2014

Brano del giorno: "Sinking Sand"



[Music - D. Ott, E. Platt / Lyrics - T. Leonard]

I guess I knew this day would come
When you would finally drop the bomb
Conclusion long forgone
But that you'd say it with a yawn

Thought you'd stop
Tempting fate
Change your ways
Now it's far too late

I know it's strange
Responding with disdain
But when you're gone
I'll still feel the pain

Constantly you'd roll the dice
To find your place in Neverland
Mirage that easily enticed
You into the sinking sand

It wasn't that it could
You said it so yourself
It was only that it would
You play the hand you're dealt

You say you harbor no regret
That love's a double-edged knife
To feel its sting you're desperate
To fee it deep you'd trade your life

So again you roll the dice
To find your place in Neverland
Mirage that easily enticed
You into the sinking sand

It wasn't that it could
You said it so yourself
It was only that it would
You play the hand you're dealt


*********************************************


Definizione di "enchant":
1. Fare un incantesimo; stregare.
2. Attrarre e deliziare.


Dopo dieci anni, gli Enchant, band di San Francisco appassionatamente progressive, tornano con un nuovo album in studio realizzato dall'ormai rinomata etichetta InsideOut. Il titolo: The Great Divide.






Topolàin conosce questo gruppo dalla metà degli Anni Novanta. Allora era il periodo di dischi come A Blueprint Of The World, pubblicato da una piccola label tedesca...

Line-up / Musicians

- Ted Leonard / lead vocals
- Douglas A. Ott / guitars
- Michael "Benignus" Geimer (oggi: Bill Jenkins)/ keyboards
- Paul Craddick (oggi: Sean Flanagan) / drums
- Ed Platt / bass
- Steve Rothery / E-bow [archetto elettronico] e chitarre

Juggling 9 Or Dropping 10 è, per i loro fans, uno dei migliori album degli Enchant



Infos, news, video and sound clips

www.enchantband.com
https://myspace.com/enchantband

Iscrivetevi al loro canale Facebook:
https://www.facebook.com/enchantband

17 set 2014

Cosimo Matassa R.I.P. - Matassa fu uno dei più importanti produttori musicali di New Orleans

Foto del 1958

Si è spento l'11 settembre ma, discreto e modesto com'era, ce ne siamo accorti solo oggi. Cosimo Vincent Matassa, nato il 13 aprile 1926, era un leggendario ingegnere del suono. Fu lui ad aiutare il rock'n'roll oltre i primi vagiti, e produsse numerosi hits di rhythm & blues.




Nel 1945, insieme a un socio, inaugurò uno studio di registrazione (battezzato J&M Recording Studio) nel retro del negozio di alimentari dei suoi genitori, all'883 della North Rampart Street, Nuova Orleans, Quartiere Francese.  Lo studio (che poi si trasferì in altre sedi più comode, sempre nel French Quartier) rimase attivo fino agli Anni Settanta e se ne servirono, tra gli altri, Fats Domino, Little Richard, Professor Longhair, Jerry Lee Lewis, Ray Charles, Lee Dorsey, Ernie K-Doe, Lloyd Price, Smiley Lewis, Dr. John, Sam Cooke.



Nel 1960 Matassa cercò di fare la concorrenza all'industria discografica delle grandi companies e creò l'etichetta Dover Records. Ma il progetto fallì abbastanza presto. L'italo-americano spiegò in seguito di non possedere i requisiti per avere successo "in un mondo di tagliagole". Il tentativo lo lasciò con debiti per circa 200.000 dollari: allora una vera montagna di soldi.

Tuttavia la sua amarezza si mantenne entro certi limiti. Trascorse gli ultimi tre decenni nel negozietto ereditato dai genitori, che ora portava avanti insieme alla moglie, Jennie - all'anagrafe Jennie Marie Maggio -, con la quale convisse per 65 anni, fino alla morte di lei, avvenuta nel 1999.
Nel drugstore parlava volentieri, con i clienti che lo richiedevano, della J&M Records e della scena musicale di New Orleans.


Ottenne diversi riconoscimenti, a livello locale e nazionale. Nel 2012 fu accolto nella Rock and Roll Hall of Fame.
Niente male per il figlio di un emigrato siciliano! (Suo padre era arrivato in America nel 1910...)


In tutte le sue interviste, anziché sottolineare i propri meriti, Cosimo Vincent Matassa amava esaltare la bravura dei musicisti che erano passati dal suo studio e che avevano buttato un po' della loro luce anche su di lui. "La mia tecnica di registrazione? Semplice: cercavo di riprodurre il loro suono e la loro voce il più fedelmente possibile." Dichiarò inoltre: "Non avevo nessuna idea che quei dischi sarebbero passati alla storia..."

Già; un senso per la "storia" Cosimo Matassa non lo ha mai posseduto. A chi gli ricordava che questa o quella canzone erano state registrate da lui, spesso rispondeva che non ne aveva il minimo ricordo. Matassa fu il primo tecnico del suono di Fats Domino, nel 1949 (la band era diretta da Bartholomew, che produsse anche il disco). In un solo giorno, nel retro del negozietto di alimentari vennero registrati otto brani, tra cui "The Fat Man". Fu l'inizio della carriera musicale di Domino & Bartholomew, che tornarono spesso a usare quello e anche gli altri studi di registrazione di Matassa.
Eh sì, perché l'italo-americano mutò abbastanza spesso l'indirizzo, pur rimanendo nel cuore artistico-musicale di New Orleans; e arrivò a registrare/produrre 21 dischi d'oro e 250 piazzamenti nella hit parade stelle-e-strisce.



Oltre a dozzine di dischi di Fats Domino, transitarono attraverso le apparecchiature e i microfoni di Cosimo Matassa brani come "Lawdy Miss Clawdy", "Mardi Gras in New Orleans", "Tipitina", "I Hear You Knocking" e "Long Tall Sally". 
Tre dei brani considerati come tra i primissimi del rock'n'roll furono registrati da lui: il già citato "The Fat Man" e inoltre  "Good Rockin' Tonight" di Roy Brown e il celeberrimo "Tutti Frutti" di Little Richard.
Tra i successi R&B che hanno l'impronta di Matassa e della J&M, si contano "Tell It Like It Is" (Aaron Neville), "Sea Cruise" (Frankie Ford), "Mother-In-Law" (K-Doe) "Barefootin'" (Robert Parker). Ma aggiungiamoci anche "Mardi Gras Mambo" (Art Neville and the Hawketts), "Ain't Got No Home" (Clarence "Frogman" Henry), "Carnival Time" (Al Johnson), "Let the Good Times Roll" (Shirley and Lee) e ulteriori tessere del mosaico sonoro della musica degli Anni 60 (canzoni interpretate da Irma Thomas, Lee Dorsey, Benny Spellman e Chris Kenner).

"Nessun trucco, nessun overdubbing o effetto riverbero: registravo questi artisti così come suonavano in natura."



Gli stessi cantanti hanno confermato le asserzioni di Matassa: aveva una sorta di sesto senso nel saper piazzare i microfoni e regolare i vari livelli di suono e frequenza. Dr. John affermò che, "una volta preparata l'apparecchiatura per la sessione di registrazione, assai raramente Cosimo spostava qualche leva o girava una manopola". 

Nel libro di John Broven dal titolo Rhythm and Blues in New Orleans, un altro musicista, Rebennack, parla di un "Cosimo Sound", consistente in batteria "forte", basso "heavy", pianoforte "leggero", chitarra "heavy" e un lieve suono di fiati, con la voce solista che rimaneva dominante. 
Fu l'incipit di quello che successivamente sarebbe stato chiamato il "New Orleans Sound".



Se vi interessa, il Matassa's Market a New Orleans esiste ancora e viene gestito dai figli e nipoti di Cosimo...



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