Oggi (che è domenica e dunque… Jazz time!) vi presentiamo tre splendidi terzetti.
Il primo jazz trio è sicuramente noto a tutti gli appassionati di questa musica. Si tratta del George Duke Trio, qui in un brano di oltre 8 minuti: "It's On".
C'è qualcosa di più divertentemente funky del Delvon Lamarr Organ Trio?
... e pensare che questo per loro è una sorta di allenamento (un warm up)!
La terza formazione che vi vogliamo presentare è quella dei GoGo Penguin. Talmente bravi da essere stati scritturati dalla Blue Note Records. Come noterete, hanno qualcosina di Philip Glass... e del minimalismo, in generale.
La Seconda Guerra Mondiale fu condotta anche nell'etere. Il mezzo radiofonico sembrava fatto apposta per la propaganda all'estero. Joseph Goebbels, giusto a scopo di mistificazione e diffusione dell'ideologia bruna, inventò un "jazz del Reich". Consisteva in celebri brani jazz dal testo riveduto e corretto. Spesso le parole delle songs erano macabre: "Fronte rosso, fronte rosso, molto sangue sparso...". Di questo macchinario per le terre oltreconfine, costituito da un'emittente che trasmetteva prevalentemente in inglese, i comuni cittadini del Terzo Reich non sapevano nulla. A loro, anzi, veniva negato assolutamente di andare in escandescenze per lo swing degli americani.
Nella terminologia nazionalsocialista il jazz era "musica negro-americana". In Germania veniva permesso solamente un tipo di jazz moderato. Erano del tutto vietate le jazz sessions, espressione del vero e proprio "jazz negro". I musicisti all'avanguardia non ebbero vita facile. Molti, ebrei ("meticci di secondo grado"), furono trascinati nei campi di concentramento, dove venivano costretti a suonare. Quasi nessuno di loro sfuggì alla morte.
Nonostante le minacce e le repressioni, in Germania non mancarono comunque gli ammutinamenti. Una sera in cui il locale Delphi di Berlino (che nel 1943 era una metropoli di 4 milioni di abitanti) era pieno zeppo di soldati in licenza – perché feriti –, la band attaccò improvvisamente un genere di musica finora poco conosciuta dagli spettatori. Era un jazz negro. La gente smise di ballare e si accalcò sotto il palco, stregata. Col passare dei minuti il ritmo divenne indiavolato: un susseguirsi di note scoppiettanti, una delizia acustica che entrava nelle vene. L'esecuzione era straordinaria, soprattutto per quei giorni in cui ogni suonatore doveva adattarsi a strumenti che non gli erano congeniali (il trombettista, ad esempio, doveva sapersela cavare anche col trombone). Fu un trionfo. Ma il rischio corso era troppo grande e quella fu una delle poche "insurrezioni". Di solito i musicisti non superavano mai il livello di guardia: i censori stavano all'erta.
Goebbels si era accorto che il jazz piaceva agli avieri. Lui stesso non era sprovvisto del senso della musica e il fatto che possedesse anche un filino d'umore, seppure in maniera contorta, è avallato dal piacere evidente che ricavava dal Grande Dittatore, che vedeva e rivedeva in un cinema privato sbellicandosi dalle risa.
Convocò dunque un manipolo di jazzisti alla Haus des Rundfunks della capitale e, sotto vigilanza delle SS, fece eseguire alcune canzoni che venivano immediatamente irradiate verso il territorio nemico. La musica era quella degli americani, mentre il testo era un insieme di frasi che rifacevano il verso a Cole Porter e altre stelle yankee, distorcendo il significato originale. "Tu sei eccezionale, tu sei un aviatore tedesco..." Il canto era sempre in inglese.
L'ammirazione dei tedeschi per i britannici, per lingua, usi, caratteristiche, ha radici che affondano in tempi di gran pezza tramontati. Molti militari del Terzo Reich vivevano una sorta di sdoppiamento della personalità: da un lato c'era il loro apprezzamento per gli inglesi e dall'altra c'era l'amato Führer, il grande costruttore di autostrade. Quando l'aviazione tedesca bombardò Londra e altre città della Terra d'Albione, venne inaugurato un nuovo, truce capitolo negli annali della guerra aerea. La Germania avrebbe poi conosciute sulla propria pelle le tragiche implicazioni di quell'affronto: le bombe di marca tedesca tornarono al mittente in quantità molto ma molto maggiore. Abbiamo già detto di Dresda, ma anche altri luoghi conobbero l'inferno della vendetta. Su Berlino si abbatterono in una sola notte 900 tonnellate di bombe inglesi... Come dicevamo, gli aviatori tedeschi facevano il verso ai britannici in tutto; non solo coltivando gli stessi gusti musicali. Quando Parigi fu occupata, si videro piloti della Luftwaffe girare in Rolls Royce per le avenues; e al collo portavano sciarpe azzurre, alla maniera dei piloti d'Oltremanica. Che cosa pensarono, quando fu loro ordinato di attaccare l'inghilterra? Erano forse talmente imbottiti di droga da essersi resi scevri di ogni sentimentalismo?
Alla propaganda nazista a colpi di jazz si opponeva la psy war degli anglosassoni. Attraverso le loro trasmissioni per la Germania, gli Alleati perseguivano la speranza di potenziare la resistenza intestina contro il regime hitleriano. La scaletta comprendeva programmi divulgativi e news che fornivano agli oppositori di Hitler solidi controargomenti al nazionalsocialismo e li aiutava a non sentirsi da soli, arroccati su posizioni disperate. Nel suo diario, Anna Frank annotava (giugno 1943): "Quando si è demoralizzati, aiuta non poco la voce magica che arriva dall'etere, che sempre ci infonde coraggio e ci fa intendere: 'Mai lasciarsi andare! Verranno giorni migliori!'".
Fin dal primo giorno di guerra vigeva in Germania il divieto di sintonizzarsi su antenne straniere. Il castigo per i "delitti radiofonici" era severissimo: in alcuni casi fu applicata persino la pena capitale. In barba a ciò, molte persone vollero mettere a repentaglio la propria vita. La radio era rimasta l'ultimo legame con il mondo libero, l'unica opportunità di ascoltare opinioni e vedute differenti da quelle di Hitler e del suo Propagandaminister. Nel gergo degli iniziati, l'ascolto clandestino veniva detto "inalazione d'inglese": perché si origliava la voce di Radio Londra tenendo la testa sotto una coperta.
Radio Lussemburgo irradiava programmi in tedesco, redatti e parlati da tedeschi esiliati. E psy war era condotta anche dall'America, basandosi su uno schema semplice: venivano lette notizie autentiche, news vere, senza troppe spiegazioni e senza abbellimenti; gli ascoltatori avrebbero dovuto trarre da sé le conclusioni.
Era la stessa falsariga della BBC, l'emittente più seguita. I programmi di Radio Londra iniziavano con gli inconfondibili colpi di timpani: tre brevi e uno lungo, che riprendevano le prime battute della Quinta Sinfonia di Beethoven ("del Destino") e ricalcavano la lettera 'V' dell'alfabeto Morse – 'V' come "Victory". Una delle armi principali della guerra psicologica condotta dalle rive del Tamigi erano gli sketch satirici. Alcuni personaggi stereotipati (un astuto caporale, una casalinga irrispettosa, due politici da bettola berlinesi) divennero assai popolari, perché commentavano gli avvenimenti in corso facendo divertire l'audience. Per la BBC lavoravano numerosi tedeschi e austriaci.
Altre stazioni radiofoniche molto attive furono Radio Mosca e Germania Libera. Dai microfoni anti-Hitler risuonarono le voci di Thomas Mann («Ascoltatori tedeschi!»), del teologo Paul Tillich (che presentò un programma memorabile) e di Wilhelm Pieck, segretario del Partito Comunista Tedesco. Furono prodotte piccole commedie e canzoni politiche, venivano mandati messaggi di conforto ai soldati prigionieri e venivano lette le ultime novità dalla linea di fuoco.
Ma anche le trasmittenti naziste vibravano senza sosta. Furor teutonicus si fiondava oltre i confini del Reich. Vennero ingaggiati attori che padroneggiavano l'inglese per scenette che prendevano in giro gli uomini politici britannici. Un esempio: Churchill sta facendo il bagno quando un ministro tutto affannato si presenta al suo cospetto. «Signor Churchill, i tedeschi hanno decimato la nostra flotta!» E Churchill ribatte: «Beh, accidenti, porgimi un sigaro e una bottle of whisky».
Prigionieri di guerra erano spinti fin davanti ai microfoni goebbelsiani e costretti ad annunciare che stavano bene e che beneficiavano di un trattamento eccellente: «A good life». Tali programmi andavano in onda regolarmente ed erano seguiti dai parenti dei prigionieri in Europa e in America.
A cominciare dal'42 il governo di Roosvelt fu il bersaglio preferito della propaganda nazista. «Roosvelt è ebreo» veniva decretato. E il testo di una canzone jazz faceva così: "Gli ebrei hanno tutti i motivi per rallegrarsi, loro hanno un nuovo erede e capo: Mister Roosvelt Jones, che manda milizie nel Vecchio Continente per difendere la causa giudea".
Il gruppo di Charlie & His Orchestra suonava per il "Deutschen Kurzwellensender" (emittente a onde corte) in estemporanea. Charlie & His Orchestra era una big band con musicisti tedeschi e stranieri: ne facevano parte belgi, olandesi e italiani. Il "Charlie" che dava il nome all'ensemble era il cantante Karl Schwedler. Era soprannominato "Charlie" perché era stato negli Stati Uniti d'America. Era anche colui che scriveva le lyrics (spesso razziste) delle canzoni. Il più celebre dei membri fu però un altro Charlie: Charlie Tabor, suonatore di tromba il cui destino era di rimanere in attività fino a età inoltrata. Tabor avrebbe partecipato a molti film e programmi televisivi della Germania Occidentale (soprattutto nei decenni Cinquanta e Sessanta).
Questi musicisti in un primo tempo furono lieti che fosse loro consentito di suonare musica americana, guadagnando niente male. Nel '41, nel '42, molte delle migliori orchestre jazz europee si esibivano in locali esclusivi della capitale tedesca. Al Roswitha Bar primeggiava quella di Tullio Nobilia, formata da soli italiani. Ma Charlie & His Orchestra (con Nino Impallomeni alla tromba) offriva senza dubbio il jazz migliore. Anche al di fuori del palcoscenico, gli elementi armonizzavano perfettamente. Mario Balbo, sassofonista, era il buffone della compagnia, sempre predisposto agli scherzi. Una volta Charlie e consorti scesero a una stazione metropolitana ribattezzata "Piazza Adolf Hitler". Dopo aver guardato meglio, si accorsero che Platz non era scritto correttamente: qualcuno aveva aggiunto una 't', e la parola adesso era 'Platzt'. Il tutto si leggeva: "Scoppia Adolf Hitler". Autore di questo tiro mancino era stato... Balbo.
Quando cominciarono i bombardamenti su Berlino, trasmettere dal vivo risultò ostico. Ogni giorno si susseguivano fino a cinque allarmi. La metropoli fu presto una miriade di residui, schegge, rottami. Mentre la popolazione crepava, Charlie & His Orchestra dovevano cantare, cinicamente, Let's go bombing, sul motivo di Let's go slumming di Irving Berlin.
Parecchie città tedesche erano dissestate, le strade e i quartieri non più riconoscibili; tuttavia, nei cinegiornali, girati soprattutto per l'estero, si vedeva una Germania tranquilla e ricca: sfilate di moda con ragazze semisvestite, spettacoli mondani di vario genere, sequenze di benessere e signorilità accompagnate dalla voce allegrotta dello speaker.
Per la maggior parte del tempo i musicisti se ne rimanevano in un bunker a giocare a scacchi e ad annoiarsi. Finché ognuno di loro non ricevette una lettera di trasferimento. "Herr Impallomeni... trasferito a Breslau." Il termine "trasferito" (abkommandiert) suonava come un ordine. Nessuno poté dir di no: d'altronde, lavoravano per il ministero di Goebbels... anche se alcuni, fino a quel momento, sembravano averlo ignorato. Per la burocrazia nazista, i componenti di Charlie & His Orchestra occupavano lo stesso rango di soldati regolari.
Furono convogliati verso la Svevia, dove suonarono a Radio Stoccarda. Quando Badoglio, nel 1943, firmò il trattato di collaborazione con gli americani, il leader della big band assicurò ai musicisti italiani che non avrebbero rischiato rappresaglie da parte dei nazisti. «Nell'eventualità che qualcuno voglia crearvi seccature, potete sempre dire che lavorate per il Ministero della Propaganda.»
Swing e jazz continuarono a dilagare imperterriti. Dal 1939 alla fine della guerra, la 'Doktor Goebbels' Jazz Orchestra' (com'era altrimenti detta) non smise mai di eseguire in radio melodie già affermate su testi nuovi che avrebbero dovuto demotivare i nemici.
Il complesso rimase attivo anche dopo l'occupazione americana. A Ludwigsburg e in altre città del meridione tedesco, Charlie & His Orchestra, con un nuovo repertorio e alquanto rimaneggiati (alcuni suonatori se l'erano svignata dopo il tracollo della Germania), intrattennero i soldati occupanti. Nel giugno del '45 l'ensemble era ridotto a un quintetto. Due dei suoi elementi erano tedeschi (uno era Fritz "Freddie" Brocksieper, il batterista). I tedeschi venivano "coperti" dai loro compagni, due italiani e il pianista, olandese. Neanche quest'ultimo poteva certo lamentarsi, dato che in quel frangente postbellico, ad Amsterdam, più di 1.000 persone morivano d'indigenza. «Non vi preoccupate» dicevano ai due tedeschi. «Per quel che ci concerne, voi non siete tedeschi ma turchi.»
Come può un musicista giustificarsi per essersi messo al servizio di una dittatura? Ci riesce dicendo che vi è stato costretto. Spiega, a chi glielo chiede, che i musicisti, per natura, si occupano puramente di musica e che la politica non li stuzzica. È quel che fecero i componenti di Charlie & His Orchestra. I componenti restanti, cioè. Che erano stati contenti che persino sotto la svastica fosse stato loro concesso di suonare, e suonare il genere per cui stravedevano. Grazie alla loro passione e alla loro abilità, avevano potuto evitare di combattere al fronte e avevano persino ricevuto un'ottima paga. Ora, con gli americani in casa, non gli continuava a mancare nulla: zucchero, caffè, carne e burro abbondavano, così come cigarettes e "occupation marks", le banconote stampate dagli Alleati.
Durante un'esibizione in un ristorante per militi U.S.A., un sergente stelle-e-strisce si alzò e incitò, con la voce grossa del vincitore: «Let's go play!» Al che il trombettista improvvisò un assolo che scatenò l'entusiasmo dei soldati e degli altri astanti, i quali smisero di desinare per tributare una standing ovation. Il sergente manifestò la sua riconoscenza consegnando al suonatore il lasciapassare (la "denazificazione" era in pieno corso) insieme a 47 sterline.
Anche negli Anni Cinquanta e Sessanta i membri della vecchia Charlie & His Orchestra, singolarmente o militando in altre formazioni, raccolsero consensi.
Della big band ingaggiata da Goebbels non si hanno molti documenti sonori. Ma dalle rarissime registrazioni si ricava il senso di vigore, di forza esplosiva... una musica che purtroppo impallidisce di fronte ai testi di contenuto nazionalsocialistico.
Oggi ci sono state le esequie di Claudio Canali, noto dagli anni '90 come Fra' Claudio Canali. Era il leader della band Biglietto per l'Inferno, per cui aveva scritto i testi, aveva cantato e aveva suonato (flauto traverso).
Tra hardrock e melodie classicheggianti: il primo, storico album dei Biglietto per l'Inferno. Un capolavoro del prog rock non solo italiano. E che testi!...
Poi la band si ribattezzò Biglietto per l'Inferno.Folk. E continuò (e continua!) a sfornare musica eccellente.
Il Ron McClure Trio si avvale qui dell'apporto di John Abercrombie (leggendario chitarrista jazz) e, ai drums, di Aldo Romano.
Tutte le composizioni di quest'album (degno di far parte della nostra rubrica "Wonderjazz") sono del bandleader, il bassista Ron McClure.
È un jazz "cool" alquanto solido. Molto vicino alle zolle di terra, per così dire. Un jazz "matematico" ma non eccessivamente astratto. Una via di mezzo tra Einstein e Leibniz. Anche i momenti contemplativi non superano i limiti della sentimentalità.
Ron McClure, che iniziò a suonare il pianoforte e la fisarmonica da bambino, passò al contrabasso mentre era a scuola, e nel 1963 (a 22 anni), appena diplomatosi, entrò a far parte del Buddy Rich Sextett. Vanta collaborazioni anche con Herbie Mann, Wes Montgomery e Keith Jarrett. Per quasi due anni fu un componente dei Blood, Sweat and Tears, celebre gruppo jazz-rock del decennio '70. Dal 1990 in poi ha pubblicato numerosi lavori come leader di proprie formazioni jazzistiche.
Questa è la classifica stilata da questo ragazzo (convertita in: dal disco migliore al disco peggiore):
1. Selling England By The Pound
2. A Trick Of The Tail
3. Foxtrot
4. The Lamb Lies Down On Broadway
5. Wind And Wuthering
6. Nursery Cryme
7. Duke
8. Trespass
9. And Then There Were Three...
10. Genesis
11. Invisible Touch
12. From Genesis To Revelation
13. We Can't Dance
14. Calling All Stations
15. Abacab
... e questa è la classifica diTopolàin:
1. Selling England By The Pound (1973) 2. The Lamb Lies Down On Broadway (1974) 3. Foxtrot (1972) 4. Nursery Cryme (1971) 5. Trespass (1970) 6. A Trick Of The Tail (Febbr. 1976) 7. From Genesis To Revelation (1969) 8. And Then There Were Three... (1978) 9. Wind and Wuthering (Dic. 1976) 10. Genesis (1983) 11. We Can't Dance (1991) 12. Invisible Touch (1986) 13. Duke (1980) 14. Calling All Stations (1997) 15. Abacab (1981)
Qua erano senza Peter Gabriel...
... e poi rimasero soltanto in tre (Steve Hackett lasciò il gruppo)
Sui Genesis e i loro album ovviamente ci sono molte opinioni. Chi ama il rock progressivo, preferisce il primo periodo (1970-'76 ca.); chi li apprezza di più come band poppeggiante, amerà senz'altro tutta la produzione "capitanata" da Phil Collins. Ma le sfaccettature sono numerose e ci sono anche album dei Genesis che possono inquadrarsi sotto la categoria jazz-rock.
Ecco qui - vedi video sottostante - un'altra classifica dei migliori album genesiani, a cura del giornalista John Beaudin.
Classifica della votazione indetta da John Beaudin (Rock History Book):
1. Selling England By The Pound
2. The Lamb Lies Down On Broadway
3. A Trick Of The Tail
4. Wind And Wuthering
5. Duke
6. Foxtrot
7. Nursery Cryme
8. Genesis
9. Trespass
10. And Then There Were Three...
11. Abacab
12. Invisible Touch
13. We Can't Dance
14. Spot The Pigeon (1977)
15. Three Sides Lives (1982)
16. Calling All Stations
17. From Genesis To Revelation
Wily Bo Walker & E D Brayshaw in una canzone già resa nota da Boz Scaggs
Qui c'è tutto lo "swamp", c'è tutta la palude che un pezzo del genere richiede. La voce di Wily Bo Walker, del resto, sembra essere nata apposta per esprimere il blues più pastoso, più doloroso.
Ma forse preferite la versione di Boz Scaggs. Come sentirete, "Loan Me A Dime" si presenta qui in una dimensione più epica, e la voce di Boz è più "pulita" di quella di Walker. E che accompagnamento! Duane Allman (guitar, dobro, slide guitar), Ben Cawley alla tromba, Barry Beckett alle tastiere... e tanti altri. Parlando di questa registrazione, lo stesso Scaggs raccontò:
"Alla fine della sessione ci accorgemmo di avere poco tempo ancora, ed era presente chiunque avesse suonato nell'album. Lo studio di registrazione della Muscle Shoals non era grande, allora, e non c'era spazio per tutti. Così piazzammo i fiati nel corridoio, io cantavo nel bagno accanto al distributore delle bibite e Duane era rinchiuso col suo amplificatore in una sorta di sgabuzzino per le scope, in mezzo. (...) Si sentiva un'energia straordinaria e Roger Hawkings alla batteria faceva bene la sua parte, cambiando più volte il tempo, e il sassofonista se ne uscì semplicemente con questo giro di note che tutti gli altri seguirono. E ovviamente il suono prodotto da Duane era 'fuori dalla visuale'...".
Vi propongo ancora due cover di "Loan Me A Dime": una di Dave Meniketti (cantante e musicista di hard rock e heavy metal con una grande passione per il blues) e una - per tornare ai "classici" - di Mighty Joe Young (e dunque il suono di Chicago!).
Quale versione preferite voi? Topolàin non ha remore ad ammettere che, secondo lui, Chicago vince sempre.
Per iniziare in maniera tranquilla e nel contempo ispirata il week end, lasciamoci librare in aria da questo "omaggio a Gary" a firma di Henrik Freischlader.
Inteso è ovviamente il grande chitarrista Gary Moore, e una particolarità del disco in questione (Blues for Gary) è che, per registrarlo, Freischlader ha convocato alcuni ex collaboratori di Moore. Leggiamo i nomi di Vic Martin alle tastiere e Pete Rees al basso.
L'album ha un incedere meno rock quanto più blues e spirituale. A risaltare sono le ballate lente, le note estese. È un blues che tende verso cieli aperti, che ama snodarsi lungo strade sconfinate.
Davvero un bel prodotto, per chi vuole "perdersi" nei suoni, lasciandosi da essi dolcemente accompagnare e abbandonarsi ai pensieri o, ancor meglio, a sensazioni e ricordi.
Da dove viene il nome? Dall'inglese to wobble (tremolare, traballante), wobbler (indeciso, insicuro).
I norvegesi si sono messi insieme nel 1999 con il proposito di ricreare le atmosfere del progressive rock Anni 70. Oltre ai King Crimson e ai Gentle Giant, tra i loro gruppi preferiti c'è la Premiata Forneria Marconi (semplicemente "PFM" al di fuori dei confini italiani), e si sente! Che il prog italiano sia un faro per molti gruppi odierni è ormai un segreto di Pulcinella. La creatività di tanti nostri complessi (anche il Museo Rosenbach è tra le influenze degli Wobbler) è, tuttora, un bene di esportazione italiano non indifferente; e sembra voler crescere esponenzialmente col tempo, man mano che il progressive torna sempre più in auge.
Se vogliamo parlare di indirizzi musicali, Wobbler (meglio lasciar via l'articolo!) si muovono più in direzione symphonic rock, differenziandosi dunque da quei gruppi vichinghi che - anche per motivi commerciali - si dedicano ai suoni più duri e quindi al metal prog (tipo Meshuggah, Opeth...).
Ecco il brano di apertura dall'ultimo album (From Silence To Somewhere):
Negli inserti "bucolici", innegabili i richiami agli Yes e ai Genesis, oltre che al folkrock marca Gryphon e dintorni.
La discografia wobbleriana si riassume in quattro album:
Nonostante la stringatezza della loro produzione, il quintetto norvegese è assurto ai fasti di una popolarità senz'altro meritata, tanto che a Roma, il 23 e 24 marzo 2018, ci sarà un contest di due giorni che vedrà i Wobbler sul palco del Defrag insieme ai Jordsio e a tre band italiane (scelte - da una lista di 20 candidati - da una giuria e dai voti di preferenza espressi sul web).
Fin da Hinterland (loro primo album), nella musica di Wobbler troviamo spesso il flauto, il clavicembalo... oltre che le immancabili tastiere elettroniche.
Risentiamolo... se vi va! I Semiramis sono il gruppo storico di Maurizio Zarrillo (R.I.P., luglio 2017), Paolo Faenza, Giampiero Artegiani...
Virtualmente, questo è il loro unico album. Pubblicato dalla Trident, Dedicato a Frazz ha una bella copertina apribile disegnata da Gordon Faggetter, artista inglese che abitava a Roma e lavorava per la RCA. L'opera contiene tutti gli ingredienti del buon progressive rock e infatti il nome della band romana non manca da nessuna valida enciclopedia di questo genere musicale.
Su iniziativa di Paolo Faenza, dopo circa 44 anni dall'uscita di Dedicato a Frazz i Semiramis tornarono sulla scena con una nuova formazione che vedeva, oltre a Faenza - Maurizio Zarrillo - Artegiani, anche Ivo Mileto (basso), Rino Amato (tastiere), Antonio Trapani (chitarra elettrica) e la voce di Vito Ardito. Dal 2016 ripresero a dare concerti, esibendosi persino all'estero, e si vociferava di un nuovo album in studio. Tuttavia, il 7 luglio 2017 morì improvvisamente a Roma Maurizio Zarrillo, e ciò interruppe l'ascesa dei nuovi Semiramis.
L'etichetta Black Widow ha fatto uscire Frazz Live,