22 ago 2015

Brano del giorno: "Eve of Destruction"

Nel 1965 venne incisa e lanciata la canzone "Eve of Destruction" ("la vigilia della catastrofe"), scritta da P.F. Sloan.



Sloan è lo pseudonimo di Philip Gary Schlein, musicista e compositore newyorchese di origini yiddish che, oltre che per Barry McGuire, firmò canzoni di successo per The Searchers, Jan and Dean, Herman's Hermits, Johnny Rivers, The Grass Roots e The Mamas & The Papas.

Questo canto di protesta alquanto dylanesco sembrava adatto alle corde dei Byrds, ma i paladini del folk rock elettrico si rifiutarono di inserirlo nel loro repertorio.
Non rifiutò invece un'altra band di Los Angeles, i Turtles (vedi più sotto la loro versione), che proprio in quel periodo stava registrando un album di cover (album che avrebbe contenuto tre ballate di Dylan e "Let Me Be" dello stesso Sloan). 

Ma fu la versione su 45 giri di McGuire (cantante di Christian folk) ad avere successo, entrando già al suo apparire nel Billboard e sfondando in Europa (fu per due settimane al primo posto in Norvegia).


In Italia, Gino Santercole ("uno del Clan"; il nipotino geniale di Adriano Celentano) propose nel 1967 la canzone con il titolo "Questo vecchio pazzo mondo". Nel 1984, Celentano incluse la propria interpretazione anch'essa risalente agli anni d'oro del "Clan" nell'album I miei americani, collezione di successi stelle-e-strisce trasposti in lingua italiana.

La canzone di McGuire è inclusa nel film The Doors (diretto da Oliver Stone) come 'opening act' a un concerto di Miami di Jim Morrison & Co. E non poteva mancare in Good Morning, Vietnam!

 

Negli Anni Novanta e Duemila, McGuire canterà questa ballata antibellica mutandone alcune parole, per accennare a fatti più attuali. In una "reunion" di cantanti folk, cambiò i versi relativi alla marcia antirazzista da Selma a Montgomery ("Selma, Alabama") in "Columbine, Colorado" (riferimento all'inaudito massacro del 1999); e nella sua apparizione del 2008 al programma televisivo australiano Spicks and Specks rimosse il riferimento alla "Cina Rossa" e al diritto di voto dei diciottenni per inserire i seguenti versi, più generici:

Now think of all the hate, still living inside us 
its never too late, to let love guide us.




EVE OF DESTRUCTION

The eastern world it is explodin', violence flarin', bullets loadin' You're old enough to kill but not for votin' You don't believe in war, what's that gun you're totin' And even the Jordan river has bodies floatin' But you tell me over and over and over again my friend Ah, you don't believe we're on the eve of destruction Don't you understand, what I'm trying to say? Can't you see the fear that I'm feeling today? If the button is pushed, there's no running away There'll be none to save with the world in a grave Take a look around you, boy, it's bound to scare you, boy But you tell me over and over and over again my friend Ah, you don't believe we're on the eve of destruction
Yeah, my blood's so mad, feels like coagulatin' I'm sittin' here just contemplatin' I can't twist the truth, it knows no regulation Handful of Senators don't pass legislation And marches alone can't bring integration When human respect is disintegratin' This whole crazy world is just too frustratin' And you tell me over and over and over again my friend Ah, you don't believe we're on the eve of destruction
Think of all the hate there is in Red China Then take a look around to Selma, Alabama Ah, you may leave here for four days in space But when you return it's the same old place The poundin' of the drums, the pride and disgrace You can bury your dead but don't leave a trace Hate your next door neighbor but don't forget to say grace And you tell me over and over and over and over again my friend Ah, you don't believe we're on the eve of destruction.


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Cinquant'anni sono trascorsi da quando tali parole sono state proiettate nel mondo e fatte viaggiare sulle frequenze radio del nostro emisfero.


E voi credete che nel frattempo sia mutato qualcosa, e che i politici abbiano trovato una qualche soluzione ai problemi del mondo?


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Nei video sottostanti, la stessa canzone nella versione di The Turtles (molto bella davvero. Difficilmente i Byrds avrebbero potuto fare di meglio) e dei Pogues (il cui cantante, ahinoi, biascica le parole rendendole quasi incomprensibili):





Ben più in là di tutti quanti va questo gruppo punk, che sintetizza e velocizza il brano in meno di due minuti (e, quel che è peggio, rendendo affatto intelligibile il testo originale - almeno così sembra a me):



E ditemi se questa non è una cover riuscita: The Royal Philharmonic Orchestra feat. Lemmy Kilmister (Motörhead)


16 ago 2015

"Force" (Max Roach & Archie Shepp)

Jazz on Sunday:
Force
, album di free jazz nato dalla collaborazione tra Roach (drums) e Shepp (tenor sax) nel 1976


Musica al di sopra di tutti i generi, di difficile ascolto (lo ammetto: è già difficile ascoltare ornette Coleman...); ma anche un grido di rabbia contro l'apartheid.

15 ago 2015

Brano del giorno: "Another Saturday Night"

... di Sam Cooke 





"Another Saturday Night" fu composta da Sam Cooke mentre nel 1962 espletava un tour britannico insieme a Little Richard. E' uno dei suoi pezzi soul più vivaci, ballabili, da affiancare a "Good News", "Having A Party" e "Twistin' The Night Away".

Gli inizi dell'"uomo che inventò il soul" furono specialmente dedicati al gospel (vedi il suo connubio con The Soul Stirrers), e quindi alla musica religiosa; ma Cooke ovviamente non viveva sulla luna e, dopo una serie di vicissitudini, finì per lanciare una ballata politica del peso di "A Change Is Gonna Come" (ispirato dalla dylanesca "Blowin' In The Wind", ma anche dalle proteste per le strade d'America)... e ciò quasi esattamente un anno prima di venire ucciso: nell'Hacienda Motel di Los Angeles.


 (DVD, lingua inglese)
                 


"Another Saturday Night" divenne uno dei più grandi hits di Cat Stevens.





Sam Cooke

"Another Saturday Night"



Another saturday night and I ain’t got nobody,
I got some money ‘cause I just got paid.
Now how I wish I had someone to talk to,
I’m in an awful way.


Let me tell about it, look here:
I got in town a month ago, I ain’t seen a lotta girls since then.
If I could find ‘em I could get ‘em, but as yet I haven’t met ‘em,
That’s why I’m in the shape I’m in

Ohh
Another saturday night and I ain’t got nobody,
I got some money ‘cause I just got paid.
Now how I wish I had someone to talk to,
I’m in an awful way.


Now, another fella told me, he had a sister who looked so fine.
Instead of being my deliverance, she had a strange resemblance to a
Cat named Frankenstein

Here another saturday night and I ain’t got nobody,
I got some money ‘cause I just got paid.
Now how I wish I had someone to talk to,
I’m in an awful way
.

Yeah.. man, another saturday night. I got nobody..
It’s hard on a fella, when he don’t know his way around,
If I won't find me a honey to help me spend my money,
I’m gonna have to blow this town

Another saturday night and I ain’t got nobody,
I got some money ‘cause I just got paid.
Now how I wish I had someone to talk to,
I’m in an awful - here it is

Another saturday night and I ain’t got nobody,
I got some money ‘cause I just got paid.
Now how I wish I had someone to talk to,
I’m in an awful - one more time

Another saturday night and I ain’t got nobody,
I got some money ‘cause I just got paid.
Now how I wish I had someone to talk to,
I’m in an awful way.




Una cover eseguita all'ukulele dal 19enne Jamie Cook (qui il suo canale di Youtube)



Leggi inoltre su Topolàin

Brano del giorno: 'A Change Is Gonna Come' (di Sam Cooke)"


9 ago 2015

Ornette Coleman

Sunday = jazz day

Oggi: il fantastico viaggio di Ornette Coleman




Quando morì nel 2012 stroncato da un infarto, gli "obituary" giustamente parlavano di un musicista che aveva cambiato, insieme ad alcuni accoliti, il modo di fare jazz - e non solo jazz. Ornette Coleman fu, con Coltrane, Charlie Mingus, Charlie Parker, e Miles Davis, l'uomo che "mutò le regole", e il cui nome viene spesso citato quando si tratta di sfogliare una raccolta di canzoni à la Nora Jones o di cercare i limiti, gli spigoli, gli angoli più estremi del pentagramma. Decisivo soprattutto il suo capolavoro The Shape Of Jazz To Come (1959).




Questo sassofonista, trombettista, violinista e compositore possedeva una propria cifra stilistica, nonché un proprio timbro, che lo rendevano riconoscibilissimo. Nato nel 1930 in Texas, rese fin da subito il bebop la sua religione, anche se l'approccio che aveva agli accordi e alle strutture melodiche fu meno rigido di quello di altri adepti del genere. Il suo suono era rozzo, a volte stridulo, tanto che non di rado veniva paradossalmente rimproverato di "uscire dal coro", di "non attenersi alla struttura".



Già nel '58 il suo primo album: Something Else!!!!: The Music of Ornette Coleman.

The Shape Of Jazz To Come, dell'anno seguente, secondo il critico Steve Huey rappresentò "uno spartiacque nell'ottica della nascita del jazz d'avanguardia, un album che già indica la via futura".
Sebbene orientate al blues - per quanto liberamente - e spesso alquanto melodiche, le composizioni di Something Else!!!! vennero allora considerate insolite per le loro armonie, nonché (ancora!) "senza una vera e propria struttura". Lo stesso accadde un po' per The Shape Of Jazz To Come, anche se l'attenzione era intanto accresciuta: tutti erano concordi nell'affermare che stava per accadere - o meglio era già accaduta - qualcosa di nuovo, di rivoluzionario.
Alcuni colleghi musicisti e alcuni critici considerarono Coleman un iconoclasta, mentre altri (in primis: Leonard Bernstein e Virgil Thompson) riconobbero in lui il genio, l'innovatore.

 
                                  Cresciuto in povertà e in un ambiente razzista, fu accanito autodidatta

Nel 1960 era la volta di Free Jazz: A Collective Improvisation, registrato insieme a un doppio quartetto:

Eric Dolphy (clarinetto basso), Don Cherry (tromba), Freddie Hubbard (tromba), Scott LaFaro (basso), Charlie Haden (basso), Billy Higgins (batteria) e Ed Blackwell (batteria). 

La risonanza fu grande. L'album segna l'inizio del jazz d'avanguardia atonale, anche se l'"improvvisazione collettiva" si rifà agli inizi della musica jazz a New Orleans.

Basandosi sul free jazz, Ornette Coleman svilupperà - soprattutto a partire dal 1970 - il suo sistema della "armolodia" ("Harmolodics"), dove, al contrario della musica modale, si improvvisa sulle serie lineari degli intervalli.
Da lì al free funk e ai ritmi rock con atmosfere spaziali il passo fu breve. 
Il suo album Dancing In Your Head, registrato tra l'altro con i Master Musicians of Jajouka (Marocco), fu inserito - tra le altre - nella lista di The Wire dei "100 Records That Set the World on Fire (While No One Was Listening)" (100 album che misero il mondo a ferro e fuoco [mentre nessuno stava ad ascoltare])




Dancing In Your Head fu un altro punto nodale della sua carriera e della sua crescita professionale. Crescita mai arrestatasi: basti pensare che volle imparare a suonare violino e tromba, e che dai primi Anni Sessanta compose musica da camera; che stabilì un suo quartetto fisso - dal nome Prime Time - e che continuò a suonare con un proprio quartetto "classico" (comprendente piano, basso e batteria), nonché, più tardi, in un duo composto da sassofono e piano (insieme a Joachim Kühn o a Geri Allen).




Per Sound Grammar (2006), registrazione dal vivo effettuata in Germania durante un festival jazz, in una formazione affatto solita (con due bassisti e un percussionista), vinse anche il premio Pulitzer per la musica.
Partecipò tra l'altro ai dischi Yoko Ono/Plastic Ono Band (di Yoko Ono, 1970) e The Raven (di e con Lou Reed e tutta una pletora di musicisti, 2003). 




Disse di lui il critico Howard Mandel: "Ornette didn't play free jazz, what he did was he freed jazz"

E Roy Eldrige dichiarò drasticamente nel 1961 sulla rivista Esquire: "L'ho ascoltato in ogni situazione: da ubriaco, da sobrio... Ho persino suonato con lui. Io penso che ci stia prendendo in giro!"




Links di approfondimento:

"R.I.P. Ornette Coleman, who confounded most people and humbled us all"

"Ornette Coleman" (obituary by Tom Hull, with discography and links)

"Why was Ornette Coleman so important?" (Los Angeles Times)


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Classica à la Ornette: Skies of America (al Verona Jazz Festival del 1987)

8 ago 2015

Brano del giorno: "Chelsea Hotel"

... nell'interpretazione di Tal Wilkenfeld



Tal, bassista jazz-rock di Sydney (Australia), si esibisce qui in uno dei più celebri brani di Leonard Cohen.
La poesia coheniana rimbalza, ancora oggi e forse più forte che mai, da un continente all'altro...

"Chelsea Hotel #2"

I remember you well in the Chelsea Hotel,
you were talking so brave and so sweet,
giving me head on the unmade bed,
while the limousines wait in the street.
Those were the reasons and that was New York,
we were running for the money and the flesh.
And that was called love for the workers in song
probably still is for those of them left.
Ah but you got away, didn't you babe,
you just turned your back on the crowd,
you got away, I never once heard you say,
I need you, I don't need you,
I need you, I don't need you
and all of that jiving around.

I remember you well in the Chelsea Hotel
you were famous, your heart was a legend.
You told me again you preferred handsome men
but for me you would make an exception.
And clenching your fist for the ones like us
who are oppressed by the figures of beauty,
you fixed yourself, you said, "Well never mind,
we are ugly but we have the music."

And then you got away, didn't you babe...

I don't mean to suggest that I loved you the best,
I can't keep track of each fallen robin.
I remember you well in the Chelsea Hotel,
that's all, I don't even think of you that often.

"Chelsea Hotel #2" racconta dell'occasionale incontro (e rapporto sessuale) di Cohen con Janis Joplin. La celebre cantante si trovava là per vedersi con Kris Kristofferson, che era il suo "lover" di turno...




Lo stesso Cohen spiegò: "L'ho scritta per una cantante americana morta qualche tempo fa. Anche lei era solita alloggiare al Chelsea. Ho iniziato la canzone nel 1971, in un bar polinesiano di Miami, per finirla ad Asmara, Etiopia, poco prima che il trono venisse usurpato..." Anni più tardi il cantautore si pentì di aver resa pubblica questa storia, ma non ritrattò mai sulla sua veridicità.


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Il Maestro in persona, seguito da alcune cover (bella quella di Regina Spektor):









7 ago 2015

Un album importante: "Back To The Roots" (1971)



John Mayall & The Bluesbreakers sono i pionieri del blues-rock inglese, e un'importante "officina" che ha visto passare tra le sue fila talenti come Eric Clapton, il bassista Jack Bruce (entrambi si sarebbero riuniti nei Cream), Peter Green e Mick Fleetwood (che, dopo aver lasciato la band di John Mayall, formarono insieme a John McVie i Fleetwood Mac), Mick Taylor (poi chitarra dei Rolling Stones), Harvey Mandel, Walter Trout e Larry Taylor (tre fuggiaschi dei Canned Heat che decisero di suonare con Mayall), Dick Heckstall-Smith, Tony Reeves e Jon Hiseman (in seguito Colosseum), Andy Fraser (Free) e altri.

                                          Nel '66 c'era Clapton con loro...

Back To The Roots uscì già nel 1971 e volle essere una cartolina di presentazione per così dire in retrospettiva per sottolineare la grandezza di quanto il gruppo aveva prodotto fino ad allora. E' un doppio album cui parteciparono "vecchi" membri di John Mayall & The Bluesbreakers, quali Eric Clapton e Mick Taylor, nel frattempo celebri e richiestissimi.
A parte Mayall (vocals, pianoforte e chitarra) i musicisti che lavorarono a Back To The Roots sono:

Eric Clapton, Mick Taylor, Harvey Mandel e Jerry McGee (chitarra);
Larry Taylor e Steven Thompson al basso;
Keef Hartley e Paul Lagos batteria;
Johnny Almond (sassofono e flauto).




Diciotto brani distribuiti su quattro facciate di vinile; ma la versione del 2001 (su CD) contiene 24 brani.
Mayall ha sempre avuto la preoccupazione di variare il suono, di aggiungere o togliere strumenti. Ebbene, in Back To The Roots spicca - in più brani - il violino di Don "Sugarcane" Harris, musicista americano jazz-blues di colore che, oltre che con Mayall, va ricordato per le sue collaborazioni con Johnny Otis e con Frank Zappa & The Mothers Of Invention.

 Sugarcane


Il blues, nei suoi accoppiamenti (col folk, e ovviamente col jazz, con il rock...) può presentare tante sfaccettature, e l'album in questione coglie splendidamente diverse di esse. "Home Again", uno dei pezzi più belli, vede la partecipazione di soli tre musicisti: Larry Taylor al basso, Clapton alla chitarra e Mayall come cantante e che suona il piano e l'armonica. Eppure, pare che ci sia tutta un'orchestra in azione, e il ritmo è diabolicamente trascinante...
Il brano successivo, "Television Eye", che comprende Harvey Mandel alla chitarra nonché il sassofono tenore di Johnny Almond, è in effetti il risultato di una band di più elementi (cinque, con Keef Hartley alla batteria che fa da motore insieme al basso di Larry Taylor), e il sangue circola se possibile ancora più velocemente. Il brano sfuma in un coro decisamente pinkfloydiano di voci "televisive"...
"Looking At Tomorrow" (ancora il violino di "Sugarcane" e la chitarra di Clapton) è oltremodo psichedelica. E non ha forse atmosfere a metà tra Donovan e Jethro Tull "Dream With Me" (primo brano del secondo CD)?




Inoltre: i remix facenti parte dei track aggiuntivi, dove Clapton e Taylor suonano in coppia, sono ovviamente la testimonianza dell'unione di... due forze della natura. Uno su tutti: "Force of Nature", appunto!


Altro CD consigliato:

2 ago 2015

R.I.P. Cilla Black, icona degli Anni Sessanta

Era amica dei Beatles

In realtà si chiamava Priscilla Marie Veronica White, ma questo storico volto della TV inglese (era cantante e presentatrice) è passato alla storia con il nome di Cilla Black.



Era quasi una ragazzina quando prese a lavorare come guardarobiera al Cavern Club della sua città, Liverpool, e nessuno si sarebbe immaginato che "Cilla", che tanto bella non era e che aveva pure denti da cavallo, sarebbe assurta al ruolo di tipica Sixties' girl.


Quando il Cavern iniziò a diventare il simbolo delle nuove mode, nonché il rifugio per eccellenza della nuova scena musicale, Cilla non si lasciò sfuggire l'occasione e si proiettò a peso morto in prima fila.
Iniziò a cantare, con una voce tanto imitata quanto criticata. Una canzone di Burt Bacharach sembrava adattarsi a lei alla perfezione: era "Anyone Who Had a Heart", e questo melodramma delle sette note raggiunse il primo posto della hit parade (1964).



In seguito, Cilla avrebbe piazzato altri dischi nella Top 10 dei 45 giri. Non solo canzonette: la sua cover di "I’ve Been Wrong Before", melancolica ballata del cantautore Randy Newman, è una splendida e sentita interpretazione.




Molti amanti dei Beatles si chiedono che cosa avesse spinto Brian Epstein a prendere questa ragazza sotto contratto. Non il sesso, probabilmente, essendo lui gay. E non una sorta di riconoscimento tribale: lei veniva da Scotland Road, tipica enclave cattolica (tutte famiglie di operai, reduci dai bombardamenti della guerra), mentre lui era un raffinato e ricco ebreo. Sicuramente sarà stata la sua voce, graffiante e dai toni plateali, con un leggero "graffio di gola"...
Ma chi disse a Epstein di andare a sentire Cilla? Allan Williams, probabilmente (agente e primo manager dei Fab Four), oppure il suo interesse nacque in seguito alla raccomandazione di John Lennon. Nella sua autobiografia (compilata già nel 1964), Epstein racconta: "La vidi muoversi e poi la vidi star ferma. Allora socchiusi gli occhi e me la immaginai su un grande palcoscenico sotto i giusti riflettori. Era convinto che sarebbe diventata una splendida artista."

Dopo la morte di lui, Cilla avrebbe ammesso di essersi arrabbiata con Epstein. "Mi sentivo delusa. Si occupava pochissimo della mia carriera..."


Comunque sia, il successo per lei era arrivato, the stardom era una realtà.
E non solo in campo discografico.
Ovviamente veniva intervistata a tutto spiano e, quando si trovava davanti a una telecamera, faceva sfoggio di una spigliatezza naturale affatto comune. Ciò le avrebbe garantito una carriera parallela: quella della presentatrice TV.
Il suo primo show, Cilla, iniziò nel '68 e durò ben otto anni, e lei dimostrò di trovarsi a suo agio con ospiti del rango di Tom Jones (cantante sentimentale) o Marc Bolan (stella del glam rock). 


Sposò il suo manager Bobby Willis: un matrimonio che durò trent'anni, fino alla morte di lui, avvenuta nel 1999 per cancro ai polmoni.



 


Un altro suo programma televisivo, Blind Date, venne realizzato per la bellezza di diciotto anni, e nei momenti di maggior gradimento lo show raggiunse punte di 18 milioni di telespettatori. Durante quel periodo, Cilla presentò anche altri programmi TV molto apprezzati dalla massa, tra cui Surprise Surprise.





Dal 2003 in poi la sua carriera iniziò a tramontare. La sua partecipazione occasionale a spettacoli tipo Never Mind the Buzzcocks (quiz a tema musicale) e Loose Women (gossip e altri "temi del giorno" condotto da donne) furono per lei il canto del cigno.


 Si è spenta oggi, 2 agosto 2015, settantadueenne, in una cittadina della Costa del Sol, in Spagna.



 



1 ago 2015

Brano del giorno: "Hope for Happiness"

... dei Soft Machine



Viva Canterbury, che ci ha dato una grandiosa "scena" progressive e soprattutto quei formidabili avanguardisti di Robert Wyatt (batteria, voce), Kevin Ayers (basso, chitarra, voce), Daevid Allen (chitarra) e Mike Ratledge (organo)! 

La miscela fermentò in locali londinesi dell'underground come l'UFO, lo Speakeasy e il Middle Earth in un periodo (il 1966-67) dove gli impulsi davvero non erano pochi. Nella capitale del Regno si segnalava tra l'altro la presenza di un certo Jimi Hendrix...

La Riviera Francese e in particolare la scicchissima e artistica Saint Tropez era a un tiro di sasso (la band, che ai suoi inizi era nota come The Wilde Flowers, si esibì in musica psichedelica per i ricchi e per gli sbandati amanti dell'arte e delle novità) e la gratificazione per i Soft Machine (questo il loro nome definitivo... o quasi: più tardi si chiameranno The Soft Machine) sarebbe stato un posticino all'apertura dei concerti nord-americani di Hendrix (1968).



Allen, che era australiano ed ebbe problemi col permesso di soggiorno, intanto non c'era già più e, tanto per gradire, fondò a Parigi i Gong. Andy Summers (più tardi Police) prese il suo posto, ma nel primo album, The Soft Machine, già non c'era più neppure lui, su insistenze di Ayers che non lo poteva soffrire.
Quel disco, registrato durante il tour americano con la Jimi Hendrix Experience, venne realizzato con/da Wyatt, Ayers e Ratledge, e con l'aggiunta soltanto di Hugh Hoppers al basso in "Save Yourself" e del trio femminile di The Cake in "Why Are We Sleeping?" (brano di chiusura dell'album). The Soft Machine risultò un disco altamente sperimentale col suo mix di rock psichedelico, jazz e soft rock.




Kevin Ayers non parteciperà alla registrazione di Volume Two (1969), perché stanco della tournée americana (il cantante raggiunse Daevid Allen in quel di... Ibiza, dove entrambi si ricrearono e si ricomposero). Al posto di Ayers subentrerà Hugh Hoppers (sì, il bassista che collaborò a un track del debutto americano), mentre il nuovo cantante sarebbe stato Wyatt.
Volume Two manca dell'enfasi "pop" di Ayers ed è più "dada" (almeno così leggo in diverse critiche di lingua inglese). Certo è che in questo prodotto si riconferma il genio di Robert Wyatt, il quale, ancora una volta, contribuisce alla grande in abiti da compositore: in pratica, tutti i brani di Volume Two sono suoi.





E arriviamo al 1970 e al leggendario Third, un doppio LP di cui ogni facciata contiene un'unica, lunga composizione.
La scaletta dei brani è questa:

  1. "Facelift" (scritta da Hugh Hopper) – 18:45
  2. "Slightly All the Time" (Mike Ratledge) – 18:12
    Including: "Noisette" (Hopper), "Backwards" (Ratledge) and "Noisette Reprise" (Hopper)
  3. "Moon in June" (Robert Wyatt) – 19:08
  4. "Out-Bloody-Rageous" (Ratledge) – 19:10

Bonus disc from 2007 CD re-issue

  1. "Out-Bloody-Rageous" (Ratledge) – 11:54
  2. "Facelift" (Hopper) – 11:22
  3. "Esther's Nose Job" – 15:39
    1. "Pig" (Ratledge)
    2. "Orange Skin Food" (Ratledge)
    3. "A Door Opens and Closes" (Ratledge)
    4. "Pigling Bland" (Ratledge)
    5. "10:30 Returns to the Bedroom" (Ratledge / Hopper / Wyatt)

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In Third la formazione dei Soft Machine è la seguente:




  • Mike Ratledge –organo, sintetizzatore, piano 
  • Hugh Hopper – basso
  • Robert Wyatt – batteria, voce, piano, basso
  • Elton Dean – sax alto, saxello


  • E in più:
    • Lyn Dobson – sax soprano, flauto
    • Jimmy Hastings – flauto, clarinetto basso
    • Rab Spall – violino
    • Nick Evans – trombone




    Il medesimo quartetto (Wyatt, Hopper, Ratledge e Dean) avrebbe realizzato l'anno successivo (1971) Fourth (primo loro disco unicamente strumentale) servendosi di numerosi ospiti prevalentemente della scena jazzistica (Lyn DobsonNick EvansMark CharigJimmy HastingsRoy Babbington, ancora Rab Spall).
    Nel link sottostante ne parliamo a sufficienza. Dopo Fourth, i Soft Machine avrebbero dovuto continuare senza il grande, ispirato (e sfortunato) Wyatt...



    Un altro articolo sul blog Topolàin riguardante la "Morbida Macchina":

    "Soft Machine: 'Fourth / Fifth'"







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    Ricoprì il ruolo di cantante dopo la dipartita di Kevin Ayers: Robert Wyatt, una delle più belle voci del rock progressivo