Oggi: il fantastico viaggio di Ornette Coleman
Quando morì nel 2012 stroncato da un infarto, gli "obituary" giustamente parlavano di un musicista che aveva cambiato, insieme ad alcuni accoliti, il modo di fare jazz - e non solo jazz. Ornette Coleman fu, con Coltrane, Charlie Mingus, Charlie Parker, e Miles Davis, l'uomo che "mutò le regole", e il cui nome viene spesso citato quando si tratta di sfogliare una raccolta di canzoni à la Nora Jones o di cercare i limiti, gli spigoli, gli angoli più estremi del pentagramma. Decisivo soprattutto il suo capolavoro The Shape Of Jazz To Come (1959).
Questo sassofonista, trombettista, violinista e compositore possedeva una propria cifra stilistica, nonché un proprio timbro, che lo rendevano riconoscibilissimo. Nato nel 1930 in Texas, rese fin da subito il bebop la sua religione, anche se l'approccio che aveva agli accordi e alle strutture melodiche fu meno rigido di quello di altri adepti del genere. Il suo suono era rozzo, a volte stridulo, tanto che non di rado veniva paradossalmente rimproverato di "uscire dal coro", di "non attenersi alla struttura".
Già nel '58 il suo primo album: Something Else!!!!: The Music of Ornette Coleman.
The Shape Of Jazz To Come, dell'anno seguente, secondo il critico Steve Huey rappresentò "uno spartiacque nell'ottica della nascita del jazz d'avanguardia, un album che già indica la via futura".
Sebbene orientate al blues - per quanto liberamente - e spesso alquanto melodiche, le composizioni di Something Else!!!! vennero allora considerate insolite per le loro armonie, nonché (ancora!) "senza una vera e propria struttura". Lo stesso accadde un po' per The Shape Of Jazz To Come, anche se l'attenzione era intanto accresciuta: tutti erano concordi nell'affermare che stava per accadere - o meglio era già accaduta - qualcosa di nuovo, di rivoluzionario.
Alcuni colleghi musicisti e alcuni critici considerarono Coleman un iconoclasta, mentre altri (in primis: Leonard Bernstein e Virgil Thompson) riconobbero in lui il genio, l'innovatore.
Nel 1960 era la volta di Free Jazz: A Collective Improvisation, registrato insieme a un doppio quartetto:
Eric Dolphy (clarinetto basso), Don Cherry (tromba), Freddie Hubbard (tromba), Scott LaFaro (basso), Charlie Haden (basso), Billy Higgins (batteria) e Ed Blackwell (batteria).
La risonanza fu grande. L'album segna l'inizio del jazz d'avanguardia atonale, anche se l'"improvvisazione collettiva" si rifà agli inizi della musica jazz a New Orleans.
Basandosi sul free jazz, Ornette Coleman svilupperà - soprattutto a partire dal 1970 - il suo sistema della "armolodia" ("Harmolodics"), dove, al contrario della musica modale, si improvvisa sulle serie lineari degli intervalli.
Da lì al free funk e ai ritmi rock con atmosfere spaziali il passo fu breve.
Da lì al free funk e ai ritmi rock con atmosfere spaziali il passo fu breve.
Il suo album Dancing In Your Head, registrato tra l'altro con i Master Musicians of Jajouka (Marocco), fu inserito - tra le altre - nella lista di The Wire dei "100 Records That Set the World on Fire (While No One Was Listening)" (100 album che misero il mondo a ferro e fuoco [mentre nessuno stava ad ascoltare]).
Dancing In Your Head fu un altro punto nodale della sua carriera e della sua crescita professionale. Crescita mai arrestatasi: basti pensare che volle imparare a suonare violino e tromba, e che dai primi Anni Sessanta compose musica da camera; che stabilì un suo quartetto fisso - dal nome Prime Time - e che continuò a suonare con un proprio quartetto "classico" (comprendente piano, basso e batteria), nonché, più tardi, in un duo composto da sassofono e piano (insieme a Joachim Kühn o a Geri Allen).
Per Sound Grammar (2006), registrazione dal vivo effettuata in Germania durante un festival jazz, in una formazione affatto solita (con due bassisti e un percussionista), vinse anche il premio Pulitzer per la musica.
Partecipò tra l'altro ai dischi Yoko Ono/Plastic Ono Band (di Yoko Ono, 1970) e The Raven (di e con Lou Reed e tutta una pletora di musicisti, 2003).
Disse di lui il critico Howard Mandel: "Ornette didn't play free jazz, what he did was he freed jazz".
E Roy Eldrige dichiarò drasticamente nel 1961 sulla rivista Esquire: "L'ho ascoltato in ogni situazione: da ubriaco, da sobrio... Ho persino suonato con lui. Io penso che ci stia prendendo in giro!"
Links di approfondimento:
"R.I.P. Ornette Coleman, who confounded most people and humbled us all"
"Ornette Coleman" (obituary by Tom Hull, with discography and links)
"Why was Ornette Coleman so important?" (Los Angeles Times)
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Classica à la Ornette: Skies of America (al Verona Jazz Festival del 1987)
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