Cosa doveva essere la scena jazzistica inglese negli Anni Sessanta e Settanta! Un interscambio di esperienze, amicizie che esistevano per la durata di un concerto e altre che duravano per tutta la vita, "ospitate" nei dischi dei colleghi, il portare a spasso il proprio talento anche in generi musicali diversi e poter arricchire così di continuo le proprie conoscenze e il proprio repertorio...
Un amalgama interessante - a Londra e dintorni - fu quello tra il jazz e il rock, con il vento che soffiava da Canterbury. Musica immaginifica, piena di colori, a volte meditativa, quasi sempre capace di sorprendere.
Neil Ardley (1937-2004) fu una figura singolare, nel senso di interessantissima, della musica jazz inglese. Suonava il piano (partì dalla tradizione, amava Duke Ellington e Gil Evans) ma era anche uno scrittore che compilò diversi manuali e guide divulgative per ragazzi: di tecnica e scienza. Persino libri di ornitologia, e ovviamente di musica. Si contano oltre 100 volumi scritti da lui!
Illustrazione di World of Tomorrow, dove Neil Ardley prospettava un futuro del mondo alquanto... glaciale
Era laureato in chimica ma fin da bambino aveva questo interesse per la musica che lo avrebbe portato dapprima a dirigere la New Jazz Orchestra (celebre ensemble nato nel sud di Londra) e poi a pubblicare album che tendevano verso la sperimentazione. Il suo era un misto di jazz e classica con l'impiego dell'elettronica.
Nei dischi di Ardley suonarono gli amici che aveva conosciuto nella New Jazz Orchestra: il trombettista scozzese Ian Carr (Nucleus), il batterista Jon Hiseman (John Mayall's Bluesbreakers, Colosseum, Barbara Thompson's Paraphernalia...), la moglie di Hiseman, ovvero la sassofonista Barbara Thompson (Colosseum, Keef Hartley Band, i propri Paraphernalia ecc.), Dave Gelly (critico musicale e presentatore radiofonico, nonché sassofonista), il trombonista e tastierista Michael Gibbs, il sassofonista, flautista, clarinettista Don Rendell e il batterista Trevor Tomkins (ex membro dei Gilgamesh, poi anche lui Nucleus).
Prendiamo uno di questi album: Kaleidoscope Of Rainbows, del 1976. L'elenco dei musicisti che hanno partecipato alla sua realizzazione si legge come il Who's Who della fusion britannica e del prog canterburiano.
- Synthesizer: Neil Ardley * (Nucleus, Jon Hiseman, John Martyn)
- Tromba, flicorno: Ian Carr (Nucleus)
- Piano elettrico, synth – Dave MacRae (Matching Mole, Nucleus, Soft Machine)
- Sax, flauto, flauto alto (soprano): Brian Smith (Nucleus)
Armonia delle sfere
La musica di Ardley ha in sé un quantum di ingenuità voluta, con i tempi e il ritmo mantenuti abbastanza semplici ma con la libertà di improvvisare. Ardley cerca l'approccio etereo a questa variante moderna del jazz, con l'aggiunta di synth polifonici. È una musica che "bazzica" nell'universo di note tradizionale ma che presenta dissonanze ed effetti spaziali. Conseguenza: i suoi dischi sono "aldilà" dell'ascolto normale. Non possono accontentare i puristi del jazz né gli amanti del rock progressivo sinfonico, ma solo coloro che sono aperti a nuovi suoni (in quegli anni, sì, erano abbastanza nuovi) e che sono pronti a lasciarsi trascinare in una dimensione dove il tempo e lo spazio sono distorti.
Abbiamo a che fare con un cantautore interessante del quale vale la pena ascoltare l'intera produzione. Anzi: conviene proprio includere, nella playlist, proprio le "vecchie" canzoni di Spanò per poter avere una visione più limpida dell'autentica rilevanza di questo artista palermitano. Ciò perché l'album di cui vogliamo parlare soprattutto qua, il suo nuovo, Prospettiva cosmica (titolo avvincente!), è nato in periodo di §%*³%*~@~virus (ovvio...), quindi senza l'apporto reale di collaboratori esterni. Tuttavia... "L'amante virtuale", "L'altare ibrido", "Come sonnambuli" (quest'ultima è stata scelta da Spanò come single trainante) e la stessa "Prospettiva cosmica", che chiude il concept, sono tracce interessanti e godibili individualmente, anche fuori dal contesto complessivo di tale lavoro targato "Anno horribilis 2020".
Tra i brani del passato di Pietro Spanò (il quale, sia detto en passant, è laureato in pianoforte), ce ne sono parecchi che gli consentono di rifulgere di luce propria: ballate piacevoli e dai testi intelligenti, sequenze di film sonori e passeggiate in note che commentano il tempo presente e ci accompagnano attraverso eventi e situazioni esistenziali, eventi e situazioni che - logico! - news e telegiornali assortiti ignorano o fanno solo intravedere. Della serie: la storia siamo noi, siamo noi i veri eroi di quest'epoca... anche se non ne parla nessuno!
Poeticamente siamo al livello di De Andrè e De Gregori. Così, in Spanò pure i momenti personali si "universalizzano", facendo scattare nell'ascoltatore la molla dell'immedesimazione. Ed è un riconoscere e autoriconoscersi sicuramente intergenerazionale, ormai.
"Grandi aspettative", 2019
Tra le canzoni del suo repertorio passato pensiamo soprattutto a "Il gregge", "Jenny dei pirati" e "Scendi dalla croce", davvero notevoli, dalla raccolta Tutto sta cambiando (2019) e in pratica a tutte quelle di Ilterribile suono del silenzio (album risalente ormai al 2011, che ci rammarichiamo di aver scoperto soltanto adesso). E da ascoltare in toto è anche Vittime di sottofondo (2007).
"I fiori nel bosco", 2007
"L'immoralista", 2011
Complimenti davvero a Pietro Spanò per il suo estro e certa sua indubbia originalità - soprattutto nella scelta dei temi e nelle lyrics -, peculiarità che oggi purtroppo manca a molti suoi colleghi.
Se proprio vogliamo tirare fuori dal cappello qualche nome influente nel riferirci a Prospettiva cosmica, dobbiamo citare quello di Franco Battiato. E forse anche Max Gazzè, ma un Gazzé in Allegro moderato. Tuttavia, lo sottolineiamo, Spanò riesce a conservare un'impronta personale. E, mentre andiamo a riascoltare le sue canzoni, le sue poesie in musica, già ci rallegriamo nell'attesa delle prossime: quelle dell'album post-Covid!
Pietro Spanò, nato a Palermo nel 1978, è laureato in pianoforte presso il Conservatorio "Vincenzo Bellini" del capoluogo siculo. Nel 2001 pubblica il singolo "L'incubo dell'ultima luna", le cui sonorità vengono apprezzate anche da Franco Battiato. Nel 2007, dopo alcuni anni di sperimentazione musicale, pubblica l'album Vittime di sottofondo. Nel settembre 2011 esce, ancora una volta in autoproduzione, Il terribile suono del silenzio, che lui stesso definisce "un viaggio dentro la coscienza dell'uomo e un'analisi profonda delle sue fragilità".
Tutto sta cambiando, prodotto insieme a Guido Guglielminetti, è del 2019. Si tratta di un altro album di gradevole ascolto, interessante e impegnato dal punto di vista sociologico. “Portami via da qui”, canzone ivi contenuta, è stata pubblicata da Pressingline, etichetta discografica fondata da Lucio Dalla.
Prospettiva cosmica, uscito il 30 novembre 2020, è un immergersi in un domani probabilmente già dietro l'angolo, una visione scaturita dall’analisi della nostra società con le sue sempre più ingarbugliate problematiche. Il tema dell’isolamento, dell’iperconnessione e dei suoi effetti collaterali ne costituisce la trama. Tramite queste nuove canzoni, il cantautore siciliano ci invita a leggere la storia e a guardare la vita oltre lo schermo: appunto, da una “Prospettiva cosmica".
Zappa appartiene al Parnaso. Al Pantheon dei migliori musicisti di sempre.
Come chitarrista sicuramente tra i più bravi in assoluto, vanta una discografia sconfinata (60 e più album) che comprende i più disparati generi musicali (dal rock al vaudeville, dal jazz alla fusion). E non scordiamoci che le basi di Frank erano "classiche", con conoscenza anche della musica lirica e una predilizione per la dodecafonia...
Figlio di un italiano, Frank Zappa si dimostrò fin da tenera età ribelle e provocatore, sviluppando un disgusto verso la gastronomia italiana (come se volesse in quel modo antagonizzare o ripudiare suo padre) e più tardi verso il cattolicesimo, come denotano i testi delle sue canzoni.
La sua verve ironica e dissacrante non era - né ancora è - roba per tutti. Purtuttavia, fin dagli esordi fu un "faro" per tanti musicisti. Basti pensare che Freak Out! (tra i primissimi doppi album della storia) fu di fondamentale influenza nel concepimento e nella stesura di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, dei Beatles.
Nato nel 1940 a Baltimora, nel Maryland, nelle sue vene scorreva sangue non solo italiano ma anche francese, arabo e greco.
La sua famiglia si trasferì in California e lui a dodici anni iniziò a interessarsi alle percussioni. Nel 1956 suonava già la batteria in un gruppo chiamato Ramblers. Ma, per via dei suoi ampi interessi, gli stavano stretti il rock’n’roll e il rhythm&blues (anche se furono Howlin’ Wolf, Muddy Waters, Johnny “Guitar” Watson e Clarence “Gatemouth” Brown ad accendergli la passione per la chitarra elettrica).
Dopo un oscuro apprendistato come autore di canzoni e arrangiatore e qualche 45 giri a proprio nome che ebbe scarsa risonanza, nel 1964 fondò le Mothers Of Invention. Come rivela il nome della band, l'idea di fondo era quella di "aguzzare l'ingegno", di proporre qualcosa di nuovo. Ray Collins, Jim Black, Roy Estrada ed Elliot Ingber erano gli altri membri. Il loro primo disco (il già citato Freak Out!, del '66) sconvolse molti ascoltatori per l'avventato mix di doo wop e sperimentazione, rock psichedelico e teatro di varietà.
Anche i successivi dischi per la Verve sono sulla medesima falsariga: Absolutelly Free (contenente la celebre “The duke of prunes”), We're Only In It For The Money (che prende in giro la controcultura e il Sgt. Pepper beatlesiano) e Lumpy Gravy (con la partecipazione di una grande orchestra). Frank Zappa intanto è un nome noto e, pronunciandolo, si pensa subito a un talento incontenibile, enciclopedico, iconoclasta. Nonché scomodo: è uso criticare i moralisti, i fanatici religiosi e l'“American Way of Life”.
Fondò una propria etichetta insieme al manager Herb Cohen e le diede il nome "Bizarre". La libertà acquisita non poteva che essere benefica: arrivarono i capolavori di jazz-rock e fusion Uncle Meat e Hot Rats. Quest'ultimo, primo disco senza le Mothers Of Invention e dove spicca il violino di Jean-Luc Ponty, conta cinque "instrumental" e vi si segnala l'apparizione di un altro singolare ed eccentrico personaggio della musica americana: Captain Beefheart.
Di lì in poi, non ci furono più freni per la creatività di Zappa. A volte Frank si lasciò pure sviare, intraprendendo la via delle canzoni easy...
Ringo Starr fece una comparsa nel film 200 Motels (interpretando lo stesso Zappa)... La colonna sonora del film (pubblicata su doppio album) include, insieme al solito miscuglio di generi, alcune composizioni orchestrali di Frank Zappa - ispirate da Stravinskij, Edgard Varèse e Anton Webern.
Dopo avere collaborato con John Lennon e Yoko Ono (nel concerto del giugno 1972 al Fillmore East documentato nell’album Sometime in New York City), Zappa tornò al jazz-rock con Waja/Jawaka e The Grand Wazoo (con il tastierista George Duke e il batterista Aynsley Dunbar a rinforzare la line-up). Poi, siglato un accordo con la Warner Bros, incassò conApostrophe(‘), nel 1974, l’unico disco d’oro della sua carriera. Il single trainante della raccolta entrò nella Top Ten: “Don’t eat the yellow snow”.
Vi furono beghe legali con la Warner, ma ciò non riuscì a frenare la forza e l'energia dell'estroso musicista, che continuò a fare la spola tra ironia irriverente, critica sociale (neppure tanto velata) e musica orchestrale di sponda dodecafonica. Collaborò con il direttore d'orchestra Kent Naganoe poi con Pierre Boulez, chiamato a dirigere "The Perfect Stranger" e altri due brani dell'album omonimo. Questo The Perfect Stranger è un'altra curiosità musicale, dove Zappa non suona la chitarra ma siede al synclavier - sintetizzatore digitale collegato a un campionatore musicale -, strumento che suonerà anche in seguito.
Ultimo evento orgasmatico nel 1993 con The Yellow Shark, disco dal vivo inciso in Germania con l’aiuto di una formazione tedesca di musica classica e di avanguardia contemporanea, l’Ensemble Modern. L'Ensemble Modernaveva già suonato in maniera straordinaria diversi brani di Zappa e fu ciò a convincere l'artista americano ad accettare il progetto.
In quel torno di tempo Zappa soffriva già di un tumore alla prostata che lo costringeva a sedute di chemioterapia, tanto che, durante le plauditissime presentazioni dal vivo di Yellow Shark in terra germanica - tutte seguite da standing ovations -, poté dirigere l'orchestra soltanto poche volte. Morì il 4 dicembre 1993, mentre ancora lavorava: era impegnato nel recupero dei nastri delle sessions di Lumpy Gravy. Tale lavoro, uscito postumo, avrebbe portato il nome Civilization Phaze III.
Carlos Kleiber, nato Karl Ludwig Kleiber (Berlino 1930 – Konjšica [Slovenia] 2004), è stato un direttore d'orchestra tedesco naturalizzato austriaco.
In base a un sondaggio pubblicato in Italia dalla rivista Classic Voicenel dicembre 2011 è risultato, nel voto dei colleghi, il più grande direttore d'orchestra di tutti i tempi. (Vedi articolo "Vincono Kleiber e Abbado", su Repubblica.) Sono numerosi gli attestati di ammirazione da parte di autorevoli personalità del mondo musicale, come ad esempio Claudio Abbado in diverse interviste, Franco Zeffirelli nell'autobiografia, Svjatoslav Richter nei diari.
Figura schiva, riservata e lontanissima dallo star system, fu interprete caratterizzato da un perfezionismo maniacale con un repertorio assai limitato soprattutto negli ultimi anni di attività. Tendeva ad approfondire continuamente l'indagine degli stessi brani.
Nato in Germania, all'età di dieci anni, dopo vari spostamenti, si trasferì in Argentina con la famiglia. In tale occasione cambiò nome da Karl Ludwig a Carlos. Il padre era il famoso direttore d'orchestra austriaco Erich Kleiber, emigrante dalla Germania per protesta contro il Partito Nazista. Nel 1980 Carlos acquisì la cittadinanza austriaca.
Ebbe un rapporto molto difficile con il genitore, che inizialmente non sostenne la sua carriera di musicista. Dapprima lavorò in piccoli teatri tedeschi di provincia, esordendo nel 1954 come direttore di operette con lo pseudonimo di Karl Keller nell'operetta Gasparone, uno dei capolavori del compositore austriaco Karl Millöcker, e in alcuni lavori poco conosciuti di Jacques Offenbach, ma l'esordio a Monaco (1968) e le stagioni a Vienna e Bayreuth negli Anni Settanta gli diedero grande fama. Nel 1976 esordì alla Scala di Milano con un'interpretazione del Der Rosenkavalier di Richard Strauss, a cui segurono l'Otello del 1977 e La Bohème del 1979; successivamente diresse repliche memorabili di Otello, Tristan und Isolde, La Bohème, Carmen, Wozzeck, La Traviata, Falstaff, Elektra, Die Fledermaus, Der Freischütz, e del citato Der Rosenkavalier.
Soprattutto nella seconda parte della carriera Kleiber ha sempre più centellinato le sue apparizioni sul podio. Innumerevoli le volte che ha annunciato - più o meno ufficialmente - l'intenzione di voler smettere di dirigere, salvo poi tornare a impugnare nuovamente la bacchetta, in occasione di sporadiche quanto memorabili esibizioni, che spesso avvenivano in sostituzione, all'ultimo momento, di direttori indisponibili.
L'ultimo concerto lo diresse a Cagliari, il 24 e il 26 febbraio 1999; l'orchestra era la Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks e il programma comprendeva la IV e la VII sinfonia di Beethoven.
Scomparve il 13 luglio del 2004. Per sua espressa volontà la notizia fu resa nota due giorni dopo la sepoltura e colse di sorpresa il mondo della musica classica. È sepolto in Slovenia, a Konjšica, accanto alla moglie, la ballerina slovena Stanislava Brezovar, morta sette mesi prima.
Discografia
Il suo perfezionismo lo portò a limitare anche il numero delle incisioni discografiche che restano tutte di grandissima importanza. Da ricordare in particolare le sinfonie di Ludwig van Beethoven da lui affrontate (la quarta, la quinta, la sesta e la settima), le registrazioni della Seconda e della Quarta sinfonia di Johannes Brahms, della Terza e Ottava di Schubert, delle opere teatrali già citate e dei due splendidi Concerti di Capodanno a Vienna del 1989 e del 1992, che restano tra i migliori mai realizzati. Per quanto concerne il Tristan und Isolde di Wagner va fatto riferimento non solo a quello "ufficiale" pubblicato dalla Deutsche Grammophon con la Staatskapelle Dresden, ma anche a quelli di Bayreuth (Golden Melodram) e di Milano (Myto Records). Esiste del Fledermaus di Strauss una doppia edizione, DVD o solo audio, che varia leggermente nel cast. Altre importanti registrazioni: il Freischütz di Weber e La Traviata di Verdi sempre con etichetta Deutsche Grammophon.
Beethoven, Sinf. n. 5, 7 - Kleiber/WPO - 1974/1976 Deutsche Grammophon
Brahms, Sinf. n. 4 - Kleiber/WPO - 1980 Deutsche Grammophon
Schubert, Sinf. n. 3, 8 - Kleiber/WPO - 1978 Deutsche Grammophon
Strauss, J. - Pipistrello - Kleiber/Varady/Prey - 1975 Deutsche Grammophon
Verdi, Traviata - Kleiber/Cotrubas/Domingo - 1976 Deutsche Grammophon
Wagner, Tristano e Isotta - Kleiber/Price/Kollo/Moll/Götz - 1981 Deutsche Grammophon
Weber, Franco cacciatore - Kleiber/Janowitz/Mathis/Crass - 1973 Deutsche Grammophon
Carlos Kleiber Conducts Johann Strauss, 1989 SONY BMG
Kleiber, Registrazioni orchestrali + Documentario 'A Memory' - Kleiber/WPO, 1974/1980 Deutsche Grammophon
1992 New Year's Concert In the 150th Jubilee Year of the Wiener Philharmoniker, Sony
Dopo Herbert von Karajan, solo lui. Ma era forse più grande di Karajan. Solo, assai schivo: mai accettò una poltrona qualunque, mai concedeva interviste... e spesso occorreva corrispondere con lui tramite cartolina postale
Grande gruppo vocale, responsabile di buon mood e melodie piacevoli. Particolarità: sapevano imitare gli strumenti con la bocca...
#musica #vocals #cantanti #jazz
I Mills Brothers sono un gruppo vocale jazz e pop statunitense, nato nel 1928 e tuttora in attività attraverso i suoi eredi musicali.
Il gruppo era composto originariamente da quattro fratelli afroamericani, nati a Piqua (Ohio): John Jr. (19 ottobre 1910 - 23 gennaio 1936) basso (voce) e chitarra, Herbert (2 aprile 1912 - 12 aprile 1989) tenore, Harry (19 agosto 1913 - 28 giugno 1982) baritono e Donald Mills (29 aprile 1915 - 13 novembre 1999) tenore solista.
Il padre, John Sr., aveva costituito in precedenza un gruppo vocale di musica "barbershop" (un tipo particolare di musica a cappella), dal nome "Four Kings of Harmony". La madre, Ethel, si era dedicata alla musica operistica (opera buffa e dintorni). I fratelli cominciarono a loro volta a esibirsi nei cori di alcune chiese di Piqua e successivamente alla Piqua's Mays Opera Hous", creando il loro inconfondibile stile, basato sull'imitazione vocale degli strumenti dell'orchestra: John imitava la tuba, Harry la tromba, Herbert la seconda tromba e Donald il trombone. L'idea nacque casualmente quando Harry, avendo perso il suo kazoo, cominciò a imitare la tromba con le mani a coppa sulla bocca.
Nel 1928 si esibirono alla WLW, una radio di Cincinnati, e nel 1930 cantarono alla CBS Radio di New York; effettuarono la loro prima registrazione con la Brunswick Records, mentre nel 1934 presero a incidere per la Decca. Nel 1932 iniziarono le loro partecipazioni cinematografiche, con The Big Broadcast.
Nel 1936 John Jr. morì per le conseguenze di una polmonite, e i fratelli pensarono di sciogliere il gruppo ma, dietro consiglio della madre, proseguirono l'attività: il padre, John Sr., sostituì John Jr., e al complesso si unì Norman Brown come chitarrista.
Nel 1943 il disco "Paper Doll"raggiunge la prima posizione nella Billboard Hot 100 per 12 settimane, fino ad oggi ha venduto 11 milioni di copie e nel 1998 ha vinto il Grammy Hall of Fame Award.
Nel 1944 il disco "You Always Hurt the One You Love"raggiunge la prima posizione nella Billboard Hot 100 per 5 settimane.
Nel 1957 John Sr., all'età di 68 anni, lasciò il gruppo, che proseguì come trio.
Nel 1976, in occasione del cinquantesimo anniversario di attività, i Mills Brothers si esibirono al Dorothy Chandler Pavilion di Los Angeles, presentati da Bing Crosby. Successivamente, dopo la scomparsa di Herbert nel 1989, e di Donald nel 1999, il complesso proseguì la sua attività con John III, figlio di Donald, cui si unì Elmer Hopper, che aveva cantato con i Platters. Nel 1998 il gruppo ottenne il Grammy Award alla carriera.
Omaggiamo il grande pianista jazz con questi filmati di concerti del Dave Brubeck Quartet risalenti agli Anni Sessanta.
Per leggere altro suDave Brubeck(la vita, gli album più importanti, le missioni "diplomatiche" oltre la Cortina di Ferro, il suo antirazzismo) vai a questo articolo sul blog Faust's Look, blog dedicato interamente alla musica jazz.
Il capobanda è ovviamente Pat Metheny, classe 1954, compositore e chitarrista jazz statunitense, docente di musica a Miami e poi, grazie al vibrafonista Gary Burton, al celebre Berklee College of Music di Boston. Rappresentante del free jazz, si appoggia (si appoggiava, dobbiamo purtroppo dire) fin dal 1976 sul tastierista Lyle Mays per portare avanti il discorso del suo Pat Metheny Group. Metheny è responsabile delle melodie, Mays (lo era) delle complesse armonie; generalmente.
Altro elemento di spicco del PMG è il bassista Steve Rodby.
Nel video sottostante (prima traccia di Speaking of Now, gli altri brani seguono) gli elementi della band, insieme a Pat Metheny, sono:
Lyle Mays (piano, sintetizzatori; Lyle è morto il 10 febbraio 2020 a 67 anni), il camerunese Richard Bona (al basso fretless, alla chitarra acustica, voce, percussioni), Steve Rodby (basso acustico, violoncello), il messicano Antonio Sanchez (batteria; classe 1971, chiamato con successo a sostituire Paul Wertico, un po' troppo stagionato e forse stanco dopo i vent'anni di collaborazione con Metheny), l'altro grande rimpianto Dave Samuels (percussioni, marimba; Samuels è deceduto l'anno scorso a NYC, 70enne), il vietnamita Cuong Vu (tromba, voce).
Chi si approccia a questo album senza conoscerne la storia, ne riconoscerà subito le coordinate a prescindere: è rock sinfonico, progressivo, melodico. E, più si va avanti con l'ascolto, più si ha il dubbio se si tratti di un'opera rock invece che di un concept, per la varietà degli "attori" e il susseguirsi di cambi di vocalists.
È un grande album (suonato tra l'altro con un bel numero di strumenti vintage... vedi in fondo all'articolo) ed è giusto non solo parlare dei suoi contenuti, ma raccontarne anche la vicenda particolare.
Un assaggio dei primi tre brani
Noi di Prog Bar, occupandoci di prog-rock sia a livello di mera passione sia professionalmente, ci siamo imbattuti in diversi individui, appassionati del genere, che, raccolta ogni loro disponibilità e facendo sacrifici oltreché investendo gran parte del loro tempo, si sono fatti un "regalo" assembrando un gruppo di musicisti per stampare un full-lenght. Ma la storia del Julius Project le batte tutte. L'incipit risale al capodanno del 1978 - come già accennato in questo nostro primo articolo a proposito di Cut the Tongue.
>> Tutti i pezzi sono stati ripresi solo nel 2014, dopo trentatré anni di “sonno” nel cassetto. E subito si è posto un problema di ordine concettuale: se rispettare lo stile originale del 1978/81 oppure adattarlo all’attualità. Abbiamo scelto la prima soluzione, quindi siamo passati a costruire una prima struttura provvisoria e a definire gli arrangiamenti, per decidere “chi suona cosa e quando”. In seguito, il coinvolgimento degli artisti è stato progressivo. Abbiamo raccolto i diversi contributi man mano che c’era l’opportunità e la possibilità. Anche per questo il lavoro ha richiesto molto tempo. <<
(Da un'intervista rilasciata da Giuseppe "Julius" Chiriatti)
Cut the Tongue è un viaggio... come quello di Rael dei Genesis in The Lamb Lies Down On Broadway. Qui c'è l'alcool, ci sono le droghe, le corse clandestine... e il protagonista, Boy, arriva all'autodeterminazione per liberarsi dai "falsi profeti".
Per inciso, la voce di Boy è della figlia di "Julius", che, con il nome d’arte di Bianca Berry, canta la maggior parte dei brani.
Bianca Berry - lead vocal
Marco Croci - bass, lead & backing vocals
Filippo Dolfini - drums
Francesco Marra - acoustic, 12 strings & electric guitar
Mario Manfreda - 12strings & electric guitar
Paolo Dolfini - keyboards, backing vocals
Julius - keyboards, lead & backing vocals
Guest Stars:
Richard Sinclair - lead vocal
Dario Guidotti - flute, lead vocal
Daniele Bianchini - lead guitar
Flavio Scansani - 12strings & electric guitar
Egidio Presicce - sax
Martina Chiriatti - the prophet's voice
Lyrics and music: Giuseppe Chiriatti
Arrangements:Paolo Dolfini
Altro trailer
TRACKLIST:
The Fog (6:27)
In the Room (3:40)
You Need a Prophet (3:30)
Mask & Money (4:23)
Welcome to the Meat Grinder (3:10)
Speed Kings (3:33)
Clouds pt. 1 (3:06)
Clouds pt. 2 (4:45)
Cut the Tongue (5:06)
The Swan (2:17)
Island (1:56)
We Know We Are Two (2:06)
I See the Sea (3:07)
Glimmers (3:55)
Castaway (1:07)
Wood on the Sand (3:06)
Wandering (1:39)
Desert Way (2:53)
I titoli sono didascalici e ci suggeriscono già le immagini che "vedremo" gustando la musica, ma, sfogliando l'album, si scoprono talmente tante sfumature e dettagli in secondo e terzo piano che ci rendiamo conto che questo prodotto artistico, questo insieme di quadri progressive, è realmente composito, nasconde storie nelle storie; con la spezie del Fantastico, della surrealtà, che va a spruzzare i momenti anche più duramente reali di Boy.
Les Paul Mini Humbucker di Daniele Bianchini
Iniziamo a guardare i dagherrotipi. "The Fog" "entra" subito in "The Room" che a sua volta lascia il posto ai cattivi maestri pronti a traviare il protagonista ("You Need A Prophet", bel brano rock che ricorda i Roxy Music) e, tra fiati sognanti, tastiere decise e chitarre anche hard, passiamo da una canzone all'altra, da una scena filmica alla prossima, come fosse, davvero, una versione di Tommy che si sposa ad Arancia meccanica e a qualche altro grande mito della cultura pop degli Anni Sessanta-Settanta. L'italianità, tuttavia, è alquanto presente, malgrado i testi in inglese. I motivi dolci, le arie soavi, non mentono...
G. Chiriatti
Un sogno, dicevamo, che dura dal 1978-79, quello di Giuseppe Chiriatti, tastierista e compositore leccese. Nel 2019 "Julius" (è il suo nickname, per chi non lo sapesse ancora) scrive l’ultimo brano, quello che dà il titolo all'album, su liriche proprie risalenti a decenni prima. E, giusto in questa traccia centrale (la nona, delle diciotto che compongono la scaletta; e, decisamente, l'apice: è una composizione ben riuscita, suggestiva, perfetta, pari forse solo a "Island", a "Wood on the Sand" e a qualche altra), si è aggiunta la straordinaria collaborazione di Richard Sinclair. Sì, proprio lui: l'ex Caravan, Hatfield and the North, Camel... uno dei protagonisti della scena prog di Canterbury. È sua la voce in "Cut the Tongue".
È stato Paolo Dolfini, ex Jumbo, ad abbracciare entusiasticamente il progetto e a dare il via alla realizzazione, consapevole che coordinare un tale lavoro effettuato a distanza tra Lecce e Milano non sarebbe stato semplice. Inoltre, Paolo Dolfini suona le tastiere in diversi brani e ne cura gli arrangiamenti.
Chiriatti e R. Sinclair
I musicisti
(tredici tra membri della band e ospiti, sparsi fra la Lombardia e il Salento)
Chiriatti ha chiamato a collaborare innanzitutto una sezione ritmica composta dal figlio di Paolo, Filippo Dolfini, alla batteria, e dal bassista e cantante Marco Croci (ex Maxophone), che hanno costruito l’impalcatura intorno a cui si struttura l'intera opera. In seguito si sono aggiunti i contributi degli ex Jumbo Dario Guidotti (al flauto e alla voce) e Daniele Bianchini (chitarra), nonché del chitarrista Flavio Scansani. Ciò, per quanto riguarda la "squadra del Nord".
In Salento, invece, oltre allo stesso Julius alle tastiere e alla voce in alcuni brani, hanno contribuito alla realizzazione del disco Francesco Marra e Mario Manfreda alle chitarre, Egidio Presicce al sax, e Martina Chiriatti, l’altra figlia di Giuseppe, alla voce.
Da aggiungere c'è che Marco Croci interpreta in maniera convincente l'organizzatore delle corse clandestine, in "Speed Kings", sesto titolo di Cut the Tongue.
Ritratto: Richard Sinclair – voce solista in "Cut The Tongue", title track.
Fin da In the Land of Grey and Pink (Caravan, 1971), è un protagonista del rock progressivo melodico e canterburiano, anche grazie alla sua voce bassa e morbida. Si è detto entusiasta di cantare "Cut The Tongue", elargendo un ennesimo gioiello della sua arte.
Altro ospite d’eccezione: Flavio Scansani, chitarra solista e 12 corde in "Glimmers" e "Wandering". Una vita a studiare e suonare lo strumento. Al liceo fonda il suo primo gruppo, ispirato dal rock classico di Ten Years After, Santana, Deep Purple. Poi, l'incontro con il progressive. Concerti in giro per l'Europa, numerose collaborazioni anche con i grandi della musica leggera italiana. È stato Paolo Dolfini a coinvolgerlo nel progetto di Julius, Cut the Tongue.
Di nuovo un ospite di tutto riguardo: Daniele Bianchini, già chitarrista dei mitici Jumbo. Ha regalato una sua perla, suonando le chitarre nella title track "Cut The Tongue".
Bianchini mise le mani sulla sua prima chitarra nel 1961. Suonò con un paio di gruppi prima di iniziare la propria avventura nel mondo prog con i Jumbo (1969). Tre album in tre anni, tante esibizioni live, e i festival di Parco Lambro nel 1975 e 1976. Il gruppo si scioglie, per tentare di riformarsi nel 1983 - proprio su iniziativa di Daniele Bianchini - con qualche cambio nella formazione. Registrazione dell'album Violini d'autunno. Segue nel 1990, con Paolo Dolfini alle tastiere, un concerto a Parigi, dal quale venne prodotto un CD live.
Negli anni '80 Bianchini fonda il gruppo Moving Music Multimediality, nei '90 produce il CD Passing By, nei 2000 il DVD Jumbo Anthology e l'album solista Poche Parole. La sua attività continua con la band Tri-On...
STRUMENTI vintage utilizzati nell'album:Hammond Organ A122 (1964), Fender Jazz Bass (1966), Gibson Les Paul (1968), Gibson Les Paul (1972), Rickenbacker bass 4001 (1975), Minimoog model D (1976), Korg Lambda (1979), Wal bass mark (1984), Fender Staratocaster (1986).
In aggiunta ci sono ovviamente gli strumenti più attuali, quali (tra le tastiere) Mellotron M4000D mini, Moog Voyager, Kurzweil PC3, Nord Stage 2...