Era il periodo delle proteste contro la guerra in Vietnam. John Lennon, figura di spicco dei Beatles e della cultura pop mondiale, aveva già manifestato il proprio dissenso contro l'assurdo conflitto: nel 1966, quando gli americani effettuarono un prolungato bombardamento di Hanoi, John aveva alzato la voce in maniera decisa.
Dei Fab Four, era lui quello più uso a prendere posizione su questioni politiche e sociali. In tali sue "uscite", veniva spesso spalleggiato da George Harrison, mentre Paul e Ringo preferivano rimanere in secondo piano.
La data magica: 1 giugno 1969. John e Yoko decisero di trasformare la loro luna di miele (in realtà era la loro seconda, come vedremo tra poco) in una protesta. Un "bed-in" invece di un "sit-in"!
L'happening si tenne nella suite 1742 al 17.mo piano del Queen Elizabeth Hotel di Montreal. L'uomo alla chitarra portava il nome completo di John Winston Ono Lennon e intorno al letto si stringevano 40 persone. Tra di loro: Allen Ginsberg (il poeta di "Urlo", indiscusso portavoce, insieme a Jack Kerouac, della Beat Generation), la cantante inglese Petula Clark ("Downtown"), un rabbino, un paio di appartenenti alla setta di Hare Krishna nonché il guru delle droghe allucinogene Timothy Leary. Nell'ambiente adiacente, un tecnico del suono immortalava il tutto grazie a un apparecchio registratore a quattro piste preso in prestito appositamente.
John iniziò in maniera classica: "One, two, a one, two, three, four", contò. Poi si mise a strimpellare sull'accordo in do maggiore e iniziò a cantare con voce leggermente roca ma risoluta, in una sorta di folk rap:
E il coro degli euforici co-protagonisti, che battevano le mani, intonò il refrain:
"All we are saying is give Peace a Chance". (Do-sol-fa-do.)
... Il film di quella seduta (durata: 1 h e 10')
John Lennon e Yoko Ono si erano conosciuti alla fine del 1966 e nel maggio 1968 erano divenuti una coppia a tutti gli effetti. Il Beatle lasciò sua moglie Cynthia e il 20 marzo del '69, in quel di Gibilterra, sposò l'artista di origine giapponese.
I due trascorsero la luna di miele ad Amsterdam, dove iniziarono immediatamente la loro campagna di pace. Scelsero, come quartiere, la suite presidenziale dell'Hotel Hilton nella capitale olandese, e lì rimasero dal 25 al 31 marzo 1969.
Tra fine maggio e inizio giugno, ripeterono la loro azione di protesta a Montreal, dove, appunto, nacque l'inno "Give Peace a Chance".
Nota in margine: la guerra in Vietnam costò la vita a più di tre milioni di vietnamesi e a oltre 50.000 americani...
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Messaggio di Yoko Ono, apparso sotto a uno di questi video sul proprio canale Youtube:
Dear Friends,
In 1969, John and I were so naïve to think that doing the Bed-In would help change the world. Well, it might have. But at the time, we didn't know.
It was good that we filmed it, though. The film is powerful now. What we said then could have been said now. In fact, there are things that we said then in the film, which may give some encouragement and inspiration to the activists of today. Good luck to us all.
Let's remember WAR IS OVER If We Want It. It's up to us, and nobody else.
Mahmood, il nostro partecipante a ESC 2019, già dato per quasi sicuro vincitore. La sua canzone piace!
Ma la concorrenza non dorme. Molto temibili: Svizzera e Olanda.
OGAE is the largest Eurovision fan network in the world, with some 10,000 members in more than 50 countries. Over 3500 OGAE Members have voted the #ESC2019 songs.
Un album difficile da recensire. Non tutti gli aficionados di lunga data sembrano esserne soddisfatti. Ma non è accaduto lo stesso con il come-back delle Orme e con quello della Premiata Forneria Marconi?
Certo, chi si aspetta di trovare qui brani dolci e nel contempo complessi e significativi del genere di "Canto nomade per un prigioniero politico" (suite, tra l'altro, che cerca il suo pari a livello internazionale) rimarrà deluso, ma coloro che hanno seguito il divenire della band e conoscono le sue vicissitudini sanno che c'è poca differenza qualitativa, in sostanza, traTransiberianae studio-album come Canto di Primavera (1979) e Nudo (1993); il qual ultimo comunque contiene parti live del concerto giapponese.
Che il Banco, da decenni ormai, abbia da offrire molto di più dal vivo, è sottolineato dai disgraziati Anni 80 (dove persino loro caddero in un inspiegabile baratro creativo e addirittura tecnico-sonoro) e dalle poche, troppo poche cose buone che riuscirono a produrre nei 90 (contrassegnati tuttavia da un'attività concertistica formidabile). Transiberiana è, sotto questo punto di vista, un ritorno alla grande. Un'operazione di resettaggio con una formazione inedita (Vittorio De Nocenzi è l'ultimo rimasto dei membri originali) senza però abbandonare il filo del discorso iniziato nel 1969.
Inside Outè fiera di poter avere il Banco nella sua scuderia
È già stato ripetuto a sufficienza ma vogliamo sottolinearlo anche noi: era parecchio che non si aveva un disco tutto pieno di musiche originali firmate "Banco"! (Da un quarto di secolo, per la precisione.)
Foto by Pierluigi Di Pietro
In un’esclusiva intervista al Messaggero.it, Vittorio Nocenzi ha dichiarato:
“Io e la band siamo entusiasti di poter collaborare con Inside Out [etichetta prog tedesca] dopo aver lavorato così duramente sul nuovo album. Mi riempie di gioia e soddisfazione dato che sono stato davvero ispirato sin dall’inizio! Per troppi anni, la band si è dedicata solo alle esibizioni dal vivo, era ora che tornassimo a comporre, suonare e produrre nuovo materiale! Scegliendo il concetto di Transiberiana per questo nuovo lavoro, vorrei sottolineare due aspetti principali: in primo luogo la nuova formazione del Banco composta da grandi musicisti e grandi persone; in secondo luogo, la presenza dei miei due figli nel progetto, Michelangelo ha collaborato alla stesura dell’album e Mario Valerio si è occupato della strategia di marketing e comunicazione ad esso correlata. Questi due elementi sono stati i migliori doni che potessi mai avere! E questa è una motivazione in più, se mai è necessario, per fare del mio meglio e per raggiungere gli obiettivi del Banco. Posso solo augurare ai fan di godere di questo incredibile progetto, e non vedo l’ora di vederli dal vivo quando andremo a suonare l’album assieme ai brani classici del Banco in tutto il mondo!”.
Ad accompagnare Vittorio Nocenzi (piano, tastiera e voce) nella nuova avventura discografica sono: Filippo Marcheggiani (chitarra solista), Nicola Di Già (chitarra ritmica), Fabio Moresco (batteria), Marco Capozi (basso) e Tony D’Alessio (voce).
Tracklist 1) Stelle sulla terra (6:06) 2) L’imprevisto (3:29) 3) La discesa dal treno(6:16) 4) L’assalto dei lupi(5:35) 5) Campi di Fragole (3:36) 6) Lo sciamano (4:01) 7) Eterna Transiberiana (6:20) 8) I ruderi del gulag (6:06) 9)Lasciando alle spalle (1:47) 10) Il grande bianco(6:33) 11) Oceano: Strade di sale (3:39)
Ci sono anche due bonustracks - Metamorfosi (9:43) e Il ragno (5:42), registrati dal vivo al Festival Prog di Veruno del 2018.
Non è stato facile sopperire alla scomparsa di Francesco Di Giacomo e a quella del chitarrista Rodolfo Maltese, ma occorre andare avanti...
La novità migliore è, secondo Topolàin, il cantante. Tony D'Alessio. Era stato già designato da Di Giacomo come suo possibile sostituto e lo si è potuto ascoltare una prima volta con il BMS nel doppio CD Io Sono Nato Libero The Legacy Edition e ne La Libertà Difficile (2017). Ebbene, qui D'Alessio conferma che potrebbe fare il lead vocalist di qualsiasi odierno gruppo prog metal!
Quindi in Transiberiana ci sono elementi innovativi rispetto allo stile Banco (diciamo pure che l'album potrebbe essere gradito non poco da un pubblico giovane). Le canzoni hanno strutture solide e, così come un viaggio offre una varietà di paesaggi e situazioni diverse, in questo disco, da stazione a stazione, l'ascoltatore transita attraverso diverse fasce atmosferiche, se non proprio stratosferiche. "La discesa dal treno" e "L’Assalto dei lupi" ricordano i classici Yes e i Gentle Giant. "I ruderi del gulag" e il pezzo 'dark rock' "Lo sciamano" hanno un suono scuro e industrial e dunque più contemporaneo. "Campi di Fragole" è un bell'esempio di ‘bel canto’ prog, alquanto Italian romantic. L'intro a "Eterna Transiberiana" potrebbe benissimo trovare posto in un album dei Jethro Tull dei primi anni 70, con in più quel touch tipicamente latino che tende a esprimere maggiore pathos. Lo stesso "Eterna Transiberiana" si sviluppa in una ballata - lunga! - quasi affettata (alcuni maligni affermano: "... che ricorda i Pooh"). Lo straordinario "Il grande bianco" spicca con la sua chitarra "looped" e con le tastiere danzanti, creando un effetto ipnotizzante...
In totale, si ricava un senso soddisfacente di spazio e meraviglia.
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Facit: Transiberianaè un album avventuroso, dinamico e moderno. Che "suona" da Old Banco, ma appena per tre quarti. Bene così. In fondo, i tempi mutano.
Il nuovo Banco del Mutuo Soccorso (foto di Pierluigi Di Pietro)
Brani preferiti da Topolàin: "La discesa dal treno", "Campi di Fragole" e "Lo sciamano".
Sulla questione si è espresso recentemente Franz Di Cioccio, batterista della PFM, con una riflessione sulla quale è impossibile non concordare:
“Chi nega che il prog inglese abbia insegnato a tutti noi, mente. Però è anche vero che il prog italiano è stato il più importante dopo quello inglese, e che senza l’Italia il prog inglese non sarebbe mai cresciuto”.
Il cantato in italiano tuttavia non si addice alla musica rock, né tantomeno al progressive, e in taluni casi finisce per costituire il punto di reale criticità della proposta nostrana. Un discorso a se stante va fatto per i politicizzati Area del mai troppo compianto sperimentatore vocale Demetrio Stratos. La loro proposta iconoclasta, infarcita di ritmi pluri-composti e definita dagli Area stessi “musica totale, di fusione e internazionalità”, è del tutto avulsa dall’ambiente circostante, combinando elementi jazzistici, musica elettronica, etnica, improvvisazione e sperimentalismi vari, mentre il singer greco raggiungeva con la sua ugola confini invalicabili. I ricercatori del CNR di Padova scoprirono che Stratos poteva produrre diplofonie (suoni bitonali e difonici).
Anche cantautori del calibro di Franco Battiato e Alan Sorrenti si cimentarono agli inizi della loro carriera nel progressive con gemme quali Fetus (1972), Pollution (1972) e Sulle Corde di Aries (1973), il primo, Aria (1972) e Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto (1973), il secondo.
Ascoltando i summenzionati platter di Sorrenti e associandoli alla sua hit per eccellenza Figli delle Stelle (1977), sembra incredibile che si tratti dello stesso artista!
Scelte analoghe furono, ahimè, intraprese da Michele Zarrillo (Semiramis e Il Rovescio della Medaglia) e Ivano Fossati (Delirium) che abbandonarono la musica colta per abbracciare la convenzionalità del pop.
Secondo il saggista Athos Enrile, opinione corroborata dalle testimonianze di Joe Vescovi (The Trip) e Paolo Siani (Nuova Idea), lo sdoganamento della nuova ventata rock dall’oltremanica in Italia avvenne l’11 ottobre 1969, giorno in cui i Vanilla Fudge vinsero a sorpresa la Gondola d’Oro nell’ambito del Festival di Musica Leggera di Venezia. I californiani, formazione dedita a sonorità psichedeliche e proto progressive, suonarono Some Velvet Morning e riuscirono a prevalere su artisti quali Nino Ferrer, Georges Moustaki e Ornella Vanoni. Fu senz’altro un segno tangibile che le cose stavano cambiando anche in Italia, come infatti di lì a poco avvenne.
Un altro discorso focale relativo al prog italiano riguarda le bellissime copertine dei vinili, spesso realizzate da artisti tout court. Celeberrimo il caso del rarissimo Dedicato a… delle Stelle di Mario Schifano – anche se era il ’67 e il prog era ancora lontano – impreziosito dallo splendido artwork effettuato dallo stesso Schifano.
Numerosi furono gli artisti che si cimentarono nella realizzazione delle cover di genere, quali il pittore Muzio (bellissima la copertina dell’album dei Raminghi intitolato Il lungo cammino dei Raminghi - 1971), Caesar Monti o Wanda Spinello.
Occorre inoltre necessariamente celebrare l’importantissimo apporto delle trasmissioni radiofoniche Per voi giovani, Supersonic - Dischi a Mach-2 e Popoff (1973-1976) e delle riviste Qui Giovani (1970/1974) e della già menzionata Ciao 2001 (1969/1994) che favorirono il processo di informazione e aggiornamento tra i ragazzi, conformando la cultura musicale italiana negli anni settanta.
Personaggi come Carlo Massarini, Mario Luzzatto Fegiz, Richard Benson, Saverio Rotondi, Enzo Caffarelli e Manuel Insolera seppero percepire per primi la portata del fenomeno progressivo anglosassone, ricercando con audacia un’interpretazione analitica: diventarono compagni di viaggio irrinunciabili per i giovani dell’epoca.
Emblematici, poi, i festival organizzati nella nostra penisola in quegli anni, a rievocare – non esagero – il mito di Woodstock. Eventi senza eguali, (che oggigiorno sarebbe mera utopia anche solo concepire) come il Festival Palermo Pop 70 del 1970 presso lo stadio La Favorita (ora Renzo Barbera) e il Festival Pop di Caracalla a Roma, che replicò l’anno seguente, quando vicino a Viareggio si tenne il primo Festival d’Avanguardia e Nuove Tendenze. Nel 1972 è la volta di Controcanzonissima, al Piper di Roma. La manifestazione fu preceduta da un referendum indetto dal settimanale musicale Ciao 2001 per promuovere artisti emergenti. I vincitori furono The Trip, Delirium, Osanna, New Trolls, Le Orme, Premiata Forneria Marconi, Claudio Rocchi e Francesco Guccini.
Nello stesso anno, e successivamente nel ’74, nel parco capitolino di Villa Pamphili ebbero luogo due eventi ai quali parteciparono numerosissimi spettatori desiderosi di gustare dal vivo la nuova musica. Nella prima edizione si esibirono Banco del Mutuo Soccorso, The Trip, Toad, Osanna, Garybaldi, Quella Vecchia Locanda, Fholks, Il Punto, Blue Morning, Aum Kaivalya, Richard Benson, Raccomandata con Ricevuta di Ritorno, Cammello Buck, Semiramis, Van Der Graaf Generator, Hawkwind e Hookfoot. Il costo del biglietto era di 300 lire, e affluirono nelle tre date previste circa 100.000 persone provenienti da tutta Italia.
“Un agglomerato di ambigue carovane di ragazzi e ragazze” così si espresse acidamente l’Osservatore Romano, quotidiano della Città del Vaticano. Ogni commento è superfluo.
Ho scovato un vecchio numero proprio di Ciao 2001 (n. 24 del 18 giugno 1972) contenente due articoli sull’evento di cui riporto degli estratti con una punta di malcelato rammarico: ero giovanissimo, avevo appena undici anni… e dire che abitavo a un tiro di schioppo da Villa Pamphili!
Marco Ferranti: “Le ore una e mezzo del giorno 28 maggio scorso: sfinito, letteralmente morto di stanchezza, sono sotto la doccia. E sì! Ho proprio bisogno di un risanamento a livello fisico, altrimenti non mi addormenterei, ma continuerei ad avere addosso la polvere, la calca, il sudore, il calore, l’umidità e i 10.000 watt di Villa Pamphili. E i watt annunciati e successivamente denunciati c’erano proprio tutti, ed entravano nel corpo, scomponevano le ossa, sembravano scorrere nel sangue in una sorta di lezione di vibrazioni che sarebbe stato difficile sopportare se non sorretti da tanto, ma tanto amore per la musica. E ora, sotto la doccia, nella calma e nella distensione di un momento di silenzio quasi magico, ripenso a quanto visto, ascoltato e provato nei tre giorni di festival, accanto alle migliaia di giovani, alle centinaia di bambini, alle occasionali vecchiette, a tutti i partecipanti alla festa”. Maurizio Baiata: “Potrei iniziare questo articolo scrivendo che questo festival di Villa Pamphili ha veramente rappresentato un qualcosa di meraviglioso per tutti noi, e sarei sincero; potrei anche esordire più amaramente parlando di un pubblico non ancora maturo e partecipe di questa musica, e potrei, andando avanti su questa linea, dire tante altre cose; ma indubbiamente sbaglierei perché un festival come questo è essenzialmente una cosa da viversi, lontana da ogni apprezzamento di critica musicale o di costume. E voglio proprio riviverlo, a beneficio della fantasia di chi non ci è stato o dei ricordi di chi lo ha diviso con tanti altri”.
“Il progressive era un mondo in cui struttura, linguaggio ed immaginazione, quindi anche testi, avevano un modo di realizzarsi completamente diverso rispetto alla struttura chiamata comunemente canzone”
(Franco Mussida - PFM)
L’irrefrenabile fermento che caratterizzava la gioventù italiana agli inizi degli anni settanta era dichiaratamente mirato allo stravolgimento delle regole di una società reputata iniqua e obsoleta; si trattava di una vera e propria ribellione all’insegna del rifiuto di un futuro omologato e precostituito. Moltissimi ragazzi decisero di utilizzare forme di protesta non violente, avvalendosi unicamente della forza della creatività e della cultura. Furono in parecchi ad accusarli, con una certa faciloneria, di essere puerili nel manifestare il dissenso in tal modo. Ne consegue fatalmente che le nuove sonorità provenienti dall’Inghilterra, con una fortissima predilezione per il rock progressivo, affascinarono quella generazione di sognatori. Sorsero come funghi band che, abbandonando gradatamente il beat, iniziarono a suonare musiche mai sentite prima con connotati ambiziosi e anti-conservatori, ricevendo, fattore essenziale, i favori del pubblico.
L’esplosione del prog nel nostro paese (identificato inizialmente come pop) va ascritto al coraggio di numerosi gruppi – in taluni casi stimatissimi anche all’estero come Le Orme e Premiata Forneria Marconi – che, pur avendo avuto in molteplici casi una vita artistica breve, hanno scritto pagine fondamentali nella storia della musica italiana. Tra questi (in ordine alfabetico): Acqua Fragile, Aktuala, Alphataurus, Area, Balletto di Bronzo, Banco del Mutuo Soccorso, Biglietto per l’Inferno, Campo di Marte, De De Lind, Delirium, Garybaldi, Goblin, Il Rovescio della Medaglia, Jumbo, Locanda delle Fate, Metamorfosi, Museo Rosenbach, New Trolls, Osanna, Panna Fredda, Perigeo, Picchio dal Pozzo, Pooh, Quella Vecchia Locanda, Raccomandata Ricevuta di Ritorno, Semiramis, Stormy Six, Tito Schipa jr. e The Trip. La qualità del prog di casa nostra, che soleva fondere le peculiarità anglosassoni con l’immancabile timbrica melodica mediterranea, è stata talmente elevata che taluni critici e un’ampia fascia di fan la ritengono addirittura superiore a quella dei maestri inglesi.
Tale affermazione è suffragata dalla realizzazione di long playing di livello come Concerto Grosso per i New Trolls (1971) dell’omonimo gruppo – musiche di Luis Enrique Bacalov – Storia di un minuto (1972) – chi non si è mai inebriato con le note ammalianti di Impressioni di Settembre? – e il più complesso Per Un Amico (1972) della Premiata Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccorso (1972), Darwin! (1972) e Io Sono Nato Libero (1973), strepitoso trittico del Banco del Mutuo Soccorso, Collage (1971), Uomo di Pezza (1972) – impreziosito dall’immortale Gioco di Bimba – e il concept album Felona e Sorona (1973) de Le Orme siano di un livello a dir poco stratosferico.
Furono la punta di diamante dell'etichetta International Artists, che pubblicava anche i dischi dei 13th Floor Elevators: The Bubble Puppy, da San Antonio, Texas.
Fondata nel 1966, la band - "rianimata" a più riprese nel corso dei decenni, e per un certo periodo nota come 'Demian' - è attiva ancora oggi, sebbene l'unico membro superstite della formazione originale sia il chitarrista e cantante Rod Prince. A maggio e giugno 2019, nuove dates di The Bubble Puppy sono previste negli U.S.A....
Rod Prince, il bassista Roy Cox (morto il 3 aprile 2013), il chitarrista Todd Potter e il batterista David Fore. The original members.
Nel suo Un fuoco sulla luna (Of a Fire on the Moon, pubblicato per la prima volta in italiano da Mondadori nel 1971), lo scrittore Norman Mailer definì il 1969, anno dell'allunaggio dell'Apollo XI, il vero inizio del 21. secolo. L'uomo era in grado di compiere allora imprese incredibili, soprattutto considerato il livello tecnologico dei tempi. E anche nella musica si muovevano tante cose: sperimentazione, nuovi suoni...
Ancora prima dell'avvento di Woodstock, The Bubble Puppy entravano addirittura nella Top 20 con un brano che tuttora è il loro più famoso: "Hot Smoke and Sassafras", un titolo che distorceva una frase pronunciata nella serie TV The Beverly Hillbillies.
A proposito di denominazioni curiose: il nome stesso di questa band texana di rock psichedelico era tratto - anch'esso doverosamente distorto - dal capolavoro di fantascienza distopica Brave New World (di Aldous Huxley), in cui viene accennato a un gioco per bambini chiamato "Centrifugal Bumble-puppy".
Un bell'inno alla musica e allo stare insieme è la loro "Todd's Tune".
Non parteciparono al Festival di Woodstock, ma dal 1967 al '71 andarono in tournée con artisti e gruppi del calibro di The Who, Grand Funk Railroad, Canned Heat, Steppenwolf, Jefferson Airplane, Bob Seger, Johnny Winter e Janis Joplin. Un bel curriculum! Su Amazon.it
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Di seguito, un altro richiamo letterario legato alla storia di questo gruppo. Nel 1970, quando si trasferirono a Los Angeles, cambiarono il nome in 'Demian' dietro suggerimento della moglie del loro nuovo manager, Nick St. Nicholas degli Steppenwolf. Ebbene, Demian è il titolo di un romanzo di Hermann Hesse del 1919...
Era tipico dei musicisti del Flower Power fare accenni colti al mondo dell'arte e della letteratura.
Il cambio di nome fu effettuato nel tentativo di evitare magagne con la vecchia casa discografica, ma anche perché, nell'immaginario di molti, 'Bubble Puppy' non poteva non avere un collegamento con la "bubblegum music", un genere di pop destinato alla massa di adolescenti e preadolescenti...