9 mag 2019

Fabio Rossi: il progressive rock in Italia (2)




(Capitolo VIII - Il caso Italia)


Sulla questione si è espresso recentemente Franz Di Cioccio, batterista della PFM, con una riflessione sulla quale è impossibile non concordare: 
“Chi nega che il prog inglese abbia insegnato a tutti noi, mente. Però è anche vero che il prog italiano è stato il più importante dopo quello inglese, e che senza l’Italia il prog inglese non sarebbe mai cresciuto”. 


Il cantato in italiano tuttavia non si addice alla musica rock, né tantomeno al progressive, e in taluni casi finisce per costituire il punto di reale criticità della proposta nostrana. Un discorso a se stante va fatto per i politicizzati Area del mai troppo compianto sperimentatore vocale Demetrio Stratos. La loro proposta iconoclasta, infarcita di ritmi pluri-composti e definita dagli Area stessi “musica totale, di fusione e internazionalità”, è del tutto avulsa dall’ambiente circostante, combinando elementi jazzistici, musica elettronica, etnica, improvvisazione e sperimentalismi vari, mentre il singer greco raggiungeva con la sua ugola confini invalicabili. I ricercatori del CNR di Padova scoprirono che Stratos poteva produrre diplofonie (suoni bitonali e difonici). 
Anche cantautori del calibro di Franco Battiato e Alan Sorrenti si cimentarono agli inizi della loro carriera nel progressive con gemme quali Fetus (1972), Pollution (1972) e Sulle Corde di Aries (1973), il primo, Aria (1972) e Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto (1973), il secondo. 
Ascoltando i summenzionati platter di Sorrenti e associandoli alla sua hit per eccellenza Figli delle Stelle (1977), sembra incredibile che si tratti dello stesso artista! 
Scelte analoghe furono, ahimè, intraprese da Michele Zarrillo (Semiramis e Il Rovescio della Medaglia) e Ivano Fossati (Delirium) che abbandonarono la musica colta per abbracciare la convenzionalità del pop. 


Secondo il saggista Athos Enrile, opinione corroborata dalle testimonianze di Joe Vescovi (The Trip) e Paolo Siani (Nuova Idea), lo sdoganamento della nuova ventata rock dall’oltremanica in Italia avvenne l’11 ottobre 1969, giorno in cui i Vanilla Fudge vinsero a sorpresa la Gondola d’Oro nell’ambito del Festival di Musica Leggera di Venezia. I californiani, formazione dedita a sonorità psichedeliche e proto progressive, suonarono Some Velvet Morning e riuscirono a prevalere su artisti quali Nino Ferrer, Georges Moustaki e Ornella Vanoni. Fu senz’altro un segno tangibile che le cose stavano cambiando anche in Italia, come infatti di lì a poco avvenne. 
Un altro discorso focale relativo al prog italiano riguarda le bellissime copertine dei vinili, spesso realizzate da artisti tout court. Celeberrimo il caso del rarissimo Dedicato a… delle Stelle di Mario Schifano – anche se era il ’67 e il prog era ancora lontano – impreziosito dallo splendido artwork effettuato dallo stesso Schifano. 
Numerosi furono gli artisti che si cimentarono nella realizzazione delle cover di genere, quali il pittore Muzio (bellissima la copertina dell’album dei Raminghi intitolato Il lungo cammino dei Raminghi - 1971), Caesar Monti o Wanda Spinello. 
Occorre inoltre necessariamente celebrare l’importantissimo apporto delle trasmissioni radiofoniche Per voi giovani, Supersonic - Dischi a Mach-2 e Popoff (1973-1976) e delle riviste Qui Giovani (1970/1974) e della già menzionata Ciao 2001 (1969/1994) che favorirono il processo di informazione e aggiornamento tra i ragazzi, conformando la cultura musicale italiana negli anni settanta. 
Personaggi come Carlo Massarini, Mario Luzzatto Fegiz, Richard Benson, Saverio Rotondi, Enzo Caffarelli e Manuel Insolera seppero percepire per primi la portata del fenomeno progressivo anglosassone, ricercando con audacia un’interpretazione analitica: diventarono compagni di viaggio irrinunciabili per i giovani dell’epoca. 

Emblematici, poi, i festival organizzati nella nostra penisola in quegli anni, a rievocare – non esagero – il mito di Woodstock. Eventi senza eguali, (che oggigiorno sarebbe mera utopia anche solo concepire) come il Festival Palermo Pop 70 del 1970 presso lo stadio La Favorita (ora Renzo Barbera) e il Festival Pop di Caracalla a Roma, che replicò l’anno seguente, quando vicino a Viareggio si tenne il primo Festival d’Avanguardia e Nuove Tendenze. Nel 1972 è la volta di Controcanzonissima, al Piper di Roma. La manifestazione fu preceduta da un referendum indetto dal settimanale musicale Ciao 2001 per promuovere artisti emergenti. I vincitori furono The Trip, Delirium, Osanna, New Trolls, Le Orme, Premiata Forneria Marconi, Claudio Rocchi e Francesco Guccini. 
Nello stesso anno, e successivamente nel ’74, nel parco capitolino di Villa Pamphili ebbero luogo due eventi ai quali parteciparono numerosissimi spettatori desiderosi di gustare dal vivo la nuova musica. Nella prima edizione si esibirono Banco del Mutuo Soccorso, The Trip, Toad, Osanna, Garybaldi, Quella Vecchia Locanda, Fholks, Il Punto, Blue Morning, Aum Kaivalya, Richard Benson, Raccomandata con Ricevuta di Ritorno, Cammello Buck, Semiramis, Van Der Graaf Generator, Hawkwind e Hookfoot. Il costo del biglietto era di 300 lire, e affluirono nelle tre date previste circa 100.000 persone provenienti da tutta Italia. 
“Un agglomerato di ambigue carovane di ragazzi e ragazze” così si espresse acidamente l’Osservatore Romano, quotidiano della Città del Vaticano. Ogni commento è superfluo. 

Ho scovato un vecchio numero proprio di Ciao 2001 (n. 24 del 18 giugno 1972) contenente due articoli sull’evento di cui riporto degli estratti con una punta di malcelato rammarico: ero giovanissimo, avevo appena undici anni… e dire che abitavo a un tiro di schioppo da Villa Pamphili!

Marco Ferranti: “Le ore una e mezzo del giorno 28 maggio scorso: sfinito, letteralmente morto di stanchezza, sono sotto la doccia. E sì! Ho proprio bisogno di un risanamento a livello fisico, altrimenti non mi addormenterei, ma continuerei ad avere addosso la polvere, la calca, il sudore, il calore, l’umidità e i 10.000 watt di Villa Pamphili. E i watt annunciati e successivamente denunciati c’erano proprio tutti, ed entravano nel corpo, scomponevano le ossa, sembravano scorrere nel sangue in una sorta di lezione di vibrazioni che sarebbe stato difficile sopportare se non sorretti da tanto, ma tanto amore per la musica. E ora, sotto la doccia, nella calma e nella distensione di un momento di silenzio quasi magico, ripenso a quanto visto, ascoltato e provato nei tre giorni di festival, accanto alle migliaia di giovani, alle centinaia di bambini, alle occasionali vecchiette, a tutti i partecipanti alla festa”. 

Maurizio Baiata: “Potrei iniziare questo articolo scrivendo che questo festival di Villa Pamphili ha veramente rappresentato un qualcosa di meraviglioso per tutti noi, e sarei sincero; potrei anche esordire più amaramente parlando di un pubblico non ancora maturo e partecipe di questa musica, e potrei, andando avanti su questa linea, dire tante altre cose; ma indubbiamente sbaglierei perché un festival come questo è essenzialmente una cosa da viversi, lontana da ogni apprezzamento di critica musicale o di costume. E voglio proprio riviverlo, a beneficio della fantasia di chi non ci è stato o dei ricordi di chi lo ha diviso con tanti altri”.




(Fabio Rossi)










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