Anni Cinquanta. Un gruppo di adolescenti che si conoscono fin dalle elementari si riuniscono a casa di uno di loro, Robert Wyatt, ad ascoltare dischi jazz e strimpellare brani famosi. 1960. Una delle camere di quella casa viene presa in affitto dal chitarrista australiano Daevid Allen, che stravede per il jazz e vive in maniera anticonformista. Allen influenzerà il modo di far musica dei ragazzi... e finirà per essere conosciuto soprattutto per il suo ruolo di fondatore del gruppo di rock psichedelico Soft Machine (in Gran Bretagna, nel 1966) e del gruppo di space rock Gong (in Francia, nel 1969).
Nel prossimo video: The Wilde Flowers, 1969. Con loro - si può asserire senza tema di errare - iniziò l'avventura della "Scena di Canterbury".
Suonarono nei Wilde Flowers, via via avvicendandosi: Dave Sinclair, suo cugino Richard Sinclair, Brian Hopper, suo fratello Hugh Hopper, Robert Wyatt, Kevin Ayers, Pye Hastings, Richard Coughlan. In pratica, i futuri Caravan e i futuri Soft Machine.
Quando l'avventura dei "Wilde" volge al termine, quattro dei membri, nel 1968, lasciano il gruppo e formano, appunto, i Caravan. Si tratta di Richard Sinclair (basso e voce), Pye Hastings (chitarra e voce), Dave Sinclair (keyboards) e Richard Coughlan (drums). In quasi tutti i lavori dei Caravan contribuirà come ospite Jimmy Hastings, sassofonista e flautista fratello di Pye, senza mai diventare membro ufficiale della band.
... I Caravan erano «i poeti di Canterbury, teneri visionari psico-prog», per dirla con le parole di Riccardo Bertoncelli, uno dei numi tutelari della critica rock tricolore.
I Caravan si trasferirono a Londra dopo essere stati scritturati dalla Verve Records. L'esordio è l'album eponimo (1968). Subito dopo, la Verve li lasciò cadere, avendo chiuso la divisione pop-rock, e loro passarono alla Decca. Nel settembre del 1970 esce, per la Decca, If I Could Do It All Over Again, I'd Do It All Over You, che li consacra musicisti di alto livello. Questa opera seconda rivela anche quanto diverso sia il loro percorso da quello dei Soft Machine, la cui musica si basava soprattutto sul jazz e sull'improvvisazione. Le fiabe vocali di Richard e Pye, la cui dolcezza è stemperata dal surrealismo dei testi, si incrociano con gli assoli delle tastiere e dei fiati (di Jimmy Hastings nuovamente ospite), per conferire all'album un sound spensierato, equilibrato e brillante. L'indulgere nella sperimentazione e nel jazz è contenuto – al contrario di quanto avviene nei lavori dei Soft.
Jimmy Hastings: figura molto importante per la scena di Canterbury. Nato ad Aberdeen, Scozia, il 12 maggio 1938, e fratello di Pye, suonava il sassofono contralto, il clarinetto, il flauto... Partecipò al debutto dei Caravan e rimase nell'ensemble per i primi anni, tornandoci in seguito. Collaborò con: Soft Machine, Hatfield and the North, National Health, Bryan Ferry, Trapeze, Chris Squire, tra gli altri.
The Battle of Hastings del 1995 è l'ultimo album dei Caravan con Jimmy Hastings
È il 1971. I Caravan si esibiscono al 'Beat Club'. È il loro ritorno all'inestimabile programma tv: c'erano già stati due anni prima. Suonano, stavolta, "Golf Girl", "Winter Wine"...
"Golf Girl"
Sotto: altra registrazione "storica". I Caravan live in una radio statunitense, 1974. Bootleg fantastico!
... ed ecco la canzone che dà il titolo all'album! In una versione che è contenuta in Travelling Man.
Caravan - In the Land of Grey and Pink
I Caravan senza entrambi i cugini Sinclair. Siamo nel 1976. Pye Hastings scrisse tutte le canzoni del disco, dal titolo Blind Dog at St Dunstans.
Nel '77 esce Better by Far.
Con il songwriting di Pye Hastings e con Jan Schelhaas alle tastiere, i Caravan tendevano ormai verso il pop, anche se la produzione qui è di Tony Visconti (molto importante per la carriera di David Bowie) e anche se, come per il precedente Blind Dog..., occorre ammirare la padronanza tecnica dei musicisti. A essersi spenta è l'immaginazione (a parte i giochi linguistici con numerosi riferimenti alla quotidianità inglese), la creatività. La spinta realmente "progressive".
Molti fan e quasi tutti i critici erano d'accordo nell'affermare che l'orientamento musicale dei Caravan era mutato soprattutto dopo il quarto album, Waterloo Lily del 1972. Gli ingaggi ottenuti come "apripista" per gli Slade e gli Status Quo avevano reso necessario che i membri componessero e suonassero brani dalla struttura meno complicata, brani più simili a canzoni convenzionali. Il successo non mancò: l'album Cunning Stunts si piazzò al 50simo posto nella classifica del Regno Unito e raggiunse la posizione numero 124 negli Stati Uniti, mentre Blind Dog at St. Dunstans fu al numero 53 della classifica britannica.
Nel 1980 i Caravan non sono già più quelli classici, che lasciarono un segno indelebile nella storia del prog rock. Hanno un taglio più commerciale, cosa dovuta certamente alle canzoni - e al modo di cantare - di Pye Hastings. Per registrare The Album, alle tastiere - e al canto - torna Dave Sinclair (suo cugino Richard Sinclair più o meno di questi tempi milita nei Camel!) e ci sono diversi momenti brillanti; non solo in The Album ma anche in altri lavori in studio. In effetti, i Caravan sopravviveranno anche senza ambedue i Sinclair...
Nel corso dei decenni saranno tanti i cambi di formazione e quasi altrettanti i come-back. Loro rimangono pur sempre tra i vetusti rappresentanti della "scena di Canterbury": persino le loro canzoni "semplici" sono godibili.
In un concerto del 1976
Addii e reunion
Dave Sinclair lasciò dopo l'uscita di In the Land of Grey and Pink e il gruppo si sciolse una prima volta già l'anno successivo. Il cantante e chitarrista Pye Hastings e il batterista Coughlan (uniche costanti dei Caravan a partire da quel momento) rimpinzarono l'ensemble con nuovi membri, in particolare il violinista Geoffrey Richardson. Nel 1978 seguì un nuovo sbandamento...
La band si riformò più volte nei decenni successivi e i Caravan rimasero ancora attivi nel Terzo Millennio, in qualità di gruppo dal vivo... nonostante la morte di Coughlan, avvenuta nel dicembre 2013.
Album in studio
1968 - Caravan
1970 - If I Could Do It All Over Again, I'd Do It All Over You
1971 - In the Land of Grey and Pink
1972 - Waterloo Lily
1973 - For Girls Who Grow Plump in the Night
1975 - Cunning Stunts
1976 - Blind Dog at St. Dunstans
1977 - Better by Far
1980 - The Album
1982 - Back to Front
1994 - Cool Water
1995 - The Battle of Hastings
2003 - The Unauthorized Breakfast Item
2013 - Paraside Filter
(Sono più numerosi gli album dal vivo. Ed esistono almeno oltre una dozzina di compilations!)
Talvolta ritornano... Caravan of Dreams (1992) di Richard Sinclair comprende, oltre lui stesso al basso, alla chitarra e alla voce, suo cugino David al sintetizzatore Korg M1, Andy Ward alla batteria + percussioni varie e Jimmy Hastings al flauto, al sax e al flauto piccolo. Sembra, a tratti, quasi un nuovo album dei Caravan...
"Is It Prog? - The Canterbury Scene", breve video
Rock psichedelico con venature jazz: questa, in sintesi, l'essenza della "scena canterburiana". Molti dei suoi protagonisti passarono, come abbiamo visto, per i Wilde Flowers (i cui componenti avevano un'età dai 17 ai 20 anni!) e il brano "Memories", qui cantato da Robert Wyatt ai tempi dei Soft Machine, era nato proprio dalla proficua fucina dei "Wilde".
Gravi colpi del destino contrassegnarono la sua infanzia. Ray veniva da un ambiente molto povero e, a sette anni, accecò.
Ray Charlesera un musicista afroamericano dai molti talenti, non vedente. Un appellativo che gli hanno dato è: "Sommo Sacerdote del Soul". Lo chiamavano anche The Genius. Ma quando era con amici e colleghi preferiva essere chiamato "Fratello Ray" (Brother Ray).
"Georgia On My Mind"
"Hit the Road Jack"
Era nato in condizioni di estrema povertà in quel di Albany, Georgia, il 23 settembre 1930. Il padre biologico, assente, era Bailey Robinson, operaio manutentore dei binari ferroviari (un "Gandy Dancer", come questi operai venivano chiamati). Bailey non conobbe mai il figlio.
La madre, Aretha, decise di trasferirsi a Greenville, in Florida, quando Ray aveva sei mesi. Ray venerava sua madre.
Fu un bambino curioso e assai interessato alla musica, con un forte senso del ritmo. Era solito ascoltare il programma radiofonico Grand Ole Opry (celebre trasmissione di country emanata settimanalmente da Nashville) insieme al blues e allo swing. C'era inoltre - dettaglio importantissimo - la musica gospel della chiesa battista dove lo portava la madre.
I tempi erano duri. La baracca fatiscente dove Ray Charles era cresciuto non aveva nemmeno l'acqua corrente. Nella sua autobiografia, Brother Ray, il musicista avrebbe poi ricordato: "Persino rispetto agli altri neri di Greenville, noi eravamo in fondo alla scala sociale".
"Easy Riding Gal"
Alla povertà si aggiunsero varie sciagure. Ray aveva cinque anni quando il suo fratellino George, di un anno più giovane, annegò dentro una tinozza. Successivamente iniziò a deteriorarsi la sua vista, per colpa di un glaucoma, e. non potendo permettersi la sua genitrice di affrontare le cure mediche del caso, Ray Charles divenne completamente cieco a soli sette anni.
In seguito frequentò la scuola statale per sordi e ciechi di St. Augustine, in Florida.
"Mess Around"
"I Got A Woman"
Imparò a leggere, comporre e scrivere musica in linguaggio Braille. Iniziò a suonare il clarinetto, la tromba, il sassofono e le tastiere. Sebbene alla St. Augustine School fosse stato introdotto alla musica classica, le sue prime vere esperienze come pianista furono sullo strumento di Wylie Pittman, un droghiere e suonatore di boogie che era solito prendersi cura di lui e di George (fino a che questi, come già scritto, non annegò).
A Ray piacevano i pianisti jazz come Art Tatum, Bud Powell, King Cole e Oscar Peterson. Si diceva che fosse in grado di arrangiare e orchestrare tutte le parti di una big band o di un'orchestra già a dodici anni... Tuttavia, persino la nuda sopravvivenza era difficile; per tutti, non soltanto per un aspirante musicista. I neri erano oppressi, venivano emarginati, li escludevano da molti ambiti della vita. Per Ray Charles, che aveva la pelle scura, le prospettive per il futuro si prospettavano nulle.
"What Have I Done"
"All To Myself Alone"
E poi, poco prima del suo quindicesimo compleanno, gli capitò pure di perdere all'improvviso Aretha, sua madre, la persona più importante della sua vita. Abbandonata la scuola, Ray Charles cercò di guadagnarsi da vivere con la musica. Ma Greenville non era il posto giusto per iniziare una carriera da artista. Così, l'adolescente cercò fortuna trasferendosi a Jacksonville, in Florida, dove fu in grado di ottenere qualche lavoretto come cantante e dove suonò occasionalmente in un paio di complessi. Intanto, registrava i suoi primi demo.
"I Wonder Who's Kissing Her Now"
All'età di diciassette anni, il semi-indigente Ray Charles si recò sulla costa occidentale degli Stati Uniti, stabilendosi per qualche periodo a Seattle. Lì incontrò Quincy Jones e il produttore di Little Richard, Bumps Blackwell. Charles formò un trio di chitarra, basso e pianoforte che funzionava molto bene. Il trio alla fine attirò l'attenzione di Jack Lauderdale, un veterano dell'industria musicale. Intorno al 1950 Ray si trasferì a Los Angeles per registrare per la Swing Time, l'etichetta di Lauderdale. Intanto, divenne padre per la prima volta. (Nel corso della sua vita, Ray Charles ebbe dodici figli da dieci donne diverse...)
"Heartbreaker"
Negli Anni '50 fu un pioniere della musica soul, fondendo, nei suoi primi dischi, generi diversi: rhythm & blues, gospel, blues. Canzoni sue di successo come "What I'd Say" e "Georgia On My Mind" segnarono l'inizio del pop internazionale di successo.
"What I'd Say"
Artista assai popolare, Ray Charles era benvoluto in ogni show musicale; le varie emittenti se lo contendevano. Numerose furono le sue apparizioni televisive e cinematografiche.
Nel 1986 venne inserito nella Rock and Roll Hall of Fame; il Grammy Award alla carriera (Grammy Lifetime Achievement Award) gli venne consegnato nel 1987.
"Hey Now"
Ray Charles nel Film The Blues Brothers
Ronnie Lamarque - "(Night Time Is) The Right Time" (Cover di un brano di Ray Charles)
La faccia di Steven Wilson, che campeggia da quasi trent'anni ormai su tutti i magazinesdedicati al rock progressivo, è diventata un'icona del genere. E su Prog gli articoli su di lui si succedono a cadenza regolare. Non passa praticamente numero di Prog - così come di altre riviste - senza che ci sia, su questo artista, almeno un trafiletto...
Nel periodo di Hand. Cannot. Erase., dell'EP 4 ½ e dell'album successivo To the Bone (2017) abbiamo l’ultima incarnazione di Wilson, ormai una figura a parte nel genere della musica popolare-ma-non-banale e del rock più ispirato e, sì, colto.
(L'ultimo album solista a oggi, The Future Bites, è uscito nel 2021 ed è tutt'altro discorso, secondo noi.)
In Hand. Cannot. Erase. siamo su livelli molto più piacevoli e meno introversi del lavoro precedente.
Con una chitarra elettrica che a tratti ricorda i gloriosi The Who e tastiere più aperte al mondo e dunque solari, ci viene offerta una vasta gamma di suoni. C'è qualche reminiscenza addirittura genesisiana. E, comunque, le composizioni hanno una vicinanza più sana alla forma "canzone".
- Dave Stewart / choir (5) & strings (9) arrangements
- Schola Cantorum of The Cardinal Vaughan Memorial School / chorus vocals (5,10,11)
- London Session Orchestra / strings (9,10)
Tracks
1. First Regret (2:01)
2. 3 Years Older (10:18)
3. Hand Cannot Erase (4:13)
4. Perfect Life (4:43)
5. Routine (8:58)
6. Home Invasion (6:24)
7. Regret #9 (5:00)
8. Transience (2:43)
9. Ancestral (13:30)
10. Happy Returns (6:00)
11. Ascendant Here on... (1:54)
Total Time 65:44
Album migliore del precedente, questo Hand. Cannot. Erase e sono d'accordo che trattasi di uno dei dischi meglio riusciti degli ultimi decenni, non solo in ambito neo-prog. In my humble opinion!
Per la pubblicazione dell'album, Steven Wilson venne intervistato da Jerry Ewing in persona, che è stato il fondatore della prestigiosa rivista Prog. L'intervista non aggiunge e non toglie nulla all'immagine di S. Wilson, da molti considerato arrogante e che dà forse fastidio per la sua onnipresenza, ma che intanto, grazie al fatto di essere tanto diligente, è uno dei pochi attori del prog che riescono a campare grazie alla vendita dei dischi. E a campare bene, come si sottolinea nell'articolo.
È un concept ispirato al caso di Joyce Vincent, una donna ben inserita nella società londinese la quale tuttavia, dopo essere spirata nel proprio appartamento, sembrò essere stata dimenticata da tutti e cancellata dalla memoria del mondo... finché tre anni dopo non se ne trovò lo scheletro. Qui c'è meno Theo Travis che nel precedente platter, quindi è un album meno jazzato e con momenti rock più "vivaci"... nonostante lo spunto funereo.
4 1/2 (EP, 2016)
Hand. Cannot. Erase. dell'anno prima fu l'album di maggior successo nella carriera di Steven Wilson - fino a quel momento. Grande risultò essere anche il riscontro di pubblico nel tour successivo. Proprio durante quei concerti, Wilson & Co. presentarono alcuni brani inediti (insieme ad altri del repertorio dei Porcupine Tree), brani che furono aggiunti nella cartella dei suoi progetti e pubblicati poi nel'EP 4 1/2 insieme a tracce che erano state escluse dagli ultimi suoi due album.
4 1/2 uscì mentre Wilson lavorava già al suo quinto album (To the Bone).
È un EP di 37 minuti. 4 dei titoli sono nati durante le sessioni per Hand. Cannot. Erase. e uno risale a The Raven That Refused to Sing. L'ultima traccia, "Don’t Hate Me", è una canzone originariamente registrata dai Porcupine Tree e riproposta in una versione rimaneggiata nel tour europeo. Per l'EP ci sono diverse aggiunte fatte successivamente nello studio di registrazione.
Il cantato di "Don't Hate Me" vede affiancati Steven e Ninet Tayeb. È un duetto, dunque.
Tre tracce di 4 1/2 sono strumentali: "Year of the Plague", "Sunday Rain Sets In" e "Vermillioncore".
Key Tracks: 1. "My Book of Regrets", 3. "Happiness III"
Track listing
1. My Book of Regrets (9.23)
2. Year of the Plague (4.15)
3. Happiness III (4.31)
4. Sunday Rain Sets In (3.50)
5. Vermillioncore (5.09)
6. Don’t Hate Me (9.34)
To the Bone(2017)
"I'm tired of Facebook
Tired of my failing health
I'm tired of everyone
And that includes myself"
A maggio 2017, il singolo "Pariah" preannunciava l'uscita del quinto disco solista di Steven Wilson - senza contare, ovviamente, l'intermedio EP 4 ½ - e, anche dopo aver ascoltato più volte tutte le tracce di To the Bone, è questo il passaggio - dal brano "Pariah", appunto - che rimane più impresso nella mente. Questo e, anche, la canzone "Refuge", incredibilmente "catchy" e incredibilmente potente.
To the Bone segna il culmine della carriera del quasi 50enne musicista; è un compedio della sua inventiva, con novità sparse qua e là. La novità più grossa è ovviamente lo stile. Wilson stavolta voleva fare un album più pop-rock, sull'esempio di Peter Gabriel ('So'), dei Talk Talk...! Qualcosa che si avvicinasse e lo avvicinasse al mainstream. (Ricordo che diede decine, forse centinaia di interviste in cui cercava di spiegare il perché della svolta.) In To the Bone, il songwriting cerca di essere diretto, senza troppi orpelli, prova a dipanarsi lungo una narrazione rock che non sia necessariamente progressive... Forse vuole un po' rifarsi anche à la Kate Bush dei grandi successi, ai dischi di artpop. Ne esce fuori un prodotto eccellente, non importa quale etichetta vogliamo affibbiargli: la cura dei dettagli e la tecnica - anche nelle e delle cosiddette "canzoni pop" (ma... "Permanating" è una canzone pop? Leggera?... Ma sì, dài!) - rivelano la mano del maestro. L'eclettismo inoltre è presente, non ci sono mai due brani che si assomigliano. E i testi sono molto seri e ben strutturati, evocano immagini spesso dark, come negli anni precedenti. È tutto troppo ben fatto e troppo ponderato perché Wilson possa ingannarci. Ah, a proposito dei testi, lui stesso dichiara:
>> Lyrically, the album’s 11 tracks veer from the paranoid chaos of the current era in which truth can apparently be a flexible notion, observations of the everyday lives of refugees, terrorists and religious fundamentalists, and a welcome shot of some of the most joyous wide-eyed escapism I’ve created in my career so far. Something for all the family! <<
Ricordiamoci di una cosa: mentre noi ripassiamo questo segmento della sua carriera solista, Wilson è impegnato su vari fronti contemporaneamente. Oltre ai Porcupine Tree, milita nei No-Man, nei Blackfield, nei Bass Communion, negli Storm Corrosion; si è occupato del remix di album targati King Crimson, si destreggia con le sonorità di epoche diverse e le ricopre di una patina moderna... In questo album dall’artwork minimale e forse per questo tanto efficace, vuole "rilassarsi" un po'... Beh, togliamoci il cappello.
Attenti, puristi! Adesso arriva la doccia fredda.
The Future Bites (2021)
Differente, molto differente, di sicuro non prog-rock... Siamo lontani, musicalmente, dai Porcupine Tree e dai primi album solisti di Steven Wilson. E tuttavia: da ascoltare, per meglio conoscere.
Mojo ha assegnato all'album 4 stelle su 5 descrivendolo come "un grande disco di pop maggiorato", aggiugendo che "il lavoro solista [di Wilson] ha portato l'artista ad abbracciare la dance, l'elettronica e il pop e ciò ha causato il miglioramento". Uncut, Classic Rock, il tedesco Rocks Magazine...: tutte le testate specializzate hanno lodato l'imprevedibilità di Wilson, i suoi "agganci vocali in falsetto", il suo "metapop anticonformista".
Le tracce sono state tutte composte da Steven Wilson e sul package i titoli sono stilizzati in maiuscolo. Anche il titolo dell'album lo è:
'The Future Bites' ---> THE FUTURE BITES™.
È il suo sesto lavoro personale in studio (full-lenght). Coprodotto da Wilson e David Kosten e registrato a Londra.
The Future Bites tratta due temi ricorrenti della produzione di Wilson: l'identità dell'essere umano e la tecnologia. A proposito di quest'ultima, un comunicato stampa in concomitanza con l'uscita del disco ci dice che la tecnologia "è un muro di separazione della nostra utopia del 21° secolo, consentendo anche momenti di crescita personale e ottimismo". Di The Future Bites è stato inoltre detto che è "meno la visione cupa di una distopia prossima ventura quanto più una curiosa lettura del qui e ora".
"Personal Shopper" il primo singolo, "ci immerge completamente nella danza e nella neo-disco, mantenendo in qualche modo un taglio rock".
"In qualche modo": già!
Track listing
1."Unself"1:05
2."Self"2:55
3."King Ghost"4:06
4."12 Things I Forgot"4:42
5."Eminent Sleaze"3:52
6."Man of the People"4:41
7."Personal Shopper"9:49
8."Follower"4:39
9."Count of Unease"6:08
Lunghezza totale:41:59
Line-up e collaboratori
- Steven Wilson: voce, chitarre, tastiere, campionatore, basso, percussioni, programmazione
- David Kosten: programmazione, sintetizzatori, drone in "Count of Unease"
- Michael Spearman: batteria, percussioni
- Nick Beggs: basso in "Personal Shopper", Chapman Stick in "Eminent Sleaze"
- Adam Holzman: tastiere in "Eminent Sleaze" e "Follower"
- Richard Barbieri: sintetizzatori in "Self"
- Jason Cooper: piatti e percussioni in "King Ghost"
- Blaine Harrison, Jack Flanagan: cori in "12 Things I Forgot"
- Elton John: parola pronunciata in "Personal Shopper"
Non ci sono stati solo i Porcupine Tree. Nel corso della sua lunga carriera (le prime esperienze in studio di registrazione risalgono agli Anni Ottanta), Steven Wilson ha avuto all'attivo numerosi side-project, tra i quali i Blackfield (con il cantautore israeliano Aviv Geffen), gli Storm Corrosion (con Mikael Åkerfeldt degli Opeth), Bass Communion, gli I.E.M. (Incredible Expanding Mindfuck) e i No-Man (con il cantante Tim Bowness).
Solitamente Steven Wilson suona tutti gli strumenti e cura tutti gli aspetti tecnici inerenti al suono, alla programmazione e alla produzione. Fondamentale è la sua collaborazione con Lasse Hoile, grafico, regista e fotografo danese, da anni abilissimo nel tradurre in forma visiva le sue idee.
In veste di produttore, nel nuovo millennio il musicista inglese ha anche curato le versioni remix di numerosi album legati al rock progressivo, come In the Court of the Crimson King dei King Crimson, Emerson, Lake & Palmer, Aqualung dei Jethro Tull e Fragile e Close to the Edge degli Yes. E in studio è stato in grado di plasmare il sound di influenti band moderne, come gli Opeth.
Album da solista
2008Insurgentes
2011Grace for Drowning
2013The Raven That Refused to Sing (And Other Stories)
2015Hand. Cannot. Erase.
2017To the Bone
2021The Future Bites
Porcupine Tree
Il suo primo lavoro personale è Insurgentes, registrato tra gennaio e agosto 2008. (Belle a questo proposito sia l'edizione giapponese dell'album sia la "limited deluxe edition", che includono 4 tracce più una "hidden track".)
Collaborano qui il batterista Gavin Harrison (già con lui nei Porcupine Tree), Tony Levin al basso (Peter Gabriel, King Crimson) e Jordan Rudess (Dream Theater) alle tastiere. Fior fiore di nomi, dunque.
Steven Wilson menziona tra le proprie influenze musicali il post-punk e lo shoegaze e in particolare gruppi quali Joy Division, Killing Joke, The Flaming Lips, My Bloody Valentine e The Cure. Insurgentes è un disco difatti oscuro e a tratti misantropico, che cerca nell'infelicità, nella depressione, nella sofferenza l'acqua a cui abbeverarsi. Le radici prog-classiche vengono abbandonate forse definitivamente a favore del noise. Un omaggio al maestro Robert Fripp è "No Twilight Within the Court of the Sun", brano inserito a metà scaletta, molto crimsoniano già nel titolo. Con le sue fughe strumentali, è forse il migliore titolo dell’album, insieme all'eclettica e composita "Salvaging" (terza traccia).
Alcuni altri brani sono vicini al metal tagliente dei Porcupine Tree dell'ultimo periodo.
Tre anni dopo esce Grace for Drowing, dove Steven Wilson di nuovo, oltre a cantare, suona vari e numerosi strumenti (keyboards, guitars, autoharp, bass, piano, gong, glockenspiel, harmonium, percussion, programming) e si rende responsabile della produzione e del mixing.
Al momento dell'uscita di questo secondo lavoro sotto il proprio nome, il cantautore e musicista britannico è già, da oltre un decennio, una figura-chiave del neo-prog. Grace for Drowing trova alquanta risonanza su siti e magazines vari ancor prima di uscire, grazie ad anticipazioni quali files da scaricare, videoclips e la riproduzione della copertina (che è opera di Lasse Hoile). Come nel 'debut album', anche questo lavoro è una mistura di noise music, drone, minimalismo e improvvisazioni: una musica dalle mille sfaccettature. Il disco non è però un sequel di Insurgentes, bensì una reinvenzione, da parte di Wilson, della propria attività da solista. È un doppio album con ciascuna "metà" composta da quaranta minuti di musica e vi partecipano abbastanza guests da equipaggiare un reggimento militare (Jordan Rudess, Nick Beggs, Theo Travis, Tony Levin, Trey Gunn, Pat Mastelotto, Steve Hackett e vari altri).
Drive Home (EP)
Contiene alcune tracce registrate in studio e un paio di video musicali. Le registrazioni in studio - a Los Angeles - sono state fatte dal 15 al 21 sett. 2012. Inoltre, il CD e il DVD/Blu-ray contengono diverse tracce live del concerto in Germania del 23 marzo 2013 - alla Hugenottenhalle di Neu-Isenburg.
Drive Home del 2013 meglio si può descrivere ripetendo le parole di Thom Jurek (AllMusic), il quale parla della title track come di "una stupenda fusione di atmosfere notturne pinkfloydiane e magnificenza melodica tipo Moody Blues, assoli di chitarra tentacolari e in più la cristallina produzione a firma Alan Parsons".
E le tracce dal vivo? Per Jurek, sono "versioni sopraffine" che i componenti della band "liberano dallo spazio ristretto dello studio di registrazione".
The Raven That Refused to Sing (And Other Stories)
L'evoluzione stilistica di Wilson, in cui l’artista fagocita generi diversi che vanno dal jazz all’elettronica, è un percorso tracciato da Grace For Drowning e The Raven That Refused to Sing.
The Raven That Refused to Sing venne realizzato dopo la morte del padre (è un album dedicato al sopranaturalismo) e contiene di conseguenza toni più dark, più scuri del successivo Hand.Cannot.Erase (che pure, come vedremo, si basa essenzialmente - o anche - su una storia "orrifica").
Non è la colonna sonora di nessuna generazione; è il soundtrack dell'alienazione. Stralci di melodie, ma niente di "catchy" che ti rimanga nella testa (d'accordo: "Drive Home" è una bella ballata, non priva di lirismo quasi à la R.E.M.).
L'intro di basso e poi il giro di "Luminol" (prima traccia) sono considerati fra i migliori, se non i migliori della storia della musica degli ultimi 40 anni. Merito di ciò è in gran parte dello straordinario talento di Nick Beggs. Visto dal vivo, Beggs ha una tecnica impressionante. "Luminol" è oltretutto un brano scritto segnatamente per il basso, che qui, da strumento ritmico, diventa strumento melodico. Dopo John Entwistle di The Who, si può dire che Beggs sia il migliore bassista in circolazione.
L'impressione generale dell'album è quella di post-rock (piuttosto che di prog-rock) con inserti jazz. Tanta parte dello spartito è tenuta in scala maggiore con non poco rumore zappiano. Una drammaticità portata all'esasperazione, un lamento prolungato... come quello emesso dagli spiriti "soprannaturali" che il disco vuole rendere presenti.
Verso la metà ci sono i momenti migliori ("The Holy Drinker" e soprattutto "The Pin Drop" con le sue sfumature genesisiane) (e si può dire la stessa cosa di "The Watchmaker").
L'ultima track, quella eponima, è anche la più memorabile, con atmosfere intime che ricordano una cameretta recondita e l'anima di un ragazzo che si proietta nell'universo pur senza lasciarla... e che alla cameretta ritorna.
Queste almeno le impressioni che ci dà il brano n. 6, "The Raven That Refused To Sing". Una song carica di tensione, di pathos, ma almeno senz'altro bello dal punto di vista melodioso e dell'esecuzione. S.W. ce lo spiattella senza troppi virtuosismi stavolta, ma curandosi di creare l'ambiente, il "clima" dettato dalla situazione e dal tema. Il corvo della canzone ricorda un po' Edgar A. Poe; e la preghiera o meglio implorazione all'assente "Lilly" evoca il testo di "The Musical Box"; ma siamo evidentemente molto lontani da quella magia. Diciamo che l'artista Wilson si crea una dimensione propria di sentimenti ed empatia, il tutto però ricoperto da una patina di freddezza metallica, invaso da molto meno romanticismo di quanto potrebbe offrire l'argomento. Romanticismo che è però presente, di contro, in...