Non tutti gli album (e i CD) riescono col buco, e In the Region of the Summer Stars
ne è un esempio clamoroso. Basti pensare che durante l'ascolto ci siamo
ripetutamente sorpresi a rimpiangere i buoni, vecchi - e tanto
bistrattati - Ekseption...
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The Enid è un progetto creato da Robert John Godfrey,
ex pianista classico che decise di tentare la fortuna nel rock. Dopo
una parentesi relativamente lunga (fin dal 1969) con i Barclay James
Harvest e un album firmato col proprio nome (Fall Of Hyperion,
ispirato a poesie di Keats), si mise insieme ai chitarristi Stephen
Stewart e Francis Lickerish, fondando appunto The Enid. Il gruppo - a
volte fu un quintetto, a volte un quartetto - sembrò avere fin
dall'inizio un futuro roseo: numerosi i suoi estimatori; primo tra tutti
Tony Stratton-Smith, proprietario della leggendaria label Charisma.
L'eccentrico
Godfrey ci tenne a sottolineare fin da subito che The Enid non era un
gruppo progressive, e tuttavia non si fece scrupoli di usare le riviste e le
fanzine dedicate a quel genere per fare pubblicità al suo progetto.
L'eco fu abbastanza grande; e immeritato, secondo noi. Non abbiamo
niente contro la musica strumentale (abbiamo già citato gli Ekseption),
ma siamo del parere che The Enid non aggiungano niente né al prog rock,
né tantomeno all'universo dei suoni in generale.
Di difficile classificazione il loro output. Avevamo letto che si tratta di "fusione tra rock e classica", ma secondo noi è solo neoclassica. In the Region of the Summer Stars,
album-debutto della band cosi tanto acclamato ("una grande
riscoperta!"... "cresce dopo ogni ascolto!"...), è stato ristampato con
l'aggiunta di ben sei tracks; ed è questa l'edizione in nostro possesso.
Il nostro responso: non cresce neppure di un iota! Ci abbiamo messo
tutta la buona volontà (incoraggiati da un amico che evidentemente
stravede per questa band), ma inutilmente. L'ascolto rimane
un'esperienza sciatta anche dopo la seconda e terza volta.
E al più tardi da questo momento abbiamo il sospetto di stare ascoltando musiche da film.
Un primo squarcio tra le nubi è "The Demon King", track vivace, rapsodica, con interessanti discordanze volute. Purtroppo, con il pezzo successivo - il sesto: "Pre-Dawn" -, si ricade in una New Age per sempliciotti. Fa paura, nonché rabbia, la presuntuosa grandesse di "Sunrise". E merita un discorso a parte "The Last Day", track n. 8. "The Last Day" inizia come una parodia del Bolero di Ravel che si trasforma poi in una parodia di Pierino e il lupo di Stravinsky e sfocia in una simil-sinfonia in pompa magna (God Save The Queen!) per, infine, gentilmente assottigliarsi in una sorta di Aprés-midi d'un faune. E' certamente tra le composizioni più varieggianti dell'album, ma non convince appunto per la sua natura meramente imitativa.
Al breve intermezzo "The Flood" segue "Under the Summer Stars", pastiche dove c'è proprio di tutto: dal flauto dolce alla chitarra acida, ma - ancora - con lo snervante effetto orchestrale in gran spolvero.
Senza un briciolo di fantasia compositoria la track 12: "Judgement". Che lascia però spazio al brano migliore in assoluto (insieme a "The Demon King"), ovvero a quel "In The Region Of The Summer Stars" che dà il titolo all'opus. Il secondo e ultimo raggio di sole che filtra da una cortina assai plumbea.
Al breve intermezzo "The Flood" segue "Under the Summer Stars", pastiche dove c'è proprio di tutto: dal flauto dolce alla chitarra acida, ma - ancora - con lo snervante effetto orchestrale in gran spolvero.
Senza un briciolo di fantasia compositoria la track 12: "Judgement". Che lascia però spazio al brano migliore in assoluto (insieme a "The Demon King"), ovvero a quel "In The Region Of The Summer Stars" che dà il titolo all'opus. Il secondo e ultimo raggio di sole che filtra da una cortina assai plumbea.
Facit: regalate questo album a chi si fa beffe dei mitici Ekseption e afferma che non fanno parte della grande famiglia del prog rock! Vedrete che si ricrederà.
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