Nel 1969 i Beatles si erano - de facto - già sciolti quando uscì Abbey Road, album dalla copertina mitica. Sul fronte non è indicato né il titolo dell'album né il nome del gruppo. È l'ultimo disco inciso in studio dai Fab Four e il lato A contiene brani celebri come "Come Together" di Lennon e "Something" di Harrison (quest'ultima tra le più note canzoni di George, insieme a "Here Comes the Sun"). C'è inoltre "Octopus's Garden", diRingo Starr.
L'album avrebbe dovuto intitolarsi Everest ma, a parte Paul, nessuno dei Beatles aveva voglia di fare un viaggio così lungo per una foto session. Così uscirono in strada e si fecero fotografare a due passi dallo studio di registrazione. Sulla Abbey Road, appunto.
Il 17 gennaio uscirà il nuovo album dei Sons Of Apollo, gruppo fondato dai due ex Dream TheaterMike Portnoy (batteria) e Derek Sherinian (tastiera).
Il titolo dell'album - con cui i Sons Of Apollo cercheranno di bissare il successo del loro debutto Psychotic Symphony - è assolutamente didascalico: MMXX (2020, appunto).
MMXX su Amazon
Anche gli altri membri della band (abbiamo a che fare con un autentico supergruppo) hanno referenze pazzescamente ineccepibili. Si tratta di Ron “Bumblefoot” Thal (è un ex Guns N’ Roses), Billy Sheehan (The Winery Dogs, Mr. Big, David Lee Roth) e Jeff Scott Soto (ex Journey ed ex Yngwie Malmsteen’s Rising Force).
Da non confondere ovviamente con il celebre gruppo italiano di progressive rock, questo The Trip, neoformato (e forse solo estemporaneo) quartetto jazz, ha appena "licenziato" un album eponimo.
L'ensemble è composta da:
Gianni Gagliardi - tenor saxophone Odd Albrigtsen - guitar Tim Thornton - bass Anders Thorén - drums
L'album è stato realizzato a ottobre sotto etichetta AMP Music & Records.
Il "trip" in questione si riferisce a un viaggio a Roma; un pellegrinaggio in qualche modo, in armonia con l'amore per il jazz e per la "cucina povera". Gianni Gagliardi, famoso sassofonista spagnolo, si trovava a Oslo per sostenere l'esame finale alla Royal Academy of Music. Il batterista (e produttore del disco) Anders Thorèn colse l'occasione al volo e invitò il chitarrista Odd Steinar Albrigtsen e il bassista britannico Tim Thornton. Il progetto è nato così. Un jazz moderno e molto melodico quello di The Trip. Bell'album. Del resto Topolàin consiglia sempre personalmente tutti i dischi in cui appare il nome di Gagliardi. Il sax player, nato a Barcellona e residente a Brooklyn, è garanzia di qualità ad alta gradazione di entertainment.
Dopo la morte di John Coltrane, la musica di Pharoah Sanders sembrò rallentare, divenire più riflessiva. Il sassofonista parve voler dare risalto alle singole note, enfatizzarle, virando spesso verso un minimalismo che piacque poco ai puristi.
L'album Pharoah (1977) vede nei credits i seguenti musicisti:
"Harvest Time", brano di 20 minuti, apre il disco.
Pharoah (vero nome: Farrell) Sanders suonò con Coltrane dal 1965 al 1967, ma anche con Don Cherry, Alice Coltrane, Benny Golson, Idris Muhammad, Norman Connors, Tisziji Muñoz, McCoy Tyner, Randy Weston. Sotto il proprio nome ha pubblicato oltre 30 album. Santana fu profondamente influenzato dal jazz spaziale, meditativo, di Sanders. Ciò è testimoniato soprattutto dai suoi album Caravanserai e Love Devotion Surrender.
Come nel caso della produzione di Archie Shepp, così anche la musica di Pharoah Sanders riflette gli impulsi, i rivolgimenti, le ideologie degli anni in cui essa è nata. Un album felice e "rivoluzionario" è Karma, del 1969, contenente il lungo track "The Creator Has A Master Plan".
Il sassofonista di jazz d'avanguardia Albert Ayler affermò: "Coltrane era il Padre, Pharoah il figlio, e io sono lo Spirito Santo." 1983: Heart Is A Melody (full album), un bel live con William Henderson ai tasti, John Heard al basso e Idris Muhammad alla batteria.
Marianne Ihlen fu musa ispiratrice di Leonard Cohen, ma aiutò anche altri poeti e scrittori a sviluppare la loro arte offrendo se stessa quale figura femminile ideale. Verrà ricordata naturalmente soprattutto per la sua relazione con il grande cantautore canadese, e a questo proposito è uscito recentemente il documentario Marianne & Leonard - Words of Love (qui il trailer), dove si parla di lei e dell'amore che la legò a Cohen.
Sul quale esiste una biografia in italiano (in formato eBook, Amazon) che Topolàin consiglia caldamente: Leonard Cohen ("Sincerely Yours...")
Cohen - (breve) biografia in italiano. Qui si pone l'accento soprattutto sul carattere "letterario" dell'arte del Nostro.
Tutta una vita
Marianne era appena adolescente quando conobbe Alex Jensen, aspirante scrittore, che avrebbe poi sposato contro il volere dei propri genitori. Alex e Marianne lasciarono la Norvegia per trasferirsi - nel 1958 - sull'isola greca di Hydra. Lì lui avrebbe scritto alcuni suoi romanzi e libri di poesia e lì sarebbe nato il loro unicogenito, Alex Junior.
L'uomo batteva sui tasti della macchina da scrivere mentre lei, sua "musa greca", gli sedeva ai piedi e, una volta al giorno, scendeva al villaggio per comprare le provviste.
Abitavano in una casa molto semplice, con il gabinetto all'esterno e praticamente sprovvista di elettricità, tanto che a sera dovevano accendere un paio di lampade a olio.
Fu Alex Jensen ad abbandonare la moglie e non viceversa. Jensen aveva conosciuto un'altra donna. Marianne, che ritornò sull'isoletta dopo un breve viaggio in Norvegia, si scoprì tradita e senza coniuge. Di lì a poco, fece la conoscenza di Leonard Cohen.
Era il 1960. Leonard, un garbato gentleman di origine ebrea, era arrivato a Hydra scappando dalla grigia Londra. Aveva l'intenzione di concentrarsi sulla stesione del suo primo romanzo. In patria, e non solo, era già acclamato per le sue sillogi poetiche, e nel refugium ellenico avrebbe dato la stura sia alla sua carriera da romanziere che a quella di cantautore. Due i suoi romanzi, ambedue eccezionali: The Favourite Game, uscito nel 1963, e Beautiful Losers, 1966.
Leonard e la dolce scandinava iniziarono la loro convivenza e lui l'accompagnò a Oslo, dove lei poté divorziare dall'inaffidabile Jensen. Nel corso degli anni successivi, Marianne fu la compagna dell'artista canadese. Il quale intanto decideva che la musica era un media ben più diretto della scrittura (e soprattutto più proficuo, nel caso di successo) e compose alcune canzoni (apparse nei suoi primi due album) ispirategli appunto da Marianne.
Vedi Songs of Leonard Cohen (1967) e Songs from a Room (1969). Sul retro della copertina di quest'ultimo c'è una celebre foto di Marianne avvolta in un asciugamano bianco, davanti alla macchina da scrivere di Cohen.
La loro era un'esistenza da bohémiens. Dormivano su un letto di ferro battuto e Cohen si metteva a scrivere ogni mattina fino all'ora di pranzo. Marianne faceva la casalinga, curava le piante di marijuana (ne usava le foglie per condire le polpette!) e portava a casa l'acqua che veniva consegnata su dorso d'asino. Non parlava bene l'inglese, ma la sua femminilità, accompagnata a una buona dose di pazienza, fecero di lei, nondimeno, la sua "dea".
Hydra, 1960. Cohen con la chitarra in mano nel gruppo di amici, altri expatriats come lui
A sera, quando stavano da soli sulla terrazza, Leonard suonava la chitarra e gli bastava che lei gli fosse vicino per trovare la stabilità e una sorta di routine, assolutamente necessaria per il processo creativo. (Per tacere del cibo assunto finalmente in maniera regolare.)
Ma lui non intendeva sposarsi e Marianne ovviamente si poneva domande sul futuro: pensava al proprio domani e a quello di Alex Junior. Nel frattempo, all'irrequieto Cohen l'isola di Hydra cominciava a stare stretta.
Lui le spiegò che gli sarebbe riuscito di scrivere meglio, in maniera ingegnosa, se viaggiava di più. Così se ne andò spesso: a Londra, negli Stati Uniti, in Canada... Naturalmente (e qui lo si può paragonare ad Alex Jensen, il cui dongiovannismo procedeva mano nella mano con un tenore di vita anticonformista), era attratto dalle donne, e le donne non rimanevano indifferenti al suo fascino ombroso. Persino su Hydra Leonard Cohen ebbe relazioni occasionali... in fondo si era negli Swinging Sixties e c'erano molte donne libere in giro per il mondo!
Nel 1964 dedicò a Marianne una delle sue raccolte di versi più celebri, Flowers for Hitler. Ma avere successo significava anche che doveva lasciare l'isoletta sempre più di frequente e Marianne, che sognava di formare con lui un'unione sicura, non era certo la persona più adatta per trattenerlo.
"I wanted many women, many kinds of experiences, many countries, many climates, many love affairs" spiegò Cohen più tardi, affermando che la sua vita era stata come un "buffet" da cui trarre esperienze (quasi fossero bocconcini prelibati). Il suo percorso cantautorale iniziò nel 1966 e da lì in poi niente più poté tenerlo ancorato a Hydra. Nonostante ciò, in periodi successivi si ritrovò a elogiare Marianne e il loro amore, e parlò della sua nostalgia per "the sunlight, the woman, the child, the table, the work, the gardenia...", nonché per il rispetto reciproco, per il piacere di stare insieme volendosi bene. "Che sono le cose che contano per davvero."
Le canzoni, dunque
Dalla finestra della sua semplice abitazione, Marianne vide una volta un uccello appollaiato su un palo del telefono appena piantato e disse a Cohen che le sembrava una nota musicale su una riga del pentagramma. Nacque la famosa "Bird on the Wire", il cui incipit è:
Like a bird on the wire,
Like a drunk in a midnight choir,
I have tried, in my way, to be free.
Anche "Hey, That’s No Way to Say Goodbye" è una canzone dedicata a Marianne; quasi una poesia in musica che fa capire quanto può essere importante l'amore. E che parla del senso duraturo della creatività che dall'amore può scaturire.
Autore e regista di Marianne and Leonard: Words of Love è Nick Broomfield, che fu l'amante di Marianne durante una delle lunghe interruzioni del rapporto di lei con Leonard. Nel 1968 Broomfield era ventenne e aveva appena terminato il suo primo anno all'università di Cardiff (dove studiava Giurisprudenza) quando scoprì a Hydra "this incredible community of artists and painters and a whole very wild attitude to life": insomma, un mondo nuovo per lui, una sorta di Big Sur trapiantata in "Old Europe", un cosmo alternativo pieno di personaggi eccentrici e colti. Marianne aveva tredici anni più di lui ed era madre di un bambino di otto. Come abbiamo visto, Alex Jensen e lei avevano avuto una relazione tempestosa e l'atteggiamento anticonvenzionalista di Alex serviva soprattutto all'uomo per allacciare contatti con le sue potenziali amanti. Il giovane Nick Bloomfield le fu di consolazione, in qualche modo...
Una recensione alquanto negativa del documentario di Broomfield su The Independent
La vita "aprés Leonard"
Marianne Ihlen approfondì il suo interesse per il buddismo tibetano e si diede alla pittura. A Oslo iniziò a lavorare nell'ufficio del personale di un'industria petrolifera, dove conobbe l'ingegnere Jan Stang. Nel 1979 i due convolarono a nozze e, con il permesso del suo secondo marito, Marianne (che diede al mondo altri tre figli) continuò a corrispondere con Leonard Cohen.
Poco prima di morire
Nel 2016 le fu diagnosticata la leucemia. Il suo amico Jan Christian Mollestad contattò Cohen per dirgli che la Ihlen stava perendo. E Leonard le scrisse una lettera che diceva:
Carissima Marianne,
io ti seguirò a breve, per prenderti per mano. Questo corpo vecchio si è arreso, proprio come il tuo, e l'avviso di sfratto dovrebbe avvenire da un giorno all'altro.
Non ho mai dimenticato la tua bellezza e il tuo amore. Ma lo sai già. E non debbo aggiungere altro. Buon viaggio, vecchia amica. Ci vediamo in fondo alla strada.
Ti amo, con gratitudine.
Il decesso di Marianne avvenne il 28 luglio 2016. Aveva 81 anni. Cohen si spense nello stesso anno, il 7 novembre, 82enne.
Video di So Long, Marianne contenente molte foto di lei e di Leonard
Un'altra donna che può essere considerata figura ispiratrice di Cohen: l'attrice Rebecca de Mornay
Nel 1969 veniva pubblicato Hot Rats, di Frank Zappa, con 5 tracce strumentali e una sesta - "Willie the Pimp" - che usufruiva dell'ugola di Captain Beefheart. "Un film per le orecchie", lo stesso Zappa descrisse quel suo secondo, leggendario album.
Mezzo secolo dopo, esce un altro "film", un film di e per Zappa, ma girato e interpretato da tre eccellenze jazzistiche di casa nostra: il pianista Massimiliano Fantolini, il bassista Mauro Giannaccini e, alla batteria, Jacopo Giusti (sì, quello degli Aliante!).
Un tributo al polistrumentista italo-americano, dunque, con un titolo che ricalca quello di Hot Rats... seppure solo due brani provengano da quell'album e gli altri siano stati tratti dalla rimanente - sconfinata! - discografia zappiana. I titoli in questione sono "Son of Mr. Green Genes" e "Little Umbrellas" (tema di Taxi Driver).
Di Giusti ricordiamo che già nel 2006 aveva suonato in un disco-tribute a Frank Zappa, (R)umori jazz, dei Fattore Zeta, dove, oltre ai due pezzi citati, ce n'era un altro da Hot Rats: "Peaches en Regalia". Esperienza poi ripetuta con il duo / in parte trio / degli Electric Bongo Fury (insieme a Nicol Franza - anche lui elemento dei Fattore Zeta - e a Fabrizio Brilli) a cui seguì addirittura la replica con gli stessi Fattore Zeta (Live in Zappanale 2008, registrazione di un concerto tenutosi a Bad Doberan in Germania, sede di quello che è forse il più importante festival mondiale dedicato esclusivamente al Nostro). Dunque, quasi tutta una vita artistica all'insegna di Zappa!
E, già che abbiamo parlato del drummer, ricordiamo in breve la bio e la posizione degli altri due componenti del combo: Fantolini è docente di Pianoforte Jazz presso la Scuola di Musica della Società Filarmonica Pisana, con cui ha prodotto diversi concerti, e ha suonato nell'acclamato duo Something New insieme al sassofonista Federico Pistelli (colonna portante dei Fattore Zeta!), nonché nella Laura Punto Band; ha inoltre numerose apparizioni dal vivo con svariati altri artisti. Inutile dirlo: pure lui fu un membro dei Fattore Zeta, che, più noi andiamo approfondendo, e più si rivela essere fucina e nel contempo refugium di numerosi talenti.
Dal canto suo, Giannaccini non è da meno a collaborazioni (non solo in ambito jazz). Anche lui fece parte dei Fattore Zeta - "A jazz tribute to the Music of Frank Zappa" -, che lo portarono a suonare in varie parti d'Italia. Dopo diverse altre collaborazioni e tanti concerti, nel 2016 si unisce a quello poi divenuto Trio Kadabra e inizia a incidere "A new project for the music of Frank Zappa".
Le 9 tracce di Hot Jatsappartengono tanto a Zappa quanto al Trio Kadabra. C'è un buon grado di riconoscibilità delle composizioni originali (vedi la punteggiatura del basso in "Blessed relief", o la melodia pianistica ad inizio di parecchi titoli). Jazz piacevole, dove lo schema è sempre presente e il motivo e gli accordi di fondo vengono rispettati, ma la macchina sonora confluisce, al momento giusto, in uno swing fatto di tensione e/o giocosità (come nella parte centrale di "How could I be such a fool"): "sviamento" voluto, che i musicisti risolvono con classe e raffinatezza.
Alcuni brani hanno un approccio più vicino alla canzone rock, con il beat di Giusti a indicare la direzione. Ma è quasi sempre magia jazzistica. Partendo dal pentagramma zappiano, i tre musicisti sfruttano la loro creatività e il momentaneo stato d’animo per creare sempre nuove soluzioni (anche tecniche) e ulteriori assoli.
E, come si addice al personaggio omaggiato (giustamente ritenuto un genio), quella di Hot Jats è musica non priva di ironia e autoironia. Brani quali "Dog breath variations" e "All blues - King Kong - Frame by frame") presentano parentesi poderose, energiche, mentre altri sembrano un approccio alla romanza che poi sfocia in estrosità. Sempre sotto l'insegna di Frank, ovvio. In maniera ribelle e irriverente, indolente e attenta.
Strutture di cemento che d'un tratto si librano sopra le nostre teste...
Nessuno, ovviamente, ha necessità di chiedersi perché proprio Zappa. Semmai, abbiamo difficoltà ad esprimere ciò che questo immenso artista significa per noi che lo amiamo. Così dobbiamo mutuare le parole di uno scrittore, uno dei tanti che gli hanno dedicato una biografia:
"Zappa ti cambia la vita anche da morto. Perché la sua musica morire non può e la fai vivere tu, che te la porti dentro prima ancora di saperlo. Quando finalmente la scopri, lo senti, capisci che suona per te, parla con te".
(Massimo Del Papa: Zappa en Regalia - Vita complicata di un genio)
Il nostro brano preferito da Hot Jats: "Eat that question - Inca roads".
“Jazz isn't dead. It just smells funny.” (Frank Zappa, 1974)
L'album si chiama QuasAr e il quintetto che lo ha prodotto porta un nome un po' curioso, che forse per questo intriga: Aldi Dallo Spazio.
Cinque sono le tracce, come - appunto - i componenti del gruppo. I quali rispondono ai nomi di:
Dario Federici(vocals, keyboards) Simone Sgarzi (guitars) Davide Mosca, ex Witchwood (guitars) Marco Braschi (bass) Lorenzo Guardigli(drums)
QuasAr (autoproduzione ripresa dalla Jolly Roger Records, che l'ha remixata e ristampata in vinile, CD e digitale), si può ascoltare anche su ProgStreaming. Se volete gradire... L'ascolto in streaming è un ottimo input per incontrare la natura sonora degli Aldi Dallo Spazio.
L'opera (che rappresenta il loro debutto) è presente su Spotify, su Bandcamp, su Amazon e su tutti i siti dedicati al merchandising della musica. La label ha fatto davvero un buon lavoro. E la band, del resto, merita.
Gli ADS sono tra l'altro molto attivi dal vivo, come si può vedere anche sul loro sito Facebook.
Buon viaggio quindi - attraverso la storia del rock e attraverso il cosmo - con... !
A proposito. Volete sapere il significato di "Aldi"? Non ha nulla a che vedere con il nome comune di persona né con una nota catena di supermercati tedeschi, ma è l'acronimo di 'Awesome Lysergic Dream Innovation'. Ciò già la dice lunga sul tipo di musica del quintetto ravennate!
Che a noi, più che PFM, Yes e Genesis, ricorda gli Hawkwind.
Oggi (che è domenica e dunque… Jazz time!) vi presentiamo un suonatore di tromba / cornettista noto... ma non troppo: Nat Adderley, fratello del sassofonista Julian "Cannonball" Adderley e per molto tempo rimasto entro il cono d'ombra di questi.
Nat Adderley
Chi conosce la sua "Work Song" sa che si tratta non solo di un musicista ma anche di un compositore in gamba. "Work Song" è un "classico" del jazz moderno, uno standard, arrivato persino a entrare nella hit parade dopo che il cantante Oscar Brown Jr. vi ricamò su un testo.
Nato e morto in Florida (al contrario del fratello, che perì a soli 46 anni lontano da casa, nell'Indiana), Nat suonò, ancora ragazzo e sempre insieme a Cannonball, con Ray Charles (anche lui un prodotto della Florida), in quel di Tallahassee. La sua aspirazione - mai sopita - era quella di insegnare, ma il fascino delle esibizioni live non lo abbandonava mai e così disse di sì a Lionel Hampton quando questi lo invitò a far parte della sua ensemble. Qualche tempo dopo, pare più per caso che altro, arrivò ad esibirsi insieme al fratello in un locale del Greenwich Village (Café Bohemia) e da quella sera per entrambi iniziarono a fioccare le offerte di lavoro.
I fratelli Adderley nel 1966
New York City (dove Nat avrebbe occupato un appartamento ad Harlem, sulla 112th Street) vide nel 1956 la nascita del Cannonball Adderley Quintet. Ma già nel 1957 il gruppo si sciolse, per palese mancanza di interesse da parte del pubblico. Nat passò allora a collaborare con il suonatore di trombone J.J. Johnson (pioniere del bebop) ed entrò quindi nel sestetto di Woody Herman (clarinettista, sassofonista e cantante bianco). Intanto Julian, alias Cannonball, diventava celebre suonando in un altro - oggi ritenuto ben più prestigioso - sestetto: quello di Miles David, dove, insieme a John Coltrane, partecipò alla creazione del leggendario Kind of Blue.
Al Cannonball Adderley Quintet venne data un'altra chance e il vento stavolta girò a favore della formazione cui entrambi i fratelli Adderley credevano fortemente. Presto arrivò il primo hit: "This Here", brano composto dal loro pianista, Bobby Timmons (sì, lo stesso Bobby Timmons degli Art Blakey's Jazz Messengers).
Questo entusiasmante concerto del Cannonball Adderley Quintet (San Francisco, 1959) inizia con una versione di "This Here"
Il Cannonball Adderley Quintet viene considerato tra gli iniziatori del soul jazz. Ma rimase devoto soprattutto all'hard bop. Essendo che tutti i componenti provenivano appunto dal bebop, intendevano continuare a misurarsi nei virtuosismi richiesti da quel genere.
Negli Anni '60 Nat passò alla cornetta, divenne compositore tout court e agì anche da manager per il quintetto. Fu lui a scrivere alcune tra le canzoni più famose della band, a iniziare da "Work Song" per continuare con "Jive Samba", "Hummin'", "Sermonette" e "The Old Country".
Intanto, registrava anche con altri: Kenny Clarke, Wes Montgomery, Walter Brooker... New York pullulava di occasioni!
Nel film A Man Called Adam (1966), interpretato da Sammy Davis Junior nel ruolo di un trombettista, Nat Adderley prestò all'attore la voce della propria tromba.
Tra gli altri suoi progetti occorre segnalare un musical che iniziò a scrivere insieme al fratello, Shout Up a Morning, basato sulle "gesta" dell'eroe popolare John Henry (un uomo che scavava buchi nella roccia affinché vi si infilasse dell'esplosivo, utile nella costruzione delle gallerie ferroviarie; una leggenda americana che sembra quasi essere uscita dal cosmo bolscevico...). Il lavoro al musical si interruppe per la morte di Cannonball (Julian Cannonball Adderley venne stroncato da un ictus).
Il tragico evento segnò ovviamente la fine del Cannonball Adderley Quintet. Nat partì di lì a poco per un tour europeo, durante il quale il nome più di spicco sul cartellone era il suo. Poi venne la volta del Giappone. Ritornò negli U.S.A., dove tenne dei corsi ad Harvard e registrò con il suo proprio quintetto, che includeva Walter Brooker (lo abbiamo incontrato poche righe piu su), Jimmy Cobb e Vincent Herring: nomi tutt'altro che sconosciuti ai cultori del jazz.
Lavorò inoltre con Ron Carter, Sonny Fortune, Johnny Griffin e Antonio Hart.
Creò quindi l'Adderley Brotherhood, sestetto composto da membri che avevano già suonato nel Cannonball Adderley Quintett. Sempre in omaggio al consanguineo. (Leggi anche: "Nat Adderley: Brotherly Swing", articolo in inglese.)
Ora Nat aveva definitivamente un nome per sé, era uscito dall'ombra gettata dal fratello maggiore. Nondimeno, voleva continuarne il percorso artistico. L'Adderley Brotherhood andò in tournée in Europa (1980). E il musical Shout Up a Morning venne rappresentato in varie località degli Stati Uniti.
Nat Adderley continuò ad apparire in diverse altre formazioni, tra cui la Paris Reunion Band, e fu peraltro colonna portante della Riverside Reunion Band, gruppo bop che si era formato nel 1993 al Monterey Jazz Festival e che girò per il Vecchio Continente nel 1994.
Nat aveva nel frattempo preso l'abitudine di andare in tournée per sei mesi all'anno e, per i restanti sei mesi, rimanere nella propria casa di Lakeland, in Florida (casa acquistata dopo che negli Anni Settanta aveva abitato nel New Jersey). Nel 1997 fu "artist-in-residence" al Florida Southern College, dove tra l'altro aiutò l'organizzazione del Child of the Sun Jazz Festival a trovare fondi. Il festival si svolgeva annualmente nella stessa università e vedeva Nat spesso protagonista.
Sempre nel 1997, il suo nome fu inserito nella Jazz Hall of Fame di Kansas City.
Morì a 68 anni per un diabete e venne sepolto accanto al fratello nel cimitero di Tallahassee.
Nat nel 1969
Lo si ricorderà in eterno come uno dei musicisti jazz più prolifici (è presente in oltre 100 album) e come un pioniere del soul jazz. Dimostrò inoltre che la cornetta può essere utilizzata anche nel jazz moderno.