Giugno 2010. A tanti non sembra vero ma sui media rimbalza la notizia che la Chiesa Romana ha deciso di "perdonare" The Blues Brothers. Cosa...? Come...? Eh, già: ci mise un bel po' il Vaticano a capire quanto di buono e di "cattolico" è contenuto nella celebre commedia d'azione (e di musica!) diretta da John Landis. Il nostro blog, allora ospitato da un'altra piattaforma, riportava:
>> La "riabilitazione" arriva solo adesso attraverso le pagine de L'Osservatore Romano... a 30 anni di distanza da quel 16 giugno 1980 in cui il film debuttava nelle sale cinematografiche.
L'organo ufficiale del Vaticano è andato alla ricerca di prove della "cattolicità" della pellicola, e così scrive: "...gli indizi" (quantomeno gli indizi) "non mancano in un'opera dove i dettagli non sono certo casuali. A iniziare dalla foto incorniciata di un giovane e forte Giovanni Paolo II nella casa dell'affittacamere - dall'accento siciliano e vestita di nero, dunque cattolica - di Lou 'Blue' Marini. [...] A fianco dei piccoli e della Pinguina (la madre superiora dell'orfanotrofio), i fratelli Blues sono capaci di toccanti attenzioni: così Elwood non si dimentica di una terribile crema al formaggio commissionatagli da un anziano amico. E nulla antepongono - Elwood, il più galante, rinuncia persino all'avventura con una fascinosa signorina - alla missione per conto di Dio".
Amen. E ora torna a mettere su quel disco di blues! <<
"It's 106 miles to Chicago. We've got a full tank of gas, half a pack of cigarettes, it's dark, and we're wearing sunglasses."
"Hit it!"
"Ci sono 126 miglia da qui a Chicago. Abbiamo il serbatoio pieno, mezzo pacchetto di sigarette, è buio e portiamo tutt'e due occhiali scuri."
Tutto inizia con Jake Blues (John Belushi, R.I.P.) che esce di prigione. Ad attenderlo c'è suo fratello Elwood (Dan Aykroyd), venuto a prenderlo con la "Blues-mobile" (una macchina di polizia, una Dodge Monaco del '74, riciclata)... E noi assistiamo al primo dei dialoghi divertenti del film, tutti divenuti molto noti.
- Che è questa? - chiede Jake. - Questa che? - Quest’auto. Che cavolo significa? Dov'è la Cadillac? La Cadi! Dov’è la Cadi? - La che? - La Cadillac che avevamo una volta: la Blues-mobile! - Ah, l’ho cambiata. - Hai cambiato la Blues-mobile con questa ?! - No, con un microfono. - Con un microfono ?!? - (Pausa di riflessione.) - Va bene, hai fatto bene.
I fratelli Blues indossano vestiti neri, cravatte e cappelli neri, occhiali neri, e hanno i propri nomi scritti a biro sulle dita delle mani. Presto, si trovano impegnati in una "missione": trovare cinquemila dollari per pagare le tasse dell’orfanotrofio in cui sono cresciuti e salvare così il vecchio e caro istituto dalla chiusura coatta. Per riuscirci, dovranno rimettere in piedi la loro vecchia blues band, composta da musicisti che nel frattempo si sono inventati altre occupazioni e che non hanno la minima voglia di rimettersi in gioco. Ma c’è una "missione per conto di Dio" nel mezzo, e il gruppo in qualche modo risorge. Tra un'esibizione e l'altra, con turme di poliziotti, una falange di neonazisti e un’ex fidanzata eternamente alle calcagna di Jake, i fratelli Blues passano da epici inseguimenti a cataclismi vari, ma si rialzano sempre spolverando i loro vestiti neri come niente fosse.
Celebrando John Belushi post mortem: The Blues Brothers sul palco con Dan Ackroyd, Jim Belushi e John Goodman. R.I.P. brother Jake!
John Belushi e Dan Aykroyd rimasero fedeli al gruppo musicale e, oltre a partecipare a una serie di incisioni (la musica della Blues Brothers Band, che consiste in appassionate cover di brani soul e rythm'n'blues, vende ancora tanto...), insieme a Lou Marini, Matt Murphy, Tom Malone, Donald Dunn ecc. andarono in tournée. Ma la formazione capitanata da Belushi & Aykroyd esisteva prima del film, come testimonia questo video girato il 31 dicembre 1978 a San Francisco (concerto intero!).
I fans di Ray Charles e Sam Cooke possono pure contestargli di essere lui il vero re del soul, ma fatto sta che con Brown nel 2006 scomparve una figura leggendaria, che seppe trasformare il gospel in rhythm'n'blues e creare un genere del tutto originale, il funk, fatto di ritmi incalzanti. Con la sua fisicità dirompente, l'improbabile acconciatura, gli occhi truccati e gli stavaganti costumi da palcoscenico, James Brown influenzò rock stars del calibro di Mick Jagger, Iggy Pop, Michael Jackson e Prince. Indiscusso anche il suo influsso sul rap. "E' stato James ha tracciare la strada" riconosce il rapper Chuck D dei Public Enemy.
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Nato da una famiglia poverissima della Carolina del Sud nel 1933, a sei anni viveva in un bordello ad Augusta, Georgia, e per pagarsi l'affitto lavorava come lustrascarpe e nelle piantagioni di cotone. A otto anni provava a rubare la sua prima macchina e finiva in un riformatorio. E' qui che avviene la sua svolta: conosce Bobby Byrd, leader di un gruppo di gospel. Nel 1952 fonda la sua prima band: The Flames. E' del 1956 "Please, Please, Please", primo hit mondiale scritto da lui stesso, e nel 1961 esegue all'Apollo Theatre di Harlem, tempio della musica nera, canzoni come "I Got You (I Feel Good)" e "Get Up (I Feel Like Being A Sex Machine)". L'album che fu ricavato da quello storico concerto è un culto intramontabile.
Il giorno dell'assassinio di Martin Luther King tiene una performance teletrasmessa in cui invita alla calma la popolazione di colore. Il presidente Lyndon Johnson lo ringrazierà per questo. Capace di suonare 350 serate all'anno, James Brown si trasforma, con la ricchezza, in un esempio di "capitalismo nero", ancor prima che il termine fosse inventato; apre ristoranti e negozi ed esorta i neri a vivere il Sogno Americano. Negli Anni Ottanta diviene anche un volto cinematografico, interpretando il ruolo del predicatore nel film Blues Brothers di John Landis e cantando una delle sue canzoni più note - "Living in America" - in Rocky IV. Avrà ancora diversi guai con la giustizia per detenzione di armi, possesso di droghe e aggressione a pubblico ufficiale, ma niente e nessuno può più scalzarlo dal piedistallo. "Say It Out Loud - I'm Black and I'm Proud", brano del 1968, è un punto fermo dell'orgoglio afroamericano. Accanto alla musica, infatti, James Brown ha svolto un ruolo importante nelle battaglie contro la discriminazione razziale. "Quella canzone" ha ricordato l'artista in un'intervista del 2003 "ha mostrato al pubblico dell'epoca che anche la musica poteva cambiare la società." Nel 1992 riceve il premio Grammy alla carriera, dopo che già nel 1965 gliene era stato assegnato uno per "Papa Got A Brand New Bag" e un altro nel 1987 per "Living in America". Nel 1986 è stato inserito nella Rock and Roll Hall of Fame insieme con Presley, Chuck Berry e altri padri fondatori del genere.
Il leggendario "padrino del soul" morì poco dopo lo scoccare della mezzanotte del 25 dicembre 2006 nell'Emory Crawford Long Hospital di Atlanta, dove era stato ricoverato per un'acuta forma di polmonite. Per la settimana successiva erano fissati altri suoi concerti...
Someone and someone were down by the pond Looking for something to plant in the lawn. Out in the fields they were turning the soil I'm sitting here hoping this water will boil When I look through the windows and out on the road They're bringing me presents and saying hello.
Singing words, words between the lines of age. Words, words between the lines of age.
If I was a junkman selling you cars, Washing your windows and shining your stars, Thinking your mind was my own in a dream What would you wonder and how would it seem? Living in castles a bit at a time The King started laughing and talking in rhyme.
Singing words, words between the lines of age. Words, words between the lines of age.
Nel 1996 Steve Hackett decide di dedicare un album al gruppo che lo aveva lanciato e che lui aveva abbandonato vent'anni prima. Genesis Revisited presenta undici titoli della band, tra i quali "Watcher Of The Skies", "I Know What I Like", "Firth Of Fifth" e "Your Own Special Way". I suoi collaboratori sono il bassista e cantante John Wetton (King Crimson, Asia), il bassista Tony Levin, il batterista degli Yes Bill Bruford, l'ex batterista dei Genesis Chester Thompson, il co-fondatore dei King Crimson e dei Foreigner Ian McDonald, il cantante degli Squeeze e di Mike And The Mechanics Paul Carrack e il cantante degli Zombies Colin Blunstone. Ne esce fuori un prodotto che suscita reazioni controverse. E' proprio una "rivisitazione": mentre brani come "Fountain Of Salmacis" e "For Absent Friends" acquistano nuovo splendore, altri soffrono per il sovraccaricamento di effetti sonori (riverberi, voci distorte e altro). L'ascolto in generale è comunque buono, soprattutto se si dimenticano i Genesis "progress" e si considera l'album un divertissement esclusivo di Steve Hackett. Interessante il ripescaggio di "Valley Of The Kings" (composizione strumentale di Hackett, non-genesiana) e di "Deja Vu", un'incompiuta di Peter Gabriel dei tempi di Selling England By The Pound, portata a termine dal chitarrista e qui cantata da Paul Carrack.
Ritornando alla storia dei Nostri...
Dopo la misticheggiante critica sociale di The Lamb..., in A Trick Of The Tail (1976) si assiste al tentativo di ritorno ad oscure leggende, con tanto di spiriti e diavoletti; e all'exploit di Collins in veste di cantante tout court. La canzone più interessante, almeno per i biografi del gruppo, è quello che dà il titolo all'album. "A Trick Of The Tail" è stata scritta da Tony Banks ed è palesemente dedicata all'accolito dileguatosi.
"Stanco della vita nella città d'oro se n'è partito senza dire nulla a nessuno.
È tornato all'ombra delle torri della sua gioventù, tutto solo con il sogno di tutta una vita.
(...)
Tutti gli altri gli apparivano strani. 'Non hanno né le corna né una coda e ignorano la nostra esistenza. Sbaglio a credere in una città tutta d'oro?' si chiede piangendo."
Nonostante l'assenza di Peter Gabriel, A Trick Of The Tail è un album accettabile, che segna il ritorno al prog più genuino, quello "onirico", di fattura pioneristica. Contiene alcune deliziose ballate.
Wind & Wuthering (1977) Da Wind & Wuthering in poi i testi diventano più straight, più convenzionali. O cercano di esserlo. Beh, certo, senza il poeta Gabriel a dare l'input visionario...! E' cambiato qualcosa anche nella distribuzione dei credits. Già in Trick Of The Tail i singoli brani non erano più firmati dall'intero sodalizio, ma da chi li aveva scritti. Lo stesso si ripete qui, e di nuovo si mette in luce Tony Banks per la sua abilità compositoria. La seconda e terza track ("One For The Vine" e "Your Own Special Way") sono molto orecchiabili. Specialmente quest'ultima ha armonie poppeggianti; si tratta di un tipico brano à la Collins per intenderci, anche se il booklet indica Mike Rutherford come autore.
Seconds Out del '77 è il loro primo live doppio e registra la presenza dei batteristi "da tour" Bill Bruford e Chester Thompson (Phil non poteva sempre cantare mentre stava ai drums). Molto intrigante, anche se non racchiude esattamente il meglio del repertorio genesiano.
Se ne va pure Steve Hackett... ...And Then There Were Three (1978). Un album che, di nuovo, contiene alcune tracks di facile ascolto ("Follow You Follow Me", "The Lady Lies", "Many Too Many"...), ma è "intenso", "sentito" come A Trick Of The Tail. I testi sono sempre più accessibili, alquanto "discorsivi", e ogni singolo brano è firmato dal trio superstite. Ufficialmente, la dipartita di Hackett sembra essere avvenuta senza alcuna polemica, ma è significativo che Collins, Banks e Rutherford gli dedichino didascalicamente il titolo del disco. Ancora più significativa è la canzone d'apertura, "Down And Out", dove il protagonista sottolinea:
"Voi ed io sapevamo bene che non poteva continuare per sempre. Perciò devo dirvi, seppure con rammarico: d'ora in poi, sappiate, dovete cercare di farcela da soli."
Come il precedente album, anche ...And Then There Were Three comincia con un pezzo furioso (almeno per i livelli genesiani) subito seguito da una ballata orecchiabile.
Duke (1980) Phil Collins prende in mano le redini e ciò segna l'inizio del declino dei Genesis. Phil proviene dal jazz e ama le improvvisazioni (afferma di ammirare i Weather Report) e inoltre, essendo batterista, viene enfatizzato il ritmo ("Behind The Lines", "Duchess"); ma non mancano le canzoni melodiche decisamente lineari e quindi di facile ascolto: "Misunderstanding" e "Alone Tonight", per citarne due, potrebbero benissimo trovar posto in un album di Collins (che in quel periodo stava preparando il proprio debutto Face Value). "Duke's Travels" e "Duke's End" sono ottimi pezzi strumentali, ma è evidente che i "nuovi" Genesis aspirano a essere "radio friendly". E difatti... Dell'album in questione si salverebbero, oltre a "Duke's Travels" e "Duke's End", i lenti "Heathaze" e "Please Don't Ask", se non fosse che, dopo l'inizio promettente, ambedue scivolano nella melliflua ripetitività tipica di quell'incantatore-di-cuori -semplici che è Collins. In realtà, lui il jazz-rock vero lo pratica con i Brand X, suo side-project... Nel suo desiderio di non ripetersi, la band va verso l'autodistruzione, anche se non ne è ancora cosciente.
Abacab (1981) I Genesis proseguono sulla via imboccata con Duke, affidandosi alla drum machine molto più che alla batteria di Collins. Sebbene ci ritroviamo a migliaia di miglia dalle atmosfere di Selling England (Allan Jones scriverà sul prestigioso Melody Maker: "I Genesis, questi rappresentanti in via di estinzione del rock più sfarzoso"), Abacab può ritenersi un prodotto accattivante; soprattutto nell'ottica di quella che era la musica in quel primo scorcio degli Anni Ottanta. Ma i Genesis non assomigliano più a se stessi. Come in Duke, anche in quest'album sono contenute songs che potrebbero essere di proprietà esclusiva di Phil Collins. C'è da annotare che Abacab fu il primo album che la band registrò in proprio, ovvero negli studi di The Farm (Surrey). E, per la prima volta, I Genesis si servono di musicisti da session: la sezione di fiati degli Earth, Wind and Fire in "No Reply At All". (Gli Earth, Wind and Fire appariranno anche nell'album solista di Collins Face Value). Proprio "No Reply At All" è un pezzo A&R, e dunque lontano dagli standard progressivi, e da qui certamente il successo di vendite del single. Per fortuna, il resto del disco gira in maniera più intelligente, a dispetto dell'uso spropositato della drum machine. Ascoltare, per credere, "Abacab", "Keep It Dark", "Dodo/Lurker" e "Another Record"; e, con qualche riserva, "Like It Or Not". L'unica track che decisamente delude è "Who Dunnit?", una filastrocca distorta dall'elettronica; qualcuno pensò insensatamente di inserirla nell'album al posto della migliore - e di gran lunga - "Paperlate"...
Three Sides Live (1982) Una collezione di pezzi tra i più popolari del gruppo, tutti eseguiti in concerto, e contenente tra le altre cose un'appagante versione di "Abacab". Nell'edizione americana, alle tre facciate live ne è stata aggiunta una quarta di registrazioni in studio che comprende la fantomatica "Me & Virgil". Le performance dei Genesis avvengono davanti a un'ormai folta audience. Tuttavia, Three Sides Live fa rimpiangere la magia del precedente live Seconds Out.
Genesis (1983) Sull'onda del successo di Abacab, i Genesis producono un album omonimo che li catapulta definitivamente nelle liste dei bestseller. Assurdamente ma non troppo, dell'èra "collinsiana" è questo il disco dei Genesis che io personalmente preferisco, in quanto contiene non solo smash hits come "Mama" e "That's All", ma anche brani a tratti rockeggianti ("Just A Job To Do", "Home By The Sea"). Niente evita comunque che, a causa di quella "spontaneità" fortemente voluta da Collins, siamo usciti definitivamente dalle sfere del progressive.
Invisible Touch (1986) Buon disco pop, con belle canzoni (soprattutto le prime quattro) che a suo tempo ebbero un vasto airing e che ancora oggi vengono a tratti riproposte da emittenti mainstream. Non che i testi siano poco interessanti: anzi. "Land Of Confusion", ad esempio, si può definire a tutti gli effetti una canzone di protesta. Ma, musicalmente, siamo ai livelli di MTV.
Seguirono We Can't Dance (1991), la compilation The Way We Walk: The Shorts/The Longs (1992/93) e, col bravo Ray Wilson a sostituire come vocalist il dipartito Collins, Calling All Stations (1997). Abbiamo definitivamente a che fare con un gruppo pop, lontanissimo dagli standard del prog. Nonostante una promotion senza precedenti, Calling... non fece riscontrare l'interesse sperato, tanto che dovette essere cancellato il progettato tour negli States. Quest'album segna la fine (solo virtuale?) dei Genesis.
Assurdamente, per ascoltare i veri Genesis, da anni ci si deve affidare alle cover band: Supper's Ready (altoatesini), Nursery Cryme (trentini), Musical Box (di Montreal, Canada)... Tutti cloni eccellenti del gruppo.
The Lamb... ci offre più un rock spontaneo, improvvisato, che eleganti intarsi sonori. Tony Smith, manager dei Genesis fin da Selling England By The Pound, ovvero fin da quando Tony Stratton-Smith decise di dedicarsi solo ed esclusivamente alla sua Charisma Label Records, aveva proposto come nuovo progetto un riadattamento in chiave moderna de Il piccolo principe, il celebre libro di Antoine de Saint-Exupéry. Ma Peter Gabriel replicò che aveva già in cantiere un'idea sua.
Dalla grande massa di materiale che i Genesis produssero risultò un doppio album concept. Sulle sue quattro facciate, The Lamb Lies Down On Broadway racconta l'epopea del puertoricano Rael, prototipo di quei punker che di lì a poco avrebbero riempito le strade di New York (dove la storia è ambientata) e delle altre metropoli del mondo. E' una rock-opera piena di situazioni oniriche e delle immagini distorte di una realtà a brandelli. In quel periodo, Peter stava attraversando una crisi personale; inoltre coglieva i cambiamenti che avvenivano intorno a lui: come un precog, "sapeva" che presto il nostro pianeta non sarebbe stato più lo stesso. Così, le (dis)avventure del suo Rael sono distanti anni-luce da Ermafrodito, da Romeo e Giulietta e dagli altri archetipi con cui finora i Genesis avevano viziato i loro fans. (Frammenti di questa precognizione sono comunque presenti anche negli album precedenti.)
Durante la campagna promozionale per The Lamb Lies Down On Broadway, a Cleveland, nel 1974, Peter Gabriel fece scoppiare la bomba: comunicò a Tony Smith che dopo la tournée avrebbe abbandonato il gruppo. La decisione in realtà era stata presa già prima, ed era nota sia agli altri componenti dei Genesis sia al "patron" Stratton-Smith. Quest'ultimo pregò il cantante di rimanere almeno fino alla conclusione del tour; e così fu.
I motivi dell'abbandono di Peter vennero spiegati da lui stesso in una lettera ai media. Paura di rimanere prigioniero del grande macchinario commerciale; di smarrire la libertà artistica se rimaneva insieme a una band che ormai era condannata al successo... Ma c'erano altre, più profonde e intime, ragioni. La relazione tra lui e sua moglie Jill era entrata in una fase delicata. Jill aveva dapprima avuto un tête-à-tête con un roadie dei Genesis ("un patetico tentativo per ottenere più attenzioni", avrebbe spiegato dopo) e ora stava avendo un parto complicato. Per lavorare a The Lamb..., i cinque musicisti avevano scelto di recludersi a Headley Grange, una casa di campagna che apparteneva ai Led Zeppelin e che veniva usata anche da altre band. La trovarono devastata e occupata dai ratti. Nel tentativo di salvare il suo matrimonio, Peter propose agli altri di pensare loro alla musica: lui avrebbe continuato a lavorare sui testi stando a casa propria. Non era però l'unico a mostrarsi insofferente per una vita tipo college o caserma, con pasti consumati alla buona, i materassi buttati a terra, ecc.: anche Steve Hackett, che aveva appena alle spalle il suo primo divorzio, penava maledettamente. ma se non altro Steve rimase nel collettivo. E il risultato fu eccezionale... pur se non precisamente per merito suo.
Dalle numerose jam sessions nacquero "The Waiting Room" e "Silent Sorrow In Empty Boats": improvvisazioni intramontabili. "Fly On A Windshield", "Ravine" e "Hairless Heart" sono altri brani che risultarono da sperimentazioni strumentali in quel di Headley Grange. La parte musicale fu presto pronta. Non poca frustrazione fu causata dal fatto che Peter tardava a concludere i suoi famosi testi, e così Tony Banks e Mike Rutherford insistettero per dargli una mano.
All'uscita dell'album, le prime reazioni furono di puro sconcerto. Lo stato di cult "L'Agnello" lo avrebbe raggiunto solamente quando i tempi fossero stati più maturi. Il disco possiede una continuità tematica, ma molte songs possono benissimo ascoltarsi singolarmente: "In The Cage", "The Lamia", "Carpet Crawlers", "Back In NYC", "The Light Dies Down On Broadway" e "Lilywhite Lilith" sono gli esempi migliori. C'è maggiore impulsività e maggiore naturalezza rispetto ai lavori precedenti, cosa che piacque molto al pubblico americano. Sull'altro piatto della bilancia pesano l'ermetismo del concetto di Gabriel (la storia di Rael è spiegata sulla copertina, per aiutarne meglio la comprensione) e la mancanza di entusiasmo, sia in fase compositiva che in fase esecutiva, fatta registrare da Hackett. In molti scorci dell'album, i Genesis sembrano essersi ridotti a un trio: Banks-Collins-Rutherford. Cosa che del resto accadrà per davvero di lì a poco...
Ma chi è Rael? E' un individuo che può solo fuggire oppure arrendersi. Si tratta, chiaramente, dell'alter ego di Peter Gabriel. Il quale, nella sua canzone "Solsbury Hill", che parla della sua dipartita dai Genesis, riepilogherà:
I was feeling part of the scenery I walked right out of the machinery.
Il doppio album The Lamb rappresenta una sorta di auto-psicanalisi. Gabriel ne scrisse le lyrics nel momento più kafkiano della sua vita, quando sentiva di aver raggiunto un bivio pericoloso nella sua carriera di rockstar. Ma che i testi parlassero di se stesso - come disse in un'intervista rilasciata ad Armando Gallo - se ne rese conto soltanto mentre li cantava per la prima volta davanti a un pubblico. In "Cuckoo Cocoon" c'è questo verso: "I feel so secure that I know this can't be real". Un conclamato segno di schizofrenia. Peter si trovava veramente a una svolta delicata, come riflettono anche le parole "cushioned strait-jacket" ("camicia di forza imbottita") di "In The Cage".
***
Roger Waters dei Pink Floyd avrebbe realizzato The Wall, la sua propria rock-opera sull'alienazione, non prima di cinque anni più tardi. Anche The Wall è un doppio, e anche quel disco segnò l'inizio di un distacco che avrebbe avuto sulla band notevoli ripercussioni...
Tracks:
Disc 1
1. The Lamb Lies Down On Broadway 2. Fly On A Windshield 3. Broadway Melody Of 1974 4. Cuckoo Cocoon 5. In The Cage 6. The Grand Parade Of Lifeless Packaging 7. Back In N.Y.C. 8. Hairless Heart 9. Counting Out Time 10. Carpet Crawlers 11. The Chamber Of 32 Doors
Disc 2
1. Lilywhite Lilith 2. The Waiting Room 3. Anyway 4. Here Comes The Supernatural Anaesthetist 5. The Lamia 6. Silent Sorrow In Empty Boats 7. The Colony Of Slippermen (The Arrival/A Visit To The Doktor/Raven) 8. Ravine 9. The Light Dies Down On Broadway 10. Riding The Scree 11. In The Rapids 12. It
All'indomani del primo disco dal vivo - Genesis Live -, firmato dal gruppo nel 1973, esce Selling England By The Pound.
"Sublime" è l'aggettivo che salta in mente a proposito di quest'opera. I Genesis dimostrarono di saper mettere in 53 minuti tanta più musica meravigliosa di quanta non riuscirono a crearne molti loro colleghi nel corso dell'intera carriera. L'album ha un suono meno opaco, più cristallino di Foxtrot: merito della migliorata tecnica di registrazione. La Charisma aveva rinnovato la sua fiducia a John Burns, già responsabile della produzione di Foxtrot - dopo che John Anthony era stato licenziato a causa degli alti costi del singolo "Happy The Man".
Banks
I testi sono persino più smaliziati di quelli dell'album precedente, e carichi di allusioni e sottintesi comprensibili solo ai britannici; si rifanno (una volta di più) sia alle notizie di cronaca che alla letteratura. Per fortuna di noi italiani, Armando Gallo traspose il tutto nella nostra lingua, contribuendo così a farceli comprendere (e probabilmente anche a far vendere di più l'album in Italia).
L'ispirazione di Gabriel prende le mosse dalla nativa Inghilterra, condannata pesantemente già fin nel titolo; "Selling England By The Pound" era lo slogan elettorale del Partito Laburista. Il patchwork di dramma psicologico e cronaca sociale (condito da un sottile sarcasmo) è legato ad arrangiamenti che cercano il loro pari: la chitarra simil-violino di Steve Hackett in "Firth Of Fifth", gli arpeggi alle tastiere di Tony Banks in "The Battle Of Epping Forest"... In particolare il primo e il quarto solco, rispettivamente "Dancing With The Moonlit Knight" e "The Battle..." ci presentano i Genesis sensibili ai problemi della società inglese del tempo. E' un album contro la decadenza dilagante, contro la fine degli usi e delle tradizioni sull'Isola di Albione e contro la sua progressiva americanizzazione. Si parla di "Green Shield Stamps", espressione che ricorda sia la leggenda di Sir Gawain e dei Cavalieri Verdi sia i punti-omaggio di certi prodotti alimentari. Si parla di "Wimpey Hamburgers"... E, nel titolo di chiusura "Aisle Of Plenty", è presente addirittura un elenco dei prezzi esposti dal supermercato all'angolo. Quest'ultima canzone, che riprende il passaggio di chitarra di "Moonlit Knight", si conclude con la frase: "Thankful for her Fine Fare Discount, Tess cooperates". Solo i Genesis potevano mettere in musica un simile testo!
Gabriel
I suoni restano - come già detto - estatici, ispirati: una serie di madrigali e arabeschi destinati ad entrare nella storia del rock. La band suona a memoria, si direbbe, denotando una fluidità strumentale invidiabile che giustifica l'entusiasmo crescente dei fans. "Dancing With The Moonlit Knight" inizia con Peter Gabriel che canta a cappella, prima che si accenda via via l'intero instrumentarium della band. Ha fatto scuola la suggestione romantica e potente di un pezzo come "Firth Of Fifth", cucita dal pianoforte nelle sue varie fasi fino alla superba coda strumentale in cui si distingue la chitarra elettrica di Hackett. "The Battle..." è la rappresentazione dello scontro tra due gangs rivali: altro ampio spazio per la versatilità da "attore" di Gabriel. Sembra spesso che il testo non collimi con le note, ma l'alto grado di teatralità e i ritmi incalzanti sono una scusa sufficiente. Non mancano i soliti richiami alla mitologia classica, con "The Cinema Show" che ha come "protagonista" l'indovino Tiresia (colui che doveva appianare una diatriba tra Zeus ed Era e rivelare chi, tra uomo e donna, provi il piacere maggiore). E anche i presunti "riempitivi" sono a un livello massimo, che li fanno prescindere dalle mode e dagli anni. La dolceamara ballata "More Fool Me" (che, contrariamente a quanto si crede, non è l'esordio di Phil Collins come cantante solista: Collins aveva già fatto da lead vocal in "For Absent Friends" in Nursery Cryme) strizza addirittura l'occhio al pop, così come "I Know What I Like (In Your Wardrobe)". Ma sono eseguiti in maniera magistrale. E magistrale è anche l'instrumental "After the Ordeal".
Hackett
La copertina non è opera di Paul Whitehead (come nei tre album precedenti), bensì della pittrice Betty Swanwick. Si tratta tuttavia di un'ennesima art cover molto ben riuscita.
Tracks:
1. Dancing With The Moonlit Knight 2. I Know What I Like (In Your Wardrobe) 3. Firth Of Fifth 4. More Fool Me 5. The Battle Of Epping Forest 6. After The Ordeal 7. The Cinema Show 8. Aisle Of Plenty
L'ascolto di Foxtrotpuò cambiare a più d'uno il modo di intendere la musica. Fin dall'intro al mellotron di Tony Banks in "Watcher Of The Skies" è chiaro che siamo al cospetto non solo di una pietra miliare del progressive rock, ma anche di uno dei migliori prodotti musicali - in assoluto - del XX secolo. Foxtrot combina sofisticata complessità con fantasia sfrenata. I testi di Peter Gabriel, degni di un originale romanziere, proiettano uno spettacolo caleidoscopico nel cinema della nostra mente. Interpretando da solo i ruoli di numerosi personaggi, il frontman dei Genesis dimostra inoltre in maniera definitiva la sua versatilità come cantante e mimo.
Stilisticamente parlando, il gotico di Trespass e Nursery Cryme tende qui più verso il barocco, grazie soprattutto agli interventi chitarristici di Steve Hackett. Al pari di Phil Collins, Hackett ha abbracciato fin da subito il verbo della band apparentemente senza difficoltà di sorta.
In generale, Foxtrot suona più "scuro" e meno soft del successivo Selling England.
Si incomincia con "Watcher Of The Skies", brano su un alieno che visita il nostro pianeta e scopre che tutti i suoi abitanti si sono dileguati. Come detto, l'inizio al mellotron è epico; arrivano poi le energiche percussioni di Phil su un tempo ternario in 6/4. La narrazione "fantascientifica" culminerà in una memorabile chiusa rapsodica.
"Time Table" ci fa compiere un salto temporale. Si tratta di una canzone dalle atmosfere e l'ambientazione medievali. Potrebbe essere stata composta dagli Amazing Blondel ma è, ovviamente, contraddistinta dalla tipica impronta classico-malinconica dei Genesis. "Why, why oh why..." Davvero molto bella. La parte di piano riecheggia addirittura la schietta dolcezza melodica di From Genesis To Revelation.
"Time Table" rievoca un'"era eroica" e racconta dell'inevitabile trascorrere del tempo. Non
manca però un sottotono di sana ironia. A questo proposito bisogna sottolineare che l'ironia, ora sorridente e mesta, ora aggressiva, è la peculiarità di tutto Foxtrot. Undici anni più tardi i Marillion, grandi discepoli dei Genesis, avrebbero usato lo stesso tono per infondere una coloratura distintiva al loro album-debutto Script For A Jester's Tear.
La più complessa - ed esplosiva! - "Get 'Em Out By Friday" ha un testo formalmente futuristico (non si può fare a meno di pensare a New Brave World dello scrittore Aldous Huxley), ma è in realtà una feroce critica sociale su una minaccia purtroppo enormemente attuale. In questa mini-opera, che alterna "ballabili" eseguiti al flauto a chitarre lanciate in piena libertà (spesso in tandem), Gabriel prende di mira i furfanti delle imprese edili e non solo: è un'accusa a coloro che si arricchiscono affermando di agire "in the interest of the humanity".
La canzone racconta di famiglie che vengono sfrattate affinché le case possano essere demolite e poi ricostruite in modo da contenere il doppio degli inquilini. "Twice as many in the same building size." Ci penserà il "genetic control" a restringere le dimensioni degli umani, riducendoli a nanerottoli.
Intervengono svariati personaggi, e ognuno ha la sua propria musica; anche per questo il brano ricorda per molti versi "Harold The Barrel" dall'album precedente, con Peter Gabriel che usa una voce distinta per ciascuno dei protagonisti. Le ultime parole "Land in your hand you'll be happy on earth, / then invest in the Church for your heaven" è una menzione alle religioni che obnubilano le menti promettendo immaginari paradisi ultraterreni.
"Can-Utility And The Coastliners" è il solco che segue. Quasi 6 minuti di musica eccellente, compressa in una mini-suite che si apre con la chitarra classica e che, passando per i tamburi e i piatti di Collins, per l'organo elettrico di Banks e per il basso percussivo di Rutherford, contiene tutto il repertorio stilistico che è la "marca" dei Genesis. "Can-Utility And The Coastliners" (già questo titolo...!) esalta l'onestà morale del re vichingo Canute. Stanco di sentirsi elogiare a vuoto, Sua Maestà decide di convincere l'adulante corte di non essere così potente come loro credono. Sedutosi sul suo trono in riva al mare, urla alle onde di fermarsi. E naturalmente le onde non lo stanno a sentire.
L'interludio "Horizons" vede Steve Hackett rimaneggiare alla chitarra acustica una composizione per violoncello di Bach.
Su vinile, "Horizons" apriva la facciata B, che per il resto era interamente occupata da...
"Supper's Ready"! Il punto focale dell'album e il motivo principale per cui Foxtrot non può mancare nella collezione privata di ogni amante della buona musica.
"Supper's Ready" è un opus magnum in sé, un'epica di 23 minuti (22:50 per l'esattezza); in realtà, un patchwork di sette diversi brani o "capitoli".
Sensazioni intricate, fattore emotivo altissimo ("We watch in reverence, as Narcissus is turned to a flower"; e, dopo un breve silenzio: "A flower?") e cambi di tempo vertiginosi ("All change!!!") contribuiscono alla compiutezza davvero magistrale della suite.
Non c'è intro: la chitarra a 12 corde e la voce di Gabriel partono contemporaneamente: un unicum nella storia del prog classico (più tardi da più parti imitato).
In una serie di scene variegate, viene narrata l'eterna lotta tra il Bene e il Male attraverso gli occhi di un uomo e di una donna. Il tutto inizia con i due amanti in soggiorno e si conclude con l'Apocalisse. (In 9/8, come si conviene a un tale... evento.)
E' la catarsi!
In un'intervista, Peter Gabriel spiegò che il testo di "Supper's Ready" gli fu ispirato da una strana esperienza personale. Si trovava in un attico insieme alla sua ragazza quando ebbe improvvisamente un'allucinazione: vide il volto di lei trasformarsi "in qualcosa di preoccupatamente diverso"...
Da "Lover's Leap" ad "Apocalypse in 9/8", tanti sono i momenti che testimoniano della genialità di questi musicisti. Dopo il dialogo tra la chitarra acustica e il piano di Tony Banks, e dopo un "ponte" dominato dal mellotron, si passa a una parte di stampo hard rock. Quindi Collins scandisce un ritmo di marcia che condurrà a "How Dare I Be So Beautiful?", abbozzo di ballata dai toni estatici.
E' un bagno di sensazioni: da quelle efferate, brutali, ferine, a quelle morbide e soavi. Un po' come nella vita vera.
Il segmento dal titolo "Willow Farm" è di stampo beatlesiano; a un certo punto sentiamo la voce di Gabriel registrata a doppia velocità. La musica torna successivamente a gonfiarsi, il ritmo è demoniaco, e quando Gabriel canta le parole "To take them to the new Jerusalem", il brivido conclusivo è assicurato.
***
E' impossibile anche per i musicisti più navigati non riuscire ad ammirare i Genesis. Grazie a questo gruppo, apprendiamo che non basta l'alternarsi di piano e fortissimo, di adagi e ritmi forsennati e in più qualche bella melodietta per autoproclamarsi araldi del rock sinfonico. Il loro Foxtrot, in particolare, è molto più di un semplice esempio di "musica nuova" (come veniva considerato il progressive nel 1972): è il risultato dell'esplorazione di territori musicali fino ad allora assolutamente vergini. E il tutto sulla base di testi che solo la mente di un genio (o di un folle) poteva ideare; input intellettuali di rara vividezza.
As the sound of motor cars fades in the night time,
I swear I saw your face change, it didn't seem quite right.
...And it's hello babe with your guardian eyes so blue
Hey my baby don't you know our love is true.
(Da: "Supper's Ready")
Chi si illudeva però che dopo tale opus Gabriel & Co. non potessero superarsi, o comunque eguagliarsi, si sbagliava di grosso...
Tracks:
1. Watcher Of The Skies (7:19)
2. Time Table (4:40)
3. Get 'Em Out By Friday (8:35)
4. Can-Utility And The Coastliners (5:43)
5. Horizons (1:38)
6. Supper's Ready (22:58)
...i. Lover's Leap
...ii. The Guaranteed Eternal Sanctuary Man
...iii. Ikhnaton and Itsacon and Their Band of Merry Men
...iv. How Dare I Be So Beautiful?
...v. Willow Farm
...vi. Apocalypse in 9/8 (featuring the delicious talents of Gabble Ratchet)
...vii. As Sure as Eggs is Eggs (Aching Men's Feet)
Rimango sempre stupito quando qualcuno mi parla di "difficoltà al primo ascolto" riferendosi ai Genesis. E dico "Genesis" con la G maiuscola, quelli genuinamente progressive, e non gli altri, quelli che, sotto la guida di Phil Collins, finirono per sfornare musica pop. Probabilmente i Genesis non sono una band per tutti. Forse bisogna avere una predisposizione d'animo particolare per apprezzare "in toto" la loro musica.
Io sono un aficionado del gruppo inglese ormai da decenni, ovvero da quando un mio cugino mi fece ascoltare Selling England By The Pound - allora su supporto magnetico; leggi: su audiocassetta. Le opere precedenti (Trespass, Nursery Cryme e Foxtrot, oltre all'album "black" - loro debutto - From Genesis To Revelation) arrivarono per me solo successivamente; ma confermarono la mia prima, immediata impressione: i Genesis erano la "mia" band. Comunicavano direttamente col mio cuore - o con la mia anima, se volete - e riuscivo a recepirli anche a livello di cerebro. Furono loro che dischiusero per me i cancelli dell'universo prog.
Non solo la loro musica sofisticata: anche i loro testi mi risultarono, fin da subito, assai accattivanti. Certo, diverse cose bisognava interpretarle (e non bastava un comune dizionario italiano-inglese per capirle!), ma a quell'epoca c'era il buon Armando Gallo (il più grande esperto italiano [o addirittura mondiale] di questo gruppo) che forniva puntualmente la traduzione con tanto di "note a pie' di pagina" su ogni involucro dei dischi "genesiani" destinati al Belpaese.
L'album di cui voglio parlare qui è Nursery Cryme (1971), uscito, come tutti i loro "classici", per l'etichetta Charisma. E' un'opera molto importante innanzitutto perché è la prima in cui la band si presentò nella formazione poi passata alla storia: Peter Gabriel - Tony Banks - Mike Rutherford - Steve Hackett - Phil Collins; e poi anche perché fu per loro la pedana di lancio per l'Europa. Infatti, il successo riscontrato in Italia da Nursery Cryme praticamente salvò la carriera dei Genesis. (L'anno prima era stata la volta dei belgi, accogliendo entusiasticamente Trespass, a concedere una delazione di vita alla band.)
Ma passiamo subito all'ascolto. Apre "Musical Box", tenera quanto disperata favola da "nursery", da stanza dei giochi, che sarebbe diventata uno dei loro cavalli di battaglia negli spettacoli dal vivo. Ogni cosa, in questo pezzo, è perfetta: dai riffs iniziali alla voce di Gabriel, che comincia in sordina - quasi in recitativo - con "Play me Old King Cole / that I may join with you..." (sembra, appropriatamente, la cantilena di un bimbo) e finisce con l'implorazione urlata: "Touch me, touch me, touch me NOW! now, now, now...", dando voce al fantasma di Henry (8 anni) che riappare a Cynthia (9) dopo che quest'ultima lo aveva "graziosamente" decapitato.
Al più tardi da adesso lo sappiamo: siamo alle prese con un album "romantico" nel senso letterario del termine: tenero, ombroso, violento e divertente a un tempo.
Divertenti sono brani come "Harold The Barrell", tanto disinvolto, convincente e "frantic" da potersi considerare un'anticipazione del "dark pop". Ma il pop è ancora a mille miglia di distanza e qui ovviamente si avverte - senza tema di errori - la bravura dei musicisti. Si capisce subito che si tratta di grandi esecutori; e ciò sebbene fossero allora ancora molto giovani e, ahiloro, squattrinati.
Non so perché, ma alcuni definiscono questo prodotto una battuta d'arresto rispetto al precedente Trespass, quasi un "pas faux" nella carriera dei Genesis. Lo giudicano poco rifinito, un diamante grezzo. Appunto: bisogna sottolineare proprio la parola "diamante". Per me, Nursery eguaglia, se non addirittura supera, l'album precedente. Non c'è assolutamente nulla di superfluo o casuale in questo disco. La dolce e breve "For Absent Friends" vale già da sola il costo del CD (il quale, a proposito, oggi è reperibile per una manciata di dollari) e scommetto che ci sono molti chitarristi, là fuori, che ancora tengono questa ballata nel loro repertorio "segreto", risfoderandola unicamente per le orecchie di tre o quattro amici fidati.
Dopo "Il Ritorno del Gigante Hogweed" (interpretazione tipicamente genesiana di uno strambo quanto interessante mito da fantascienza: piante viventi prendono possesso di ogni città e... "they seem immune to all our herbical battering"), ecco "Seven Stones".
Quanta magia e quanta vita vissuta sono contenute in questo "tale", in questo racconto dalle sonorità pacate! La voce di Peter sembra più che mai quella di un vecchio saggio, ed è sorprendente e inquietante insieme sapere che al momento dell'uscita dell'album il cantante-poeta dei Genesis era ancora un "teeny"!
Calcando uno schema semplice ma efficace, alla "tranquilla" "Seven Stones" segue il gustoso pandemonio del già citato "Harold The Barrell" (satira del sistema inglese e, in particolare, della prepotenza dei "landlords"). Poi di nuovo un pezzo altamente poetico - "Harlequin". E in ultimo, finalmente, arriva "The Fountain Of Salmacis".
Dedicato alla regina delle Naiadi, ninfe del mare, questo solco racchiude tutti gli elementi tipici del prog rock. L'album si conclude in un glorioso crescendo, e apre quella che sarà la lunga e avventurosa stagione del progressive.
Gli Anni '70 potevano cominciare davvero.
Il vento soffia attraverso le porte chiuse e pizzica le orecchie di uno gnomo che si aggira tra le stanche mura. Qualcosa - o forse qualcuno - sta per accadere. Per saperlo, bisogna capire quello che dice il vento. Ma solo quando tutti gli spiragli si allineeranno in un ben preciso disegno magico riusciremo a decifrare il suo linguaggio.
Nella cosmologia genesiana, Trespass (1970) segna l'inizio della serie portentosa che si protrarrà per 6 anni e 5 album, opere che hanno contribuito a scrivere la storia del rock progressivo. Ma Trespass segna anche il ritiro volontario di Ant Phillips, la cui sensibilità non gli faceva sopportare lo stress delle gigs, e, oltre a ciò, il licenziamento del batterista John Mayhew, a registrazione già avvenuta. Al contrario della maggioranza dei commentatori della band, per me quest'ultima decisione rimane oscura. Se è vero che Mayhew "seguiva" gli altri componenti invece di trascinarli, è anche vero che il suo drumming non manca affatto di potenza, là dove questa è richiesta. "The Knife" è un pezzo classico grazie anche al suo attento lavoro, e la puntualità dei suoi interventi (crescendo, rulli, occasionali esplosioni) in "Looking For Someone", "White Mountain", "Visions Of Angels" e "Stagnation" è fuori discussione. Io protendo a credere che John Mayhew abbia dovuto abbandonare il gruppo solo perché "meno colto" degli altri. Con il coetaneo Phil Collins i Genesis trovarono un compagno di strada più furbo, più estroverso e certamente più volenteroso a contribuire al processo compositorio, ma come batterista di sicuro non molto migliore del suo predecessore. (Entrambi, Collins e Mayhew, provengono dalla "working class". Mayhew era, ed è rimasto, un falegname. Dopo due matrimoni falliti, è emigrato in Australia. John Silver invece, che fu il batterista in From Genesis To Revelation, ha fatto carriera nell'ambiente della televisione, ambiente che Collins già conosceva per alcune sue esperienze di recitazione.)
One-eye hid the crown and with laurels on his head Returned amongst the tribe and dwelt in peace.
Guercio nascose la corona e, con l'alloro sul suo capo, Tornò alla tribù, dove poté vivere in pace.
(Ultime parole di "White Mountain")
Trespass, la "trasgressione", è il punto di passaggio dei Genesis da come li volevano Jonathan King e la Decca Records a quelli della piena autoconsapevolezza artistica. Prodotta da John Anthony per l'etichetta Charisma del lungimirante Tony Stratton-Smith, la band trova definitivamente la propria formula. La taratura però avviene già prima di varcare la soglia dello studio, grazie a una lunga successione di concerti in tutto il Sud Est inglese.
Se ci sono punti in comune con il precedente From Genesis To Revelation, sono i testi intellettuali e la voce teatrale di Peter Gabriel; sia gli uni che l'altra, ovvio, qui enormemente sviluppati. I 40 minuti dell'album sono un unico viaggio fantastico e surreale, compiuto in parte nel mondo odierno e in parte sui sentieri eterei delle sfere ultraterrene. Sui primi quattro solchi l'Hammond di Tony Banks (quando non è il dulcimer o il piano) aggiunge una vena di malinconia e, dopo la romantica e un po' monocorde ballata "Dusk", ecco finalmente la scatenata "The Knife", che chiude il disco. All'interagire delle 12 corde acustiche Anthony Phillips e Mike Rutherford avvicendano rispettivamente il lead elettrico e il basso, con naturalezza a dir poco sconcertante per essere appena ventenni. "The Knife", dedicata a "chi trasgredisce contro di noi", è il nodo cardine da cui si dipana il domani dei Genesis. Phillips come detto getterà la spugna, ma l'arrivo al suo posto di Steve Hackett si rivelerà assai felice. Le basi per l'epopea di uno dei gruppi principi del prog sono definitivamente poste.
Tracks:
1. Looking For Someone 2. White Mountain 3. Visions Of Angels 4. Stagnation 5. Dusk 6. The Knife
Quando nel 2001 Jonathan King fu arrestato per un brutto affare di pedofilia, molti inglesi non furono particolarmente shockati dalla notizia: King, produttore musicale di successo e noto conduttore radiofonico, faceva parte di un mondo dove è necessario calare le brache solo per poterne varcare la soglia; e lui, essendo promotore di un pop marca "bubblegum", non poteva certo possedere una moralità al di sopra di ogni sospetto. Le accuse gli piombarono addosso dal passato: a quanto pare, negli Anni '70 e '80 era solito aggirarsi per Londra sulla sua Rolls Royce offrendo passaggi a spaesati adolescenti (tredici-quindicenni) che, dopo gli "attacks", venivano congedati con una t-shirt o un disco autografato a mò di regalo. Uscì di prigione anzitempo, nel 2005, grazie anche agli sforzi del suo avvocato Giovanni di Stefano (evidentissima l'origine italiana). Non si tratta dunque di un personaggio simpatico, anche se continua a giurare di essere innocente. Lo scandalo comunque ci fu, e gettò una luce a dir poco obliqua sull'uomo che per primo ripose fiducia sui Genesis. Avrebbe successivamente lanciato anche The Bay City Rollers e 10cc, ma all'epoca in cui la nostra storia ha inizio Jonathan King era noto soprattutto per un suo hit entrato nei Top 10 ("Everyone Has Gone To The Moon", 1965) e l'unico altro gruppo di cui si era occupato erano gli Hedgehoppers Anonymous, oggi universalmente ignoti.
King, ex alunno della Charterhouse School frequentata da Peter Gabriel, Tony Banks, Anthony Phillips e Mike Rutherford, si ritrovò un giorno ad ascoltare un demo fattogli recapitare dai ragazzi, e immediatamente comprese le potenzialità del gruppo. Decise di contattarli e l'album che risultò da questa collaborazione, From Genesis To Revelation, sarebbe apparso un anno dopo, preannunciato da un paio di 45 giri. L'LP aveva una copertina nera con il titolo scritto a caratteri vagamente gotici color oro, cosa che in molti negozi lo fece finire sugli scaffali di musica religiosa. Sulla cover non era riportato nemmeno il nome del gruppo, in quanto in America esisteva già una formazione che si chiamava Genesis. A Peter e compagni il nome da assumere fu suggerito dallo stesso King. Ma anche in questo caso si trattò di calcolo personale: per l'ex scolaro della Charterhouse era in fondo la "genesi" (l'inizio) della sua carriera di produttore. I giovani componenti della band furono abbastanza felici della scelta: "Genesis" suggeriva storie e situazioni mistiche, "dark", intricate, che loro amavano. Loro stessi erano nati dalla fusione degli Anon (Phillips, Rutherford) con The Garden Wall (Gabriel, Banks), e ritenevano che né l'una né l'altra denominazione dovesse essere più rispolverata. Qualcuno - lo stesso King? - suggerì addirittura come alternativa "Gabriel's Angels"; ma, a parte lo stesso Peter Gabriel, gli altri si mostrarono tutt'altro che entusiasti della proposta. Fino a quel momento, in realtà, non avevano neppure pensato al nome. Erano musicisti in erba (tutti 17enni e 18enni, non dimentichiamolo!) pieni di ardore creativo, che litigavano per accaparrarsi il diritto di impadronirsi dell'unico pianoforte presente nella music room della scuola. Per il solo privilegio di ottenere un contratto discografico, erano disposti persino a legarsi a vita a Jonathan King e alla Decca Records... Pieni di idee ed equipaggiati con strumenti raccapezzati qua e là, entrarono dunque in sala di registrazione.
Correva l'anno 1968. I Rolling Stones sfornavano Beggar's Banquet, uno dei loro lavori migliori in assoluto; Leonard Cohen scalava le classifiche con le sue Songs; Jimi Hendrix esplodeva con Electric Ladyland; i Beatles emettevano già il loro canto del cigno con The White Album; e Dylan & The Band consegnavano al mondo i Basement Tapes. Ma era anche il periodo d'oro dei fratelli australiani Gibbs, i quali, noti con l'appellativo Bee Gees, confezionavano melodie e testi che andavano per la maggiore e per cui anche Jonathan King stravedeva. (Fortunatamente, i Bee Gees erano ancora assai distanti dalle febbri del sabato sera celebrate in isterico falsetto; quello sarebbe stato il loro secondo periodo d'oro).
Peter Gabriel & Co. non nascosero il disappunto nell'ascoltare il prodotto finito di From Genesis To Revelation. Il buon King aveva fatto aggiungere a quasi tutti i pezzi una sezione di archi, infondendo ad essi atmosfere beegeesiane. Loro invece volevano "rockare"! E, effettivamente, questo desiderio risulta evidente se riascoltiamo "The Conqueror", "In The Beginning" e il bonus track "One-Eyed Hound". Ciò che venne fuori dal ri-arrangiamento in studio fu invece qualcosa di generalmente catalogabile alla voce "soul-pop". Tutta la pubblicità fatta a "Silent Sun" sia dal DJ Kenny Everett della BBC, sia dall'emittente pirata Radio Caroline, non servì a far decollare né il single in questione, né l'album da cui esso era ricavato. Della prima edizione dell'LP si vendettero, sia detto per inciso, appena 600 copie.
"Successo" è una nozione relativa, come dimostra la storia di From Genesis To Revelation.
Più tardi, quando volevano investigare sui trascorsi di quei sensazionali rappresentanti del prog rock, i giornalisti andavano a intervistare Jonathan King a proposito di quell'eccentrico, bizzarro debutto. E lui raccomandava puntualmente: "Compratelo! Comprate il disco. E' veramente bello, e ognuna delle canzoni potrebbe diventare anche oggi un hit..." Obiettivamente, l'ascolto è piacevole. Si tratta di piccoli gioielli senza tempo, solo leggermente velati dalla patina di una tecnica di registrazione che ai nostri giorni ci appare arcaica. Per i romantici che amano le melodie dolci e il progressive marca Moody Blues, almeno sette titoli possono benissimo trovare posto nella loro audioteca ideale: "Fireside Song", "Am I Very Wrong?", "In The Wilderness", "In Hiding", "Window", "Silent Song" e "A Place To Call My Own". Jonathan King faceva bene a consigliare l'acquisto di quell'opera prima: lui incassava - e incassa! - le royalties... Ma, a parte tutto, a King va uno dei meriti maggiori, e cioè aver avuto il fegato di investire su quei ragazzi sconosciuti, contribuendo così alla nascita di una leggenda.
Il filo rosso che si dipana attraverso From Genesis To Revelation è quello della storia dell'umanità, raccontata in una decina di brani (ma arrivano a sedici o diciassette con i solchi-bonus aggiunti in seguito). L'album contiene già un accenno ai miti e alle fiabe che i Genesis avrebbero poi largamente sviluppato; è, quindi, il degno prologo a una sequela di cinque capolavori: Trespass, Nursery Cryme, Foxtrot, Selling England By The Pound e The Lamb Lies Down On Broadway. Un periodo davvero magico, prima che Gabriel gettasse la spugna e che Phil Collins trasfigurasse il gruppo, sfruttandone la crescente popolarità per autopromuoversi similmente a un Giano bifronte: da una parte iniziando un'imbarazzante carriera di cantante "easy", e dall'altra andando nella direzione totalmente opposta, divenendo leader di un gruppo avanguardistico come i Brand X.
Tracks:
1. Where The Sour Turns So Sweet 2. In The Beginning 3. Fireside Song 4. The Serpent 5. Am I Very Wrong? 6. In The Wilderness 7. The Conqueror 8. In Hiding 9. One Day 10. Window 11. In Limbo 12. Silent Sun 13. A Place To Call My Own 14. A Winter's Tale 15. One Eyed Hound 16. That's Me 17. Silent Sun (single version)
L'Islanda comincia veramente ad attecchire nella nostra coscienza, così tanti sono gli artisti eccellenti che dall'alto dell'"Isola dei Ghiacci" irradiano suoni verso il resto del mondo. Conoscevamo già i Mum (oltre a Björk, chiaro!), e adesso scopriamo i Sigur Rós, una band capace di regalarci musica fatata.
Dopo l'ascolto "informale" dei loro ágætis byrjun e di ( ) [untitled], che è servito da approccio, ancora un'altra pagina di elettropoesia: Takk... ("grazie...") è il titolo del quarto album dei Sigur Rós. 11 le canzoni/sinfonie contenute all'interno. La voce di Birgisson sempre ineffabile, vellutata - e la lingua che usa è - badate bene - l'islandese!
I Sigur Rós si servono di vibrafoni, celesta e magia. Le loro sonorità si possono "vedere", il che equivale a vedere - e toccare - il cielo. Takk... si apre con il pezzo omonimo, che dura solo 15 secondi ma già riesce a squarciare il quadro della nostra quotidianità per permetterci di entrare in un mondo al di là del nostro. Dopo questo breve intro, si procede con "Glósóli" e "Hoppipolla", due magnifiche mini-sinfonie. "Saeglopur" invece è un vero inno al senso di appartenenza cosmica che i Sigur Rós sono maestri nel rievocare. Un altro pezzo si chiama "Mílanó" (accento sulla prima sillaba); ci siamo informati: il gruppo attorno a Jón Birgisson e Kjartyn Sveinsson (rispettivamente: "Jónsi" e "Kjarri") si riferisce effettivamente alla nostra città! E, dopo un paio di altri track che testimoniano di una creatività libera e immaginifica, il sipario si abbassa alle note di "Heysátan", un lieve planare nello spazio.
Una colonna sonora perfetta per i nostri giorni d'ibernazione prossimi venturi.
Costa fatica catalogarli come gruppo "prog rock", malgrado la loro sia una musica progressiva e anche se persino il nome di Frank Zappa è stato inserito in molte summae enciclopediche dedicate a questo genere.
Gli Area non cantavano di maghi e carrozze, ma erano attentissimi alla realtà politica e sociale, che loro criticavano ferocemente sia nei testi sia tramite la voce - realmente unica - di Demetrio Stratos. Come scrive Lucio Mazzi, "Stratos non 'cantava': 'usava' la voce spingendola in territori sconosciuti, singhiozzando, sussurrando, gridando, facendole saltare le ottave nella maniera più spericolata... Il tutto in modo estremamente funzionale ad una musica che recuperava influenze etniche e free jazz, musica concreta e rock."
Se proprio bisogna cercare per gli Area un paragone nell'ambito del "progressive", allora occorre citare i Gong, i Soft Machine e la Mahavishnu Orchestra. Sempre fedeli alle proprie istanze provocatorie, di rottura, furono un vero e proprio manifesto culturale per una buona fetta della generazione che ha attraversato i '70. Partiti dal free jazz (Soft Machine, Nucleus), divennero ancora più sperimentali, influenzati tra l'altro da John Cage e vogliosi di esprimere la loro passione per la musica etno (araba e greca).
" ...il mio mitra e' il contrabbasso / che ti spara sulla faccia / che ti spara sulla faccia / cio' che penso della vita / con il suono delle dita / si combatte una battaglia / che ci porta sulle strade / della gente che sa amare." ("Gioia e rivoluzione")
La scomparsa di Demetrio Stratos, avvenuta nel 1979, fu uno shock, che però non fermò i componenti della band, i quali continuarono (e continuano a tutt'oggi) il loro lavoro di ricerca, sperimentando nuovi materiali sonori e nuovi linguaggi.
A proposito di questo album - Caution Radiation Area -, alquanto ostico, possiamo raccontare un aneddoto.
Durante un evento in memoria di Demetrio Stratos alla Salumeria della Musica a Milano (all'interno della rassegna Rock files), in cui erano intervenuti anche Boris Savoldelli ed Eugenio Finardi, Fariselli raccontò che in Cramps, quando sentirono la musica per decidere della pubblicazione del disco, gli dissero: "Va bene, ma sono cazzi vostri!"
Il nucleo "storico":
Ares Talovazzi (basso)
Demetrio Stratos (voce)
Giulio Capiozzo (percussioni)
Gian Paolo Tofani (chitarra)
Patrizio Fariselli (tastiere)
Discografia parziale: Arbeit macht frei ('73), Caution Radiation Area ('74), Crac! ('74), Are(A)zione ('75), Maledetti (maudits) ('76), Event '76 ('76), Anto/logicamente ('77), 1978 gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano! ('78), 1979 Il Concerto - Omaggio a Demetrio Stratos (vari artisti), Tic&Tac ('80), Parigi Lisbona ('96, registrato live nel '76), Concerto Teatro Uomo ('96, registrato live nel '76), Chernobyl 7991 ('97)
Pezzi più celebri: "Luglio, Agosto, Settembre (Nero)" "Arbeit macht frei" "Cometa rossa" "Are(A)zione" "Lobotomia" "L'elefante bianco" "La mela di Odessa" "Gerontocrazia" "Gioia e Rivoluzione"
La capoverdiana, detta "la Diva scalza", raggiunse la celebrità solo verso i 50 anni. Era la regina indiscussa della morna, musica malinconica, dall'impronta blues, tipica di Capo Verde.
E' tornata! Dopo 12 anni, la più indipendente tra tutte le artiste mainstream d'Inghilterra si riaffaccia alla ribalta con un album eclettico (Aerial) riproponendoci la sua inconfondibile voce. Kate Bush, "La Boush", ha tratto dall'album anche un singolo. "King Of The Mountain", questo il titolo della canzone, che parla di Elvis Presley ma allude anche all'affaire Jonathan King. Nel 2001 scoppiò uno brutto scandalo a Londra: l'ex produttore e re dell'easy listening King (scopritore tra l'altro dei Genesis) fu arrestato con l'accusa di aver abusato sessualmente di alcuni adolescenti, e ancora oggi ([23/10/2005]) sconta la pena.
Kate Bush, enfant prodige e cantautrice molto originale ("Babooshka", "Wuthering Heights"...) fu lanciata da David Gilmore dei Pink Floyd e, ancor giovane, decise di automanagerializzarsi e di non accettare alcuna imposizione da parte delle major. Tra i musicisti che hanno collaborato con lei ci sono Roy Harper, Peter Gabriel, Eric Clapton, Nigel Kennedy e Prince. Tricky, Björk e tanti altri, ma in primo luogo Tori Amos, la considerano un loro idolo.
Sembrano ormai lontani i tempi degli Agricantus, il gruppo con cui Pippo Pollina (palermitano, classe 1963) si fece le ossa dando concerti sia in Italia sia all'estero. Erano i terribili Anni Ottanta. A un certo punto, il giovane, disgustato dalla mancanza di prospettive nella sempre più caotica società italiana, lasciò ogni cosa (la famiglia, gli studi universitari, gli amici) per iniziare un vagabondaggio di "formazione" che lo portò tra l'altro in Ungheria e nell'ex DDR. Durante una delle sue esibizioni per le strade di Lucerna, venne notato dal cantautore svizzero Linard Bardill, che lo invitò a registrare con lui un disco in lingua ladina. Ben presto Pollina cominciò a incidere i propri dischi e a partecipare a vari concerti, tra i quali un open air a Lugano al fianco di personaggi come Van Morrison e Tracy Chapman.
La particolarità di questo cantautore è che si esprime in più lingue, spesso mischiando idiomi diversi in una stessa canzone. La sua esplorazione musicale non conosce limiti: lui (con i virtuosi del Palermo Acoustic Quartet, con artisti mitteleuropei oppure da solo) è di casa nel jazz, nel rock, nella musica classica e in quella etnica. Tanto eclettismo non stupisce se si pensa alla ricca biografia di Pollina: nel corso della sua ormai lunga carriera, ha collaborato con numerosi cantautori; da ricordare tra gli altri Franco Battiato e l'austriaco Konstantin Wecker (che fu peraltro uno dei suoi scopritori).
"Nemo profeta in patria": almeno agli inizi, questa regola sembrava valere anche per Pippo Pollina. Nel frattempo però il palermitano ha trovato una sua collocazione persino sul mercato nostrano. Che le sue fortune siano iniziate in Svizzera, terra apparentemente improbabile per un musicista in cerca di un trampolino di lancio, contribuisce all'immagine anticonformista che tanto gli si addice. Pippo, che è sposato con la giornalista e scrittrice zurighese Christina Pollina, passa, a ragione, per un intellettuale integro e sincero. In un'intervista a una tivù tedesca, ha dichiarato: "Se avessi la scelta di poter vedere il clip di una mia canzone su MTV oppure leggere un articolo che parla di me sulle pagine culturali della Süddeutsche Zeitung, opterei per quest'ultima soluzione. Io cerco un pubblico ben preciso..."
Dalla repubblica elvetica, la fama di Pollina si estese velocemente a tutti gli altri Paesi di lingua tedesca. A Monaco di Baviera, ad esempio, lui e la sua band (Gaspare Palazzolo al sax, Enzo Sutera alla chitarra, Luca Lo Bianco al contrabbasso, Toti Denaro alle percussioni) sono ospiti fissi...
Bar Casablanca è uno dei suoi album migliori. Tra i brani ivi contenuti: "Chiaramonte Gulfi", che narra di un giovane che sogna fortemente di emigrare in Canada... finché la spietata realtà non gli apre gli occhi.
Fino alla fine degli anni Novanta, si sapeva che Woody Guthrie ("the dust brother") aveva scritto circa un migliaio di canzoni: tutte quante usando una vecchia macchina da scrivere e tutte ispirate a fatti di cronaca, conversazioni udite per caso e pensieri che gli venivano quando era on the road. Un lascito abbastanza impressionante, il suo, e non solo quantitativamente... anche se, per far digerire il suo "socialismo" agli americani, lo si ricorda quasi esclusivamente come autore di "This Land Is Your Land" (un inno alla libertà che viene insegnato nelle scuole). Poi sua figlia Nora, dopo oltre quarant'anni di quasi-indifferenza per l'eredità paterna, prese a esplorare i recessi della casa della madre Marjorie e scoprì centinaia e centinaia di nuovi testi che Guthrie non aveva avuto il tempo di trasformare in canzoni. Nora si mise dunque alla ricerca di un degno rappresentante del lascito paterno e si imbatté in Billy Bragg.
Già nel 1983, nell'album To Have And To Have Not, Bragg cantava:
"A 21 anni stai in cima all'immondezzaio, a 16 eri il migliore della classe. A scuola hai imparato soltanto a diventare un buon lavoratore. Anche se il sistema ha fallito, cerca di non fallire tu."
Parole dure, rivolte alla politica neoliberale del governo Thatcher, che di lì a pochi anni rovinerà l'Inghilterra. Bragg, nato nel 1957 a Barking (Essex), dichiarò di essersi deciso a intraprendere la carriera di musicista appunto per colpa - o per merito - di Margaret Thatcher. Dopo aver visto un concerto dei Clash, fondò il proprio gruppo punk - i Riff Raff -, ma nel 1980 sorprese tutti arruolandosi volontario nell'esercito britannico ("Volevo guidare un carro armato!"). Dopo soli tre mesi gettò l'uniforme alle ortiche ("Le 175 sterline che dovetti pagare per ricomprarmi la libertà rappresentano i soldi meglio spesi dell'intera mia vita"). Quindi, armato di chitarra, amplificatore e testi pieni di rabbia, cominciò a suonare là dove poteva, fino a profilarsi ben presto come bardo della protesta anti-thatcheriana.
"Billy e Woody dicono le stesse cose e hanno lo stesso sense of humor..." spiega Nora Guthrie (sorella di Arlo). E così Bragg: "Woody aveva il diavolo dentro, proprio come Robert Johnson. Capirlo probabilmente è più facile per un inglese che, come me, è nato negli anni Cinquanta. Woody poneva agli americani un sacco di domande alle quali loro non potevano rispondere. Non faceva compromessi. Li invitava a iscriversi al sindacato ('Join the Union!') e diceva cose del tipo: 'Come recita la Bibbia, il denaro deve essere equamente distribuito'..." Dopo Pete Seeger, Bob Dylan e Bruce Springsteen (The Ghost of Tom Joad, uscito nel 1995, rimane il maggiore omaggio di Springsteen a Woody Guthrie), dunque è stato Bragg a profilarsi in qualità di accolito d'eccezione del "vagabondo comunista". Il risultato? Mermaid Avenue, che ha recato a Bragg e alla band Wilco una nomination al Grammy Award.
"Well I'm walkin' down the track, I got tears in my eyes. Tryin' to read a letter from my home." (Woody Guthrie)
La filosofia radicale di Woody Guthrie si forgiò nelle disgrazie che portò con sé la Grande Depressione; dopo, il cantautore soffrì - e non poco - le vessazioni del maccarthismo. Woody Guthrie aveva il sospetto che sulla sua famiglia gravasse una maledizione, e forse era proprio così: cinque dei suoi otto figli morirono prematuramente, la casa dei genitori bruciò in circostanze misteriose, sua sorella Clara perì in un altro incendio, anche suo padre rischiò di morire in un ennesimo incendio, la sua prima moglie Nora divenne demente, lui stesso fu colpito dalla temibile Corea di Huntington (non senza prima però essersi ustionato a un braccio, cosa che gli rese impossibile suonare la chitarra...)
Nel 2006 è uscito anche l'omaggio di Bruce Springsteen a Pete Seeger. Si intitola We Shall Overcome: The Seeger Sessions. In compagnia di un esercito di ottimi collaboratori, Springsteen dà la sua interpretazione originale di 15 "traditionals", e non è difficile a volte sentire risuonare la voce di Guthrie between the lines...