23 dic 2011

La storia dei Genesis - 3: 'Nursery Cryme'

Rimango sempre stupito quando qualcuno mi parla di "difficoltà al primo ascolto" riferendosi ai Genesis. E dico "Genesis" con la G maiuscola, quelli genuinamente progressive, e non gli altri, quelli che, sotto la guida di Phil Collins, finirono per sfornare musica pop. Probabilmente i Genesis non sono una band per tutti. Forse bisogna avere una predisposizione d'animo particolare per apprezzare "in toto" la loro musica.

Io sono un aficionado del gruppo inglese ormai da decenni, ovvero da quando un mio cugino mi fece ascoltare Selling England By The Pound - allora su supporto magnetico; leggi: su audiocassetta. Le opere precedenti (Trespass, Nursery Cryme e Foxtrot, oltre all'album "black" - loro debutto - From Genesis To Revelation) arrivarono per me solo successivamente; ma confermarono la mia prima, immediata impressione: i Genesis erano la "mia" band. Comunicavano direttamente col mio cuore - o con la mia anima, se volete - e riuscivo a recepirli anche a livello di cerebro. Furono loro che dischiusero per me i cancelli dell'universo prog.

Non solo la loro musica sofisticata: anche i loro testi mi risultarono, fin da subito, assai accattivanti. Certo, diverse cose bisognava interpretarle (e non bastava un comune dizionario italiano-inglese per capirle!), ma a quell'epoca c'era il buon Armando Gallo (il più grande esperto italiano [o addirittura mondiale] di questo gruppo) che forniva puntualmente la traduzione con tanto di "note a pie' di pagina" su ogni involucro dei dischi "genesiani" destinati al Belpaese.




L'album di cui voglio parlare qui è Nursery Cryme (1971), uscito, come tutti i loro "classici", per l'etichetta Charisma. E' un'opera molto importante innanzitutto perché è la prima in cui la band si presentò nella formazione poi passata alla storia: Peter Gabriel - Tony Banks - Mike Rutherford - Steve Hackett - Phil Collins; e poi anche perché fu per loro la pedana di lancio per l'Europa. Infatti, il successo riscontrato in Italia da Nursery Cryme praticamente salvò la carriera dei Genesis. (L'anno prima era stata la volta dei belgi, accogliendo entusiasticamente Trespass, a concedere una delazione di vita alla band.)

Ma passiamo subito all'ascolto. Apre "Musical Box", tenera quanto disperata favola da "nursery", da stanza dei giochi, che sarebbe diventata uno dei loro cavalli di battaglia negli spettacoli dal vivo. Ogni cosa, in questo pezzo, è perfetta: dai riffs iniziali alla voce di Gabriel, che comincia in sordina - quasi in recitativo - con "Play me Old King Cole / that I may join with you..." (sembra, appropriatamente, la cantilena di un bimbo) e finisce con l'implorazione urlata: "Touch me, touch me, touch me NOW! now, now, now...", dando voce al fantasma di Henry (8 anni) che riappare a Cynthia (9) dopo che quest'ultima lo aveva "graziosamente" decapitato.



Al più tardi da adesso lo sappiamo: siamo alle prese con un album "romantico" nel senso letterario del termine: tenero, ombroso, violento e divertente a un tempo.
Divertenti sono brani come "Harold The Barrell", tanto disinvolto, convincente e "frantic" da potersi considerare un'anticipazione del "dark pop". Ma il pop è ancora a mille miglia di distanza e qui ovviamente si avverte - senza tema di errori - la bravura dei musicisti. Si capisce subito che si tratta di grandi esecutori; e ciò sebbene fossero allora ancora molto giovani e, ahiloro, squattrinati.

Non so perché, ma alcuni definiscono questo prodotto una battuta d'arresto rispetto al precedente Trespass, quasi un "pas faux" nella carriera dei Genesis. Lo giudicano poco rifinito, un diamante grezzo. Appunto: bisogna sottolineare proprio la parola "diamante". Per me, Nursery eguaglia, se non addirittura supera, l'album precedente. Non c'è assolutamente nulla di superfluo o casuale in questo disco. La dolce e breve "For Absent Friends" vale già da sola il costo del CD (il quale, a proposito, oggi è reperibile per una manciata di dollari) e scommetto che ci sono molti chitarristi, là fuori, che ancora tengono questa ballata nel loro repertorio "segreto", risfoderandola unicamente per le orecchie di tre o quattro amici fidati.

Dopo "Il Ritorno del Gigante Hogweed" (interpretazione tipicamente genesiana di uno strambo quanto interessante mito da fantascienza: piante viventi prendono possesso di ogni città e... "they seem immune to all our herbical battering"), ecco "Seven Stones".

Quanta magia e quanta vita vissuta sono contenute in questo "tale", in questo racconto dalle sonorità pacate! La voce di Peter sembra più che mai quella di un vecchio saggio, ed è sorprendente e inquietante insieme sapere che al momento dell'uscita dell'album il cantante-poeta dei Genesis era ancora un "teeny"!

Calcando uno schema semplice ma efficace, alla "tranquilla" "Seven Stones" segue il gustoso pandemonio del già citato "Harold The Barrell" (satira del sistema inglese e, in particolare, della prepotenza dei "landlords"). Poi di nuovo un pezzo altamente poetico - "Harlequin". E in ultimo, finalmente, arriva "The Fountain Of Salmacis".
Dedicato alla regina delle Naiadi, ninfe del mare, questo solco racchiude tutti gli elementi tipici del prog rock. L'album si conclude in un glorioso crescendo, e apre quella che sarà la lunga e avventurosa stagione del progressive.
Gli Anni '70 potevano cominciare davvero.


Tracks:

1. The Musical Box
2. For Absent Friends
3. The Return Of The Giant Hogweed
4. Seven Stones
5. Harold The Barrel
6. Harlequin
7. The Fountain Of Salmacis

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