28 dic 2011

La storia dei Genesis - 7: i Genesis... rivisitati

 Nel 1996 Steve Hackett decide di dedicare un album al gruppo che lo aveva lanciato e che lui aveva abbandonato vent'anni prima. Genesis Revisited presenta undici titoli della band, tra i quali "Watcher Of The Skies", "I Know What I Like", "Firth Of Fifth" e "Your Own Special Way". I suoi collaboratori sono il bassista e cantante John Wetton (King Crimson, Asia), il bassista Tony Levin, il batterista degli Yes Bill Bruford, l'ex batterista dei Genesis Chester Thompson, il co-fondatore dei King Crimson e dei Foreigner Ian McDonald, il cantante degli Squeeze e di Mike And The Mechanics Paul Carrack e il cantante degli Zombies Colin Blunstone. Ne esce fuori un prodotto che suscita reazioni controverse. E' proprio una "rivisitazione": mentre brani come "Fountain Of Salmacis" e "For Absent Friends" acquistano nuovo splendore, altri soffrono per il sovraccaricamento di effetti sonori (riverberi, voci distorte e altro). L'ascolto in generale è comunque buono, soprattutto se si dimenticano i Genesis "progress" e si considera l'album un divertissement esclusivo di Steve Hackett. Interessante il ripescaggio di "Valley Of The Kings" (composizione strumentale di Hackett, non-genesiana) e di "Deja Vu", un'incompiuta di Peter Gabriel dei tempi di Selling England By The Pound,  portata a termine dal chitarrista e qui cantata da Paul Carrack.

Ritornando alla storia dei Nostri...




Dopo la misticheggiante critica sociale di The Lamb..., in A Trick Of The Tail (1976) si assiste al tentativo di ritorno ad oscure leggende, con tanto di spiriti e diavoletti; e all'exploit di Collins in veste di cantante tout court. La canzone più interessante, almeno per i biografi del gruppo, è quello che dà il titolo all'album. "A Trick Of The Tail" è stata scritta da Tony Banks ed è palesemente dedicata all'accolito dileguatosi.

"Stanco della vita nella città d'oro
se n'è partito senza dire nulla a nessuno.

È tornato all'ombra delle torri della sua gioventù,
tutto solo con il sogno di tutta una vita.

     (...)

Tutti gli altri gli apparivano strani.
'Non hanno né le corna né una coda
e ignorano la nostra esistenza.
Sbaglio a credere in una città tutta d'oro?'
si chiede piangendo."

Nonostante l'assenza di Peter Gabriel, A Trick Of The Tail è un album accettabile, che segna il ritorno al prog più genuino, quello "onirico", di fattura pioneristica. Contiene alcune deliziose ballate.

Wind & Wuthering (1977)
Da Wind & Wuthering in poi i testi diventano più straight, più convenzionali. O cercano di esserlo. Beh, certo, senza il poeta Gabriel a dare l'input visionario...! E' cambiato qualcosa anche nella distribuzione dei credits. Già in Trick Of The Tail i singoli brani non erano più firmati dall'intero sodalizio, ma da chi li aveva scritti. Lo stesso si ripete qui, e di nuovo si mette in luce Tony Banks per la sua abilità compositoria.
La seconda e terza track ("One For The Vine" e "Your Own Special Way") sono molto orecchiabili. Specialmente quest'ultima ha armonie poppeggianti; si tratta di un tipico brano à la Collins per intenderci, anche se il booklet indica Mike Rutherford come autore.


 Seconds Out del '77 è il loro primo live doppio e registra la presenza dei batteristi "da tour" Bill Bruford e Chester Thompson (Phil non poteva sempre cantare mentre stava ai drums). Molto intrigante, anche se non racchiude esattamente il meglio del repertorio genesiano.

Se ne va pure Steve Hackett... ...And Then There Were Three (1978). Un album che, di nuovo, contiene alcune tracks di facile ascolto ("Follow You Follow Me", "The Lady Lies", "Many Too Many"...), ma è "intenso", "sentito" come A Trick Of The Tail. I testi sono sempre più accessibili, alquanto "discorsivi", e ogni singolo brano è firmato dal trio superstite. Ufficialmente, la dipartita di Hackett sembra essere avvenuta senza alcuna polemica, ma è significativo che Collins, Banks e Rutherford gli dedichino didascalicamente il titolo del disco. Ancora più significativa è la canzone d'apertura, "Down And Out", dove il protagonista sottolinea:

"Voi ed io sapevamo bene
che non poteva continuare per sempre.
Perciò devo dirvi, seppure con rammarico:
d'ora in poi, sappiate,
dovete cercare di farcela da soli."

Come il precedente album, anche ...And Then There Were Three comincia con un pezzo furioso (almeno per i livelli genesiani) subito seguito da una ballata orecchiabile.

Duke (1980)
Phil Collins prende in mano le redini e ciò segna l'inizio del declino dei Genesis. Phil proviene dal jazz e ama le improvvisazioni (afferma di ammirare i Weather Report) e inoltre, essendo batterista, viene enfatizzato il ritmo ("Behind The Lines", "Duchess"); ma non mancano le canzoni melodiche decisamente lineari e quindi di facile ascolto: "Misunderstanding" e "Alone Tonight", per citarne due, potrebbero benissimo trovar posto in un album di Collins (che in quel periodo stava preparando il proprio debutto Face Value). "Duke's Travels" e "Duke's End" sono ottimi pezzi strumentali, ma è evidente che i "nuovi" Genesis aspirano a essere "radio friendly". E difatti...
Dell'album in questione si salverebbero, oltre a "Duke's Travels" e "Duke's End", i lenti "Heathaze" e "Please Don't Ask", se non fosse che, dopo l'inizio promettente, ambedue scivolano nella melliflua ripetitività tipica di quell'incantatore-di-cuori -semplici che è Collins. In realtà, lui il jazz-rock vero lo pratica con i Brand X, suo side-project...
Nel suo desiderio di non ripetersi, la band va verso l'autodistruzione, anche se non ne è ancora cosciente.

Abacab (1981)
I Genesis proseguono sulla via imboccata con Duke, affidandosi alla drum machine molto più che alla batteria di Collins. Sebbene ci ritroviamo a migliaia di miglia dalle atmosfere di Selling England (Allan Jones scriverà sul prestigioso Melody Maker: "I Genesis, questi rappresentanti in via di estinzione del rock più sfarzoso"), Abacab può ritenersi un prodotto accattivante; soprattutto nell'ottica di quella che era la musica in quel primo scorcio degli Anni Ottanta. Ma i Genesis non assomigliano più a se stessi. Come in Duke, anche in quest'album sono contenute songs che potrebbero essere di proprietà esclusiva di Phil Collins. C'è da annotare che Abacab fu il primo album che la band registrò in proprio, ovvero negli studi di The Farm (Surrey). E, per la prima volta, I Genesis si servono di musicisti da session: la sezione di fiati degli Earth, Wind and Fire in "No Reply At All". (Gli Earth, Wind and Fire appariranno anche nell'album solista di Collins Face Value). Proprio "No Reply At All" è un pezzo A&R, e dunque lontano dagli standard progressivi, e da qui certamente il successo di vendite del single. Per fortuna, il resto del disco gira in maniera più intelligente, a dispetto dell'uso spropositato della drum machine. Ascoltare, per credere, "Abacab", "Keep It Dark", "Dodo/Lurker" e "Another Record"; e, con qualche riserva, "Like It Or Not". L'unica track che decisamente delude è "Who Dunnit?", una filastrocca distorta dall'elettronica; qualcuno pensò insensatamente di inserirla nell'album al posto della migliore - e di gran lunga - "Paperlate"...

Three Sides Live (1982)
Una collezione di pezzi tra i più popolari del gruppo, tutti eseguiti in concerto, e contenente tra le altre cose un'appagante versione di "Abacab". Nell'edizione americana, alle tre facciate live ne è stata aggiunta una quarta di registrazioni in studio che comprende la fantomatica "Me & Virgil". Le performance dei Genesis avvengono davanti a un'ormai folta audience. Tuttavia, Three Sides Live fa rimpiangere la magia del precedente live Seconds Out.

Genesis (1983)
Sull'onda del successo di Abacab, i Genesis producono un album omonimo che li catapulta definitivamente nelle liste dei bestseller. Assurdamente ma non troppo, dell'èra "collinsiana" è questo il disco dei Genesis che io personalmente preferisco, in quanto contiene non solo smash hits come "Mama" e "That's All", ma anche brani a tratti rockeggianti ("Just A Job To Do", "Home By The Sea"). Niente evita comunque che, a causa di quella "spontaneità" fortemente voluta da Collins, siamo usciti definitivamente dalle sfere del progressive.

Invisible Touch (1986)
Buon disco pop, con belle canzoni (soprattutto le prime quattro) che a suo tempo ebbero un vasto airing e che ancora oggi vengono a tratti riproposte da emittenti mainstream. Non che i testi siano poco interessanti: anzi. "Land Of Confusion", ad esempio, si può definire a tutti gli effetti una canzone di protesta. Ma, musicalmente, siamo ai livelli di MTV.

Seguirono We Can't Dance (1991), la compilation The Way We Walk: The Shorts/The Longs (1992/93) e, col bravo Ray Wilson a sostituire come vocalist il dipartito Collins, Calling All Stations (1997). Abbiamo definitivamente a che fare con un gruppo pop, lontanissimo dagli standard del prog.
Nonostante una promotion senza precedenti, Calling... non fece riscontrare l'interesse sperato, tanto che dovette essere cancellato il progettato tour negli States. Quest'album segna la fine (solo virtuale?) dei Genesis.

Assurdamente, per ascoltare i veri Genesis, da anni ci si deve affidare alle cover band: Supper's Ready (altoatesini), Nursery Cryme (trentini), Musical Box (di Montreal, Canada)... Tutti cloni eccellenti del gruppo.


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